«Cara Elisabetta Franchi, veda la sua società come una casa, non un'azienda..."
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«Cara Elisabetta Franchi, veda la sua società come una casa, non un'azienda..."

Ha fatto discutere, in maniera anche feroce, la dichiarazione di Elisabetta Franchi sulle donne nel mondo del lavoro. Frasi che hanno creato spaccature, divisioni e sulle quali diamo spazio per un commento ad un not imprenditore sempre del mondo della moda, Maurizio Talarico.

Cara Elisabetta Franchi,

Questi sono giorni di aspre polemiche che l'hanno vista sulle pagine di tutti i giornali a causa delle sue dichiarazioni che tutto hanno a che fare meno che con il mondo dell'imprenditoria.
Mi dissocio totalmente dalle sue "lunari" dichiarazioni.
Appartengo ad un percorso ed una filosofia d'impresa diversi dai suoi, in cui ho sempre dato estrema priorità al capitale umano anziché al profitto.
Non vedo la mia azienda come una mera "produttrice" di ricchezza, ma come un ambiente in cui ogni azione è figlia di un capitalismo che valorizzi l’uomo e non viceversa.
Vede, mio figlio ha 23 anni e da tanti anni lavora con me. A lui ho trasmesso il mio credo di non vivere in un mondo dove ogni cosa si riconduce al mero profitto.
Il denaro riveste un vero valore solo quando è speso per migliorare l’esistenza e la crescita dell’uomo.
Nella mia azienda sono benvenute tutte le donne che siano in attesa di un bambino o prossime ad averlo, sono benvenuti uomini e donne di ogni razza purché onesti.
Non voglio criticarla, sicuramente distinguermi e nel fare questo peccherò di personalismo, dicendole che ogni lettera di assunzione redatta nella mia azienda é corredata da una comunicazione allegata che prevede un premio annuo minimo di una mensilità in aggiunta ad un viaggio premio completamente spesato a carico nostro per il dipendente e per la sua famiglia.
Le donne in attesa di un bambino non sono escluse da questi bonus, che vengono calcolati ed erogati in proporzione ai giorni di presenza.
Concludo dicendole che raramente pronuncio la parola "azienda", mi viene più spontaneo dire che vado "a casa" perché quando supero la soglia della mia azienda o di un mio negozio mi sento davvero a casa e chi mi incontra mi parla con occhi felici e sorridenti, e con la passione per quello che fa, parchè si sente rispettato sia nei diritti di lavoratore, ma soprattutto come essere umano che concorre con il suo lavoro a rendere più importante un'organizzazione di persone.
Saluti,
Maurizio Talarico

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Andrea Soglio