Via Solferino, addio
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Via Solferino, addio

La vendita della sede del Corriere della Sera: il ricordo di Carlo Verdelli, ex direttore de La Gazzetta ed ex vice del Corsera

«Ogni giorno mi facevo la stessa domanda. Cosa ho fatto per essere qui?». L’ultima stanza era quella di Indro Montanelli. «Scelse l’ultima in fondo. Batteva ancora con la sua lettera 22 le risposte ai lettori della sua rubrica. Volle chiamarla per questo “La stanza”». E forse ha ragione Carlo Verdelli che a via Solferino ha lavorato come direttore de La Gazzetta dello Sport, del settimanale Sette, vicedirettore del Corriere: «La qualità del giornale non dipende da una sede». E però, via Solferino ha una variabile.

«Costruito nel 1866 il Corriere, il palazzo di via Solferino, ha una variabile: è parte della storia culturale del paese e di Milano». Non si sradicano i tempi, non si costruiscono altrove e nella battaglia che il comitato di redazione ha ingaggiato con il cda di Rcs che ha ratificato il passaggio del palazzo di via Solferino a un fondo americano, Blackstone, la variabile si chiama: sala Albertini, con la sua imponente scrivania di legno, i cassetti intarsiati, le lampade, la lunga scalinata di marmo.

«A destra c’è l’ufficio centrale, a sinistra la sala del direttore». «Fu Ferruccio De Bortoli a decidere di riempire quella sala con le fotografie delle più importanti firme del Corriere. Ogni giorno si ha la sensazione di entrare in un tempio». Ma è anche soggezione quella di cui parla Verdelli che adesso è editorialista di Repubblica.

E racconta Milano ogni suo carattere battuto sulla tastiera, è Milano ogni suo editoriale, diventa metafora come lo è stato per Alberto Savinio il quartiere, come può esserlo via Treves, il chiosco di giornali che incrocia via Moscova.

«Le riunioni due volte al giorno, il tavolo che fu della cronaca, le stanze dove sedevano Eugenio Montale e Dino Buzzati, ma attenzione non è vero che i giornali debbano stare in città e non è vero che la qualità dipende dalla loro posizione. A Londra non esiste più la lunga via delle redazioni, a Roma, La Repubblica si è trasferita in periferia. Non è vero che i giornali perdano di qualità. Semmai è Milano che perde un possibile luogo d’incontro, in una città in cui non rimangono molti. Insomma, il Corriere è stato ed è il segretario di redazione che si mescola con le scolaresche. Non c’è solo la battaglia di un comitato di redazione che si confronta con una proprietà rivendicando le proprie ragioni, i propri timori, il timore che non basta questo sacrificio per salvare il giornale, giornale che in ogni caso non andrà via, almeno subito, da via Solferino secondo quanto viene riportato».

Certo, rimane una cattedrale, i volti, le firme, questo Corriere che non vuole lasciare Milano, i suoi giornalisti e forse solo la fantasia di Vittorio De Sica potrebbe descrivere la voglia di cercare un luogo senza tempo, una bolla romantica, dove fuggire con le scope, tante penne per volare sulla città.

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Carmelo Caruso