ministro bianchi istruzione its dati scuola occupazione lavoro uil
Ansa
ARTICOLI FREEMIUM

La scuola senza sbocco sul lavoro

Il ministro Bianchi pubblica dati trionfalistici sugli ITS, ma riguardano una minoranza della platea degli studenti. E l'Italia rimane in fondo alle classifiche europee per impeghi post diploma e laurea

I dati del monitoraggio nazionale 2022 dei percorsi ITS (Istituti Tecnici Superiori) del Ministero dell’Istruzione, mostrano che, su 5.280 diplomati, l’80% (4.218) ha trovato un’occupazione nel corso dell’anno 2021, nonostante le restrizioni e le difficoltà causate dalla pandemia.

Dati dai toni trionfalistici e molto generici che oltre a non entrare nel merito del tipo di contratti con cui hanno trovato impiego i diplomati degli ITS si basa su una percentuale di studenti che è pari al 2% del territorio nazionale. Numeri quindi da ritenersi irrilevanti se posti nella reale platea dei giovani che non riescono ad entrare nel mondo del lavoro in condizioni accettabili. In Italia infatti il tasso di occupazione giovanile è inferiore alla media europea. Tra i laureati (80,8% tra i 25 e i 64 anni contro 85,5% dell’Ue27) mentre tra i diplomati (70,5% contro 75,7%). Il divario con l’Europa nei tassi di occupazione si amplia tra le giovani generazioni - per tutti i livelli di istruzione - e diventa massimo per chi è appena uscito dal percorso formativo e si trova nella fase di primo ingresso nel mercato del lavoro.

Ad entrare nel merito degli ITS è stata la UIL Scuola che ha assunto una posizione molto critica soprattutto in merito alla tipologia dei contratti e al miliardo e mezzo dei fondi del Pnrr previsto per questi istituti che potrebbe essere gestito dai privati, visto che sono gli imprenditori delle aziende ad essere alla guida di questi istituti.

«Come possiamo analizzare solo il dato occupazionale senza sapere il tipo di contratto che è stato fatto ai diplomati e soprattutto senza conoscere quale sia la qualità del lavoro? Un conto è lavorare alla Ferrari un altro è essere assunti in un’azienda del Mezzogiorno»-commenta a Panorama Giancarlo Turi, segretario Nazionale UIL Scuola

Gli ITS che tipo di istituti sono?

«Partendo dalla denominazione “ITS Academy” è la chiara esplicitazione di un compromesso tutto politico mal riuscito. Trattandosi di un segmento formativo non accademico, siamo in presenza di istruzione terziaria professionalizzante non accademica, la specificazione (Academy) è addirittura fuorviante un’ulteriore ipocrisia, anche considerando come i rapporti con il mondo accademico così come elaborati nel testo appaiono del tutto indefiniti.

Gli ITS in pratica sono istituti fatti apposta per le aziende che in questo modo formano i lavoratori secondo le loro esigenze. In Italia ce ne sono 110 ma come modello di scuola è poco strutturato ed incompleto. In più c’è da aggiungere che per questo modello di scuola è stato previsto uno stanziamento di un miliardo e mezzo di fondi europei del Pnrr e 150 milioni di fondi statali, per questo c’è una certa pressione a riguardo degli enti».

Quindi gli ITS vengono in aiuto alle aziende?

«Gli istituti terziari come le dicevo non hanno percorsi strutturati e servono per formare figure professionali per aziende nei territori dove c’è carenze di tecnici specializzati. I direttori di questi istituti sono imprenditori dove spesso vanno a lavorare i diplomati. Noi non siamo ostili verso gli ITS ma è un sistema che va armonizzato perché così è troppo blando e sembra di essere tornati alla scuola del secolo scorso che serviva per formare operai e lavoratori. Inoltre c’è anche da considerare che certe professionalità in determinati ambiti sono soggette a obsolescenza e così la specializzazione tecnica acquisita è facile che vada persa. Un altro fatto inquietante sta nel fatto che l’età media di chi si iscrive dopo il diploma agli ITS è tra i 24-25 anni, questo dimostra che spesso non è una scelta spontanea per una reale prospettiva futura ma dettata dalla necessità».

Che ne pensa dei dati pubblicati dal Ministero dell’Istruzione?

«Sono dati generici che ci dicono poco. Come possiamo analizzare solo il dato occupazionale senza sapere che tipo di contratti sono stati fatti ai diplomati e quale sia la qualità del lavoro? Io da uomo del Sud le posso dire un conto è un contratto con la Ferrari un altro è essere assunti in un’azienda del Mezzogiorno, ma il ministro Bianchi ha comunque ritenuto che fosse un dato importante, che unisce scuola e lavoro senza entrare nel merito di come».

Secondo lei cosa va fatto?

«Si ritiene assolutamente necessaria l’articolazione di un segmento terziario in grado di operare un’efficace azione di collegamento tra la scuola e il mondo del lavoro, ma la sua percorribilità va valutata al verificarsi di precise condizioni. La prima della quali è la sua riconduzione in un ambito pubblico, affidandone l’attività di coordinamento e di gestione al MI. L’elaborazione dei percorsi di studio, il rilascio delle certificazioni, la gestione delle risorse finanziarie devono necessariamente essere espressione di competenza della stessa Autorità pubblica che deve coordinarsi con il sistema della Formazione Professionale regionale, gli enti di formazione e le imprese. Vanno scongiurati i rischi di privatizzazione di un ambito formativo di carattere altamente strategico, qual è quello dell’Istruzione terziaria, attraverso l’uso di risorse pubbliche».

I più letti

avatar-icon

Linda Di Benedetto