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Giulia Schiff, ex pilota dell'Aeronautica militare, ora volontaria nelle Forze Speciali della Legione Internazionale in Ucraina (Ansa).
Dal Mondo

Flick: «Per i foreign fighters previste pene severe, fino all'ergastolo»

Per il presidente emerito della Corte costituzionale chi, come Giulia Schiff, va a combattere all'estero «rischia grosso».

Ha suscitato scalpore la vicenda della giovane ex allieva pilota dell’Aeronautica militare Giulia Schiff, assurta alla cronaca per aver denunciato atti di nonnismo di cui sarebbe rimasta vittima all’epoca della frequentazione dell’Accademia militare di Pozzuoli. La Schiff si è arruolata volontaria nelle milizie speciali della Legione internazionale, partendo in direzione dell'Ucraina al momento dello scoppio del conflitto. Insomma, una foreign fighter contro i russi invasori, catapultata anche in prime time televisivo dal programma Le Iene nel corso del reportage andato in onda ieri sera su Canale 5. «Non sono una mercenaria: non so se mi pagheranno e non mi interessa. Sono qui come volontaria e non per fare soldi» ha sottolineato, innescando, ovviamente, polemiche e giudizi di varia collocazione.

Ma non è un caso isolato. Sarebbero oltre 20.000 i soldati volontari arruolatisi nella legione straniera del presidente ucraino Volodymyr Zelensky: enfatizzati pubblicamente come «combattenti per la libertà», a detta degli specialisti rappresentano, invece, un pericolo per gli Stati d’origine e per loro stessi, non certo liberi di agire senza ripercussioni sul piano giudiziario. Nel nostro Paese, alcuni articoli del codice penale normano la materia: l’articolo 244 («Atti ostili verso uno Stato estero, che espongono lo Stato italiano al pericolo di guerra»), il 270 quater («Arruolamento con finalità di terrorismo anche internazionale») e il 288 («Arruolamenti o armamenti non autorizzati a servizio di uno Stato estero»).

A integrare la materia, la Convenzione delle Nazioni Unite per la repressione del finanziamento del terrorismo internazionale del 1989, recepita nel nostro ordinamento con la legge del 12 maggio del 1995 numero 210, che ha represso l’arruolamento l’istruzione o il finanziamento dei soggetti destinati a combattere in uno Stato estero o a partecipare all’insurrezione armata contro i poteri locali: disciplina, questa che non presuppone necessariamente che tale Stato sia nemico del nostro Paese, secondo le comuni norme del diritto internazionale.

Ricorda il professor Giovanni Maria Flick «che a mente dell’articolo 244 (“Atti ostili verso uno Stato estero, che espongono lo Stato italiano al pericolo di guerra”) è prevista la punizione di chi fa arruolamenti o compie atti ostili verso uno Stato estero con pene da sei a 18 anni, con la possibilità finanche dell’ergastolo a carico dell’agente se poi qualcuno attacca per ritorsione l’Italia».

Piemontese di Ciriè, classe 1940, Flick è professore emerito di Diritto penale alla Luiss di Roma, dopo aver insegnato negli atenei di Perugia e Messina. Laureato in legge alla Cattolica di Milano, nel 1962 è entrato in magistratura svolgendo funzioni sia requirenti sia giudicanti presso il Tribunale di Roma. Nominato nel 1996 Ministro di Grazia e Giustizia dal governo guidato da Romano Prodi, il 14 febbraio del 2000 venne nominato Giudice della Corte costituzionale dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, divenendone poi il 32esimo presidente.

Per l’ex ministro della Giustizia e presidente emerito della Corte costituzionale, «le norme del codice penale dedicate al fenomeno oggi esploso nel pieno della guerra in Ucraina, risentono chiaramente dell’origine del nostro Codice Rocco, entrato in vigore nel bel mezzo di uno Stato autocratico che si poneva il problema di reprimere duramente i comportamenti contro l’istituzione statale».

Sul tema oggetto di ampio dibattito giuridico e politico, Panorama.it ha incontrato l’ex ministro della Giustizia e presidente emerito della Consulta che rimanendo sul crinale della giusta analisi giuridica, non ha mancato di sottolineare come «non si possa assolutamente prescindere dal ragionare sull’origine di queste norme, nate - lo ripeto - per reprimere nettamente ogni forma di comportamento contro lo Stato italiano».
Professore, pare di capire che lei insista sulla genesi di queste norme.

«Certo, è inevitabile. Ma mi preme partire, preliminarmente, da una norma costituzionale, in vigore qualche anno dopo, ovvero l’articolo 18 della Carta che, al comma secondo, proibisce le associazioni che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare. E non è un caso che questa norma si riferisca direttamente all’art. 270 del codice penale (“Associazioni sovversive”) da cui sono scaturite le successive norme 270 bis, 270 bis I, 270 ter, e 270 quater che compendiano la materia oggi improvvisamente esplosa alla ribalta, soprattutto mediatica».

L’articolo 18 della Costituzione come una sorta di “norma a quo”, allora.
«Direi l’ombrello costituzionale che ha mantenuto in vita e giustificato incriminazioni che nascevano in un momento storico in cui l’impostazione del codice penale nella sua parte speciale risentiva, ovviamente, del periodo politico in cui si viveva, il Ventennio fascista, per intenderci».

Tre sono le norme penalistiche cui si fa riferimento…
«Innanzitutto l’articolo 244 (“Atti ostili verso uno Stato estero, che espongono lo Stato italiano al pericolo di guerra”) che punisce “chi, senza l’approvazione del Governo, fa arruolamenti o compie altri atti ostili contro uno Stato estero, in modo da esporre lo Stato italiano al pericolo di una guerra”. In questo caso è prevista la reclusione da sei a diciotto anni; e qualora dovesse scoppiare una guerra, a causa di tali arruolamenti o dal compimenti di tali atti ostili, si arriverebbe finanche all’ergastolo».

Ci chiarisca la ratio della norma, professore!
«Considera l’“arruolamento” come forma di “atto ostile” nei confronti di uno Stato estero. Si badi che l’arruolamento consiste nell’ingaggiare soggetti armati, italiani o stranieri, anche a titolo gratuito, inquadrandoli in un’organizzazione di tipo gerarchico avente scopi militari, per come riconosciuto nel 2003 dalla Cassazione Sesta penale nella sentenza n. 36776 del 25 settembre. E come notiamo dal profilo sanzionatorio previsto, la pena è veramente alta: fino a 18 anni per la previsione di base, ma fino all’ergastolo se malauguratamente dovesse scoppiare un conflitto bellico».

E nel capoverso della norma, cosa si prevede?
«Un’attenuante, ovvero una riduzione del trattamento sanzionatorio: “qualora gli atti ostili siano tali da turbare soltanto le relazioni con un Governo estero, ovvero da esporre lo Stato italiano o i suoi cittadini, ovunque residenti, al pericolo di rappresaglie o di ritorsioni” la pena sarebbe della reclusione da tre a 12 anni. Se poi si dovesse arrivare alla “rottura delle relazioni diplomatiche, o se avvengono le rappresaglie o le ritorsioni, la pena è della reclusione da cinque a quindici anni”».

Quindi la norma cosa prevede, in fondo?
«L’equiparazione dell’ “arruolamento” agli “atti ostili” nei confronti di uno Stato estero: si tratta, in buona sostanza, di atti dotati di notevole aggressività, tali da essere intolleranti nell’ambito dei normali rapporti internazionali, improntati come sappiamo, alla tutela della pace e della sicurezza interazionale».

Professore, la norma prevede un presupposto negativo…
«Certo, l’approvazione del Governo del nostro Stato, per intenderci, inteso - appunto - come presupposto negativo della condotta illecita, che deve mancare perché il reato si realizzi».

Nella successiva norma dell’articolo 270 quater l’arruolamento si aggrava…
«Si tratta dell'"arruolamento con finalità di terrorismo anche internazionale”. Si aggrava perché tale disposizione punisce la condotta di chi arruola una o più persone da avviare al compimento di atti di violenza o di sabotaggio di servizi pubblici essenziali, con finalità di terrorismo, anche se rivolti contro uno Stato estero, un’istituzione, o un organismo internazionale: e qui la pena è della reclusione compresa tra i sette e i quindici anni. Come si vede, il legislatore dell’epoca usò la mano pesante…».

E addirittura si punisce anche la persona arruolata.
«Infatti, prima della modifica legislativa del 2015, la disposizione in esame puniva esclusivamente “chi arruolava” e non anche “chi si arruolava”, la cui condotta non assumeva, dunque, nessuna rilevanza penale autonoma. Poi, con il c.d. Decreto antiterrorismo del 2015, appunto, si è estesa la punizione anche alla condotta di chi viene arruolato per commettere atti di terrorismo».

Terza norma, quella prevista dall’articolo 288 del Codice penale.
«In questo caso ci riferiamo agli “Arruolamenti o armamenti non autorizzati a servizio di uno Stato estero”. Ebbene, questa norma punisce “Chiunque nel territorio dello Stato e senza approvazione del Governo arruola o arma cittadini, perchè militino al servizio o a favore dello straniero”. E qui la pena è della reclusione da quattro a 15 anni».

La ratio di questa norma è ben precisa…
«Infatti, perché non pone il problema degli “atti ostili” nei confronti di uno Stato straniero, ma quello dell’“arruolamento” o dell’“armamento” di cittadini italiani. Entrambe figure finalizzate alla prestazione di servizi di carattere militare presso lo straniero o a favore di esso. Si badi che poichè la norma parla di “straniero” e non di Stato straniero, non è necessario un inquadramento organico in corpi militari ufficiali, potendo il servizio essere svolto anche in gruppi armati irregolari in lotta contro Stati legittimi».

La norma prevede anche un'aggravante…
«Certo, se fra gli arruolati vi sono militari in servizio o persone sottoposte agli obblighi del servizio militare. Mi pare ovvio. Per i puristi del diritto si tratta di una circostanza aggravante speciale. Anche in questo caso è palpabile come le figure normative di parte speciale, come ampiamente sottolineato, all’epoca fossero state ritagliate con riferimento al determinato contesto politico in cui nacquero».

Questo è il quadro interno. La normativa si è successivamente arricchita di una Convenzione internazionale.
«Ci riferiamo alla Convenzione delle Nazioni Unite contro il reclutamento, l’utilizzazione, il finanziamento e l’istruzione di mercenari, adottata dall’Assemblea Generale il 4 dicembre del 1989 e poi ratificata in Italia. Prevede l’aggravamento dell’art. 244 nel contesto del fenomeno del terrorismo, grazie proprio al recepimento di quella Convenzione nel nostro sistema interno».

Reclutamento contro uno Stato estero e reclutamento di mercenari…
«Si tratta di due diverse figure: la prima, punita ex articolo 244 del Codice penale, presuppone la stipulazione di un contratto e l’inquadramento dell’arruolato in una struttura militare, la normativa del reclutamento dei mercenari ex articolo 4 della legge 12 maggio 1995 numero 210 - in adempimento dell’obbligo internazionale sancito dalla Convenzione Onu del 4 dicembre del 1989, ha una portata più ampia comprendendo ogni attività di reperimento di persone disponibili ad operazioni militari mercenarie e di raggiungimento di un accordo finalizzato al loro impiego».

Tale normativa internazionale introdusse proprio diverse figure…
«Quella dei cosiddetti “mercenari”, oggi appunto definiti mediaticamente “foreign fighters”, cioè soggetti reclutati nei Paesi occidentali e destinati a trasferirsi in altri Stati per commettere atti di terrorismo, e quella dei “terroristi solitari” che operano, viceversa, nei paesi occidentali dopo essersi auto-addestrati».

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Egidio Lorito