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Epa
Calcio

Il miracolo di Mourinho

Strapagato, criticato, amato dai suoi e detestato dagli altri: la vittoria della Roma in Conference League porta la firma indelebile del portoghese che ha trapiantato la sua mentalità vincente anche nella Capitale

Beati i tifosi della Roma che hanno potuto fare festa fino a notte inoltrata, aspettare che l'aereo riportasse la squadra da Tirana nella Capitale, riversarsi per le strade e affollare l'Olimpico. Godere, insomma, e non poco dando un senso compiuto alla stagione e mettendosi nella propria bacheca virtuali di tifosi una coppa che è sfigata e inutile solo per gli altri, per chi nella notte della finale tra i giallorossi e il Feynenoord ha potuto solo fare da spettatore, magari gufante.

Fortunati loro, mentre tutti gli altri mandino a memoria la lezione impartita dal professor Jose Mourinho, arrivato al 26° titolo di una carriera straordinaria nella quale ha messo la sua firma praticamente su tutto: Champions League, Europa League, Serie A, Premier League, Liga spagnola e Liga Portugal più un corredo di altre coppe. L'unico, insomma, che avrebbe avuto diritto di snobbare l'ultima arrivata in casa Uefa, il vaso di coccio tra la matrigna Champions e della sorellastra Europa League. L'unico che a inizio stagione ha spiegato con le parole e con i fatti che a Tirana a giocarsela lui ci teneva ad arrivare e, poi, ad alzare quel trofeo nel cielo albanese e a riportarlo a casa.

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Bravi anche gli altri che, mese dopo mese, lo hanno seguito in questa missione non semplice perché la Conference League è una trappola unica tra trasferte logisticamente massacranti e sfide dall'appeal dubbio per un sistema che ha la puzza sotto il naso. Bravi a passare dall'umiliazione con il Bodo Glimt senza farsi schiacciare e a non rinunciare mai a tenere la mente sull'obiettivo. Tutti. Calciatori, società e ambiente: i tutti esauriti in serie sono la conferma che ogni singolo atomo di romanismo aveva metabolizzata e fatta propria la mission dettata dallo Special One: vincere. Perché non è vero che l'importante è partecipare, quando sai che in molte delle competizioni hai poca strada da fare. L'importante è vincere, regalare sogni ed emozioni, notti da ricordare e che sono il tessuto su cui si intreccia il dna di un club e di un popolo.

Questo è stato il miracolo di Jose Mourinho e beati i tifosi della Roma che se lo possono godere. Gli altri vadano pure avanti a discutere su quanto sia importante la coppa (De Laurentiis l'ha definita "inesistente" giusto qualche ora prima che i Friedkin la vincessero) e a spiegare al mondo che conta solo la Champions, il campionato, magari - ma non sempre - la Coppa Italia. E che le loro bacheche restano di conseguenza vuote e impolverate, togliendo alla propria gente il gusto di notti così.

Amato alla follia dai suoi, detestato dagli altri: questo è Jose Mourinho e il suo primo anno alla Roma lo ha confermato. Si può discutere sul bilancio tecnico di un campionato concluso con un solo punto in più rispetto all'anno precedente, sui soldi fatti spendere ai padroni americani in acquisti che in alcuni casi si sono rivelati dei flop. Si può discutere tutto, tranne una cosa: Mourinho si è già preso un posto nella storia della Roma e ci ha portato questa generazione di tifosi, tanti nemmeno nati l'ultima volta che all'Olimpico si è davvero festeggiato qualcosa. Se vi sembra poco, restate pure a discutere con quelli che non vincono mai e lo faranno (a parole) sempre la prossima volta...

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Giovanni Capuano