Compensazione dei crediti fiscali ed accollo: novità e difficoltà
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Compensazione dei crediti fiscali ed accollo: novità e difficoltà

Come muoversi tra le recenti normative in materia di compensazione senza cadere nei controlli e nelle sanzioni del fisco

Poco prima di ferragosto il fisco, con un documento molto articolato, ha dettato una serie di linee guida in materia di controlli fiscali: si tratta della circolare 19/E dell’8 agosto, e affronta diversi temi. Tra i molti ne vengono in particolare evidenza alcuni. Uno di questi è il tentativo di ampliare la sfera di responsabilità dei professionisti rispetto alle condotte poste in essere dai contribuenti che assistono. Un altro passaggio di grande rilievo è quello dedicato alle compensazioni. Lo Statuto del contribuente, infatti, attribuisce al contribuente la facoltà di compensare sempre i suoi crediti fiscali con i debiti verso l’erario (art. 8 co. 1 L. 212/2000). Il fisco però ha sempre mantenuto un elevato livello di attenzione in quanto il timore è che vengano poste in essere operazioni per la creazione artificiosa di crediti fittizi in modo da annullare i propri debiti fiscali. Non a caso la compensazione mediante crediti inesistenti è gravemente sanzionata, sia a livello amministrativo che a livello penale.

In effetti, la pratica delle indebite compensazioni spesso è parte di articolati schemi che coinvolgono società “cartiere” che emettono false fatturazioni e scompaiono nel nulla, e colpiscono soprattutto il settore dell’IVA e delle accise.
Nel tempo, però, quella che in linea generale può essere una giusta preoccupazione, si è trasformata in una vera ossessione, anche perché la posta sul tavolo delle compensazioni è miliardaria.

La conseguenza è che le agenzie fiscali preposte tendono ad ostacolare significativamente, e spesso oltre il necessario, le operazioni di compensazione.

Ad esempio, con un atto interpretativo del novembre 2017, la risoluzione n. 140/E, l’Agenzia delle Entrate, con l’evidente intento di restringere la portata applicativa delle compensazioni, ha confezionato la tesi secondo cui non si potrebbero portare in compensazione dei crediti nei confronti dell’erario, debiti frutto di atti di accollo con altri contribuenti. Chiariamo meglio: sempre nello Statuto del contribuente (art. 8 co. 2 L. 212/2000) è prevista la facoltà di accollo dei debiti di un contribuente da parte di un altro contribuente. L’accollo è un istituto disciplinato dal codice civile che prevede che un soggetto A (accollante) assume il debito (e quindi l’impegno ad estinguerlo) di un soggetto B (accollato). La norma dello Statuto del contribuente prevede che tale tipo di operazione si possa applicare anche rispetto ai debiti fiscali ed è stabilito che il contribuente B (accollato) comunque non è liberato dal suo debito fino a quando esso non viene interamente pagato.

Per effetto di questa norma, si è diffusa una prassi attraverso la quale contribuenti che accumulano importanti crediti nei confronti dell’erario, piuttosto che affrontare le lungaggini per l’ottenimento di rimborsi, preferiscono assumere il debito altrui, mediante un contratto di accollo, ottenendo il pagamento dal debitore accollato di una somma inferiore rispetto all’entità del suo debito, per poi portarlo in compensazione. In questi casi, quindi, il contribuente A, poniamo, si fa carico del debito di 100 che B ha verso il fisco e ottiene il pagamento immediato di 80. Dopodiché, porta quel debito di 100 in compensazione del suo credito, diciamo anch’esso di 100, verso il fisco.
Ora il fisco con la risoluzione 140/E richiamata, il fisco cerca di contrastare questo tipo di prassi sostenendo che essa non sarebbe ammessa dalla normativa fiscale.

Le ragioni di diritto alla base di questa interpretazione sono estremamente discutibili: non è questa la sede per approfondite analisi giuridiche, ma la dottrina ha assunto una posizione critica in modo pressochè unanime.
Tuttavia, della debolezza della tesi pare in qualche modo consapevole la stessa Amministrazione finanziaria, al punto che nella determinazione riconosce che il quadro normativo è di difficile interpretazione ed esclude la possibilità di perseguire operazioni poste in essere prima dell’emanazione di questa direttiva interpretativa.

A complicare ulteriormente il quadro c’è un precedente della Cassazione penale, non meno discutibile: la sentenza n. 1999/2018. Con questo precedente la Corte afferma che la compensazione di crediti fiscali con debiti accollati, quando i crediti siano frutto di operazioni di evasione, integra un’ipotesi di delitto e afferma, incidentalmente, che la compensazione di debiti oggetto di operazioni di accollo sarebbe preclusa dal dettato dell’art. 17 D.Lgs. 241/97. Norma, che secondo la Cassazione, ammetterebbe la compensazione solo nel caso in cui vi sia identità tra il contribuente che opera la compensazione e il debitore verso il fisco perché la norma richiederebbe che “la compensazione avvenga tra i medesimi soggetti”.
Anche questa sentenza, tuttavia, appare fondata su ragionamenti discutibili e su una ricostruzione giuridica quanto meno lacunosa.
Ma in concreto, perché l’interpretazione che esclude la possibilità di compensare crediti (effettivi ed esistenti) con debiti assunti mediante accollo si ritiene errata?

Prima di tutto perché nella legge non c’è una disposizione che vieta esplicitamente la compensazione di debiti oggetto di accollo.
Contrariamente a quanto si afferma nella sentenza della Cassazione, l’art. 17 D.Lgs. 241/97 non la esclude affatto. Il riferimento contenuto nella norma ai “medesimi soggetti”, in realtà, è inserito in una espressione che pone il contribuente nella duplice alternativa: effettuare i versamenti all’ente creditore (Stato, regioni, INPS, etc.) oppure compensare i crediti che vanta verso i “medesimi soggetti” (quindi, sempre Stato, regioni, INPS, etc.).
In secondo luogo perché il pilastro del ragionamento del fisco è che la compensazione sarebbe ammessa solo su debiti “propri” e non “altrui”. Questo assunto, però, si scontra con il fatto che, una volta perfezionato un atto di accollo valido, quel debito diventa un debito “proprio”, del contribuente accollante, e non è più semplicemente “altrui”. E questo, indipendentemente dal fatto che il debitore “accollato” rimanga ugualmente obbligato nei confronti del fisco fino a che quel debito non venga estinto. Tale circostanza, infatti, non fa venire meno il fatto che quel debito è entrato nella sfera giuridica del contribuente “accollante”.

Uno dei punti di debolezza, maggiormente criticati, della risoluzione, infatti, è proprio che nell’ambito di tale documento non è stato correttamente inquadrato sul piano civilistico l’istituto dell’accollo.
Sta di fatto che una delle prime conseguenze di questa linea interpretativa è che un’ondata di atti di controllo e di recupero sulle compensazioni aventi ad oggetto debiti frutto di accollo, ha investito i contribuenti dopo l’emanazione della risoluzione 140/E del 2017.
E nonostante i dubbi sollevati da più parti, tale linea di condotta è stata confermata dalla circolare 19/E dell’agosto 2019: qui non solo si è insistito sulla necessità di colpire con incisività tale tipo di prassi, ma addirittura si cerca di responsabilizzare quei professionisti che assistono i contribuenti in questo tipo di operazioni arrivando a puntare il dito contro i professionisti colpevoli di realizzare “pacchetti di risparmio fiscale” che prevedono tali operazioni di accollo a favore dei propri clienti.

È bene fare chiarezza: è indubbio che le compensazioni su crediti inesistenti, creati in modo artificioso, sia illegittima e costituisca un reato, come tale perseguito non solo in sede amministrativa, ma anche in sede penale, ed è comprensibile, quindi, che la soglia di attenzione su questo tipo di operazioni possa essere elevata.
Da qui a demonizzare indiscriminatamente tutte le operazioni di compensazione ed accollo e a gettare la croce sui professionisti che si trovino ad assistere i propri clienti su tali operazioni, in un quadro normativo di riconosciuta incertezza, arrivando a sfornare creative interpretazioni per negare in radice la possibilità di operare compensazioni su debiti frutto di accollo, c’è un bel salto.
Per giustificare una simile campagna contro le compensazioni sui crediti oggetto di accollo sarebbe necessario che ci fossero solide ragioni di diritto, che allo stato non si riescono a ravvisare.

In questo contesto appare sproporzionato ed inquisitorio stigmatizzare il fatto che i professionisti osino proporre “pacchetti di risparmio fiscale”. Per essere chiari, non si discute che debba essere punito chi bara creando finti crediti verso il fisco così come quei professionisti che concorrono attivamente nella frode.
Tuttavia, in un sistema in cui l’opzione fiscale più conveniente spesso è nascosta tra le pieghe di un quadro normativo caotico e di difficile interpretazione, la risposta da dare al contribuente non è quella di brandire la clava della repressione o dell’abuso del diritto, ma l’impegno concreto di una effettiva semplificazione del corpo normativo.

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Luciano Quarta