Inferno
La porta dell'Inferno dantesco secondo Gustave Doré (Getty Images).
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La scuola all’inferno e l’inferno della scuola

La terribile emergenza sanitaria sta dando il colpo di grazia alla scuola superiore italiana, antica eccellenza e ora grande malata del sistema di istruzione nazionale. E il paragone con l'Inferno di Dante Alighieri calza a pennello.

La scuola superiore italiana nel 2020 ha toccato il fondo. O almeno c'è da augurarselo, perché peggio di così pare davvero oltre il tollerabile e l'immaginabile.

Già... Nessun racconto di fantascienza aveva mai teorizzato un luogo di istruzione deserto con docenti all'interno impegnati nel fare lezione a studenti altrove, così come nessun racconto distopico aveva mai immaginato un luogo abitato da uomini con attività aperte e scuole, di fatto, chiuse. Solo l'oltretomba dantesco, tra discese, punizioni, ambientazioni allucinanti e ministri infernali potrebbe essere una suggestione percorribile.

Nel 2020 l'abisso cui nessuno aveva mai dato forma è divenuto la nostra scuola, sotto gli occhi e nelle case di tutti: aule vuote, diari sostituiti da notifiche di Google Classroom, voti indecifrabili, docenti impalpabili come le loro lezioni, classi divenute francobolli digitali e soprattutto ragazzi spaesati, costretti come per un terribile contrappasso a ore e ore in casa davanti a schermi di computer, tablet, cellulari.


La porta dell'Istituto tecnico Luigi Einaudi di Roma (GettyImages).


A fare lezione, certo, o comunque impegnati in qualcosa di simile, probabilmente una lezione da contrappasso, con immagini nitide ma non sempre, con ascolto e interazione possibile ma non sempre, con una via d'uscita ipocrita comunque sempre a portata di mano, blandendo motivazioni reali o presunte a cui è ogni giorno più difficile avere la forza di ribattere.

In tutto questo, l'incapacità da parte di chi fa scuola di avere uno sguardo univoco, magari condividendo riflessioni fondate sull'analisi e approfondimenti culturali per comprendere questo tempo presente, andando oltre la logistica spiccia e la sparata pro o contro il rientro a scuola: niente da fare, interi collegi docenti riuniti per far fronte alle varie scadenze e sempre più impegnati a autodistruggersi, come i capponi di Renzo di manzoniana memoria.

Questo l'esito di un anno di pandemia, ma non bisogna compiere l'errore di concludere che il problema della scuola sia circoscrivibile a questo dramma della didattica a distanza, sempre meno emergenziale e sempre più tollerata come economico e necessario palliativo alla scuola superiore che comunque, nella sostanza, per chi governa serve a poco. Con buona pace delle dichiarazioni di tutti quei politici che la vogliono al primo posto senza se e senza ma, per poi dimenticarsene in sede di bilanci, investimenti, di decisioni da prendere.

Guai a perdere la complessità dell'abisso del pianeta scuola fermandosi alla Dad: sarebbe come leggere il trentaquattresimo canto dell'inferno dantesco perdendosi i trentatrè precedenti. La realtà è che noi siamo al cospetto di una discesa agli inferi iniziata più di 20 anni fa, con un percorso strutturato e capace di mutare sempre, aumentando l'intensità delle sofferenze di chi la scuola la fa, in ruoli diversi, tanto che la metafora con l'oltretomba dantesco non stride. Anzi, è calzante.

Le riforme sono state la costante della discesa verso l'abisso, dalla metà degli anni Novanta, con la riforma Berlinguer che ha equiparato le discipline, così un otto in scienze motorie in terza classico ha iniziato a far media matematica con un quattro in greco, totale sei. Passando per la riduzione dell'orario settimanale e per le maturità a commissione interna della Moratti, per l'operato della ministro MariastellaGelmini, capace di levare ore al latino del liceo scientifico o dignità alle materie storia e geografia, fino alle prove Invalsi e all'alternanza scuola lavoro della Buona scuola di Matteo Renzi. Tassello finale, l'educazione civica dell'ultima stagione politica.

Argomenti, questi ultimi due, anche interessanti, ma organizzati senza approfondimento, senza fondi, senza lungimiranza, per cui gestiti come appesantimenti per ogni docente e per ogni materia costretta a fare un po' di posto a incombenze nuove, poco strutturate, spesso improvvisate anche nelle rettifiche e nei chiarimenti del legislatore.

La scuola del 2020 ha messo in luce in modo plastico l'allergia che gli studenti hanno nei confronti dell'aliena scuola che ridotta così – al netto della pandemia – pare non più in grado di accogliere chi dovrebbe entrare in contatto con il sapere, con il confronto e anche con il silenzio, con i grandi libri, con i grandi maestri, con la storia, con docenti cultori della materia che spiegano in classe. Non bastano alcuni esempi virtuosi, non servono pochi dirigenti e docenti motivati e competenti. Il sistema scuola è al capolinea. Se serve toccare il fondo per rinascere, auguriamoci di essere giunti a questo punto drammatico e necessario insieme. Saremmo a metà del percorso.

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Marcello Bramati