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ANSA/GIORGIO ONORATI
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Consip connection, ecco quello che non torna

Le accuse contro i carabinieri arrivano con due anni di ritardo. E al Csm, che non ha potere nei confronti della polizia giudiziaria. Perché?

Matteo Renzi ha parlato di "complotto". Nel Partito democratico c’è chi, addirittura, ha gridato al "colpo di Stato": perché le indagini su Tiziano Renzi, guidate dalla Procura di Napoli nell’ambito dell’inchiesta sugli illeciti riguardanti un maxi-appalto da 2,7 miliardi organizzato dalla Consip, la centrale pubblica degli acquisti, mostrerebbero segni evidenti di malafede e di tendenziosità.

Nei giorni scorsi molti quotidiali hanno assunto questa tesi come vera, inconfutabile, incontrovertibile.

In realtà, nello scandalo sulle presunte irregolarità nell’inchiesta Consip ci sono alcuni punti oscuri. Quello sicuramente più buio riguarda le accuse di falso e abuso lanciate contro carabinieri del Noe, il Nucleo operativo ecologico che su Tiziano Renzi & soci ha a lungo investigato proprio per conto della Procura di Napoli.

Lo scorso luglio l’attuale procuratore di Modena, Lucia Musti, ha denunciato in una lunga udienza davanti al Consiglio superiore della magistratura due episodi a suo dire inquietanti.

L'udienza si svolgeva due mesi fa nella prima commissione del Csm, quella che ha aperto un procedimento per incompatibilità nei confronti del pm napoletano Henry John Woodcock, primo coordinatore dell’inchiesta sulla Consip.

Il primo episodio. Nella primavera del 2015 l’allora vicecomandante del Noe, Sergio De Caprio, avrebbe segnalato alla pm Musti di avere in mano materiale investigativo molto importante. Secondo il magistrato, De Caprio avrebbe detto: "Dottoressa, ora se vuole ha una bomba in mano. Lei può far esplodere la bomba. Scoppierà un casino. Arriviamo a Renzi".

De Caprio ha smentito il dialogo, almeno nella parte in cui si sarebbe accennato a Renzi, e va ricordato che nell’aprile di due anni fa la Procura di Modena aveva appena ricevuto gli atti dell'inchiesta su presunti appalti irregolari di una cooperativa rossa, la Cpl Concordia, aperta dalla Procura di Napoli e poi trasmessa proprio a Modena per competenza territoriale.

Quelle carte, va ricordato anche quello, contenevano anche l’intercettazione dell’imbarazzante telefonata dell'11 gennaio 2014 tra l'allora premier Matteo Renzi e il generale della Guardia di Finanza Michele Adinolfi, nella quale Renzi confidava l’intenzione di far dimettere Enrico Letta, all’epoca presidente del Consiglio, perché “è incapace” e avrebbe dovuto essere “governato da fuori”.

Il secondo episodio. La pm Musti ha raccontato al Csm che nel settembre 2016 anche il capitano del Noe Giampaolo Scafarto l’avvicinò per parlarle delle sue indagini su Cpl Concordia e su Consip, parlando anche di Tiziano Renzi.

Il capitano Scafarto, ha spiegato Musti al Csm, avrebbe insistito sulla necessità di andare avanti nelle indagini sulla Cpl, al punto che il magistrato in alcuni momenti avrebbe avuto l’impressione di pressioni eccessive, tese a coartare la sua libertà e le sue prerogative di capo della Procura di Modena.

La dottoressa Musti ha aggiunto che De Caprio e Scafarto le parvero due “esagitati”, due “spregiudicati, in delirio di onnipotenza”, e che il secondo le sembrò autore di “informative scritte coi piedi”, basate per lo più su “chiacchiere da bar”.

Per tutto il mese di agosto il contenuto dell'audizione, alla quale hanno preso parte non solo i componenti della prima commissione ma anche altri consiglieri del Csm, è rimasto splendidamente segreto. Poi, a metà settembre, ecco che il caso esplode mediaticamente.

E oggi la maggior parte dei quotidiani sbatte in pagina le parole del pm modenese, senza dubbi né commenti, come prova indiscutibile della malafede dei carabinieri che hanno condotto indagini sulla Consip e sulla famiglia dell’ex presidente del Consiglio.

Ma la storia di questa denuncia è strana. E obbliga a qualche domanda.

Perché il pm Musti, magistrato di lunga esperienza, ha atteso due anni per segnalare al Csm le indebite pressioni di due ufficiali?

Perché non ha adottato allora, tempestivamente, qualche iniziativa più propriamente giudiziaria, o gerarchica, per contrastare l’attivismo di quelli che giudicava (e presumibilmente continua a considerare) “due spregiudicati”?

E perché invece lo ha fatto oggi davanti al Csm, che non ha alcuna autorità nei confronti della polizia giudiziaria?

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Maurizio Tortorella

Maurizio Tortorella è vicedirettore del settimanale Panorama. Da inviato speciale, a partire dai primi anni Novanta ha seguito tutte le grandi inchieste di Mani pulite e i principali processi che ne sono derivati. Ha iniziato nel 1981 al Sole 24 Ore. È stato anche caporedattore centrale del settimanale Mondo Economico e del mensile Fortune Italia, nonché condirettore del settimanale Panorama Economy. Ha pubblicato L’ultimo dei Gucci, con Angelo Pergolini (Marco Tropea Editore, 1997, Mondadori, 2005), Rapita dalla Giustizia, con Angela Lucanto e Caterina Guarneri (Rizzoli, 2009), e La Gogna: come i processi mediatici hanno ucciso il garantismo in Italia (Boroli editore, 2011). Il suo accounto twitter è @mautortorella

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