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Covid e debiti: così il calcio europeo rischia il crac

Nella stagione della pandemia, con gli stadi chiusi e i ricavi in picchiata, emerge il peso dei soldi che il pallone prende in prestito. In Italia riflettori su Juventus, Inter e Roma

E' una montagna di oltre 4 miliardi di euro solo per le dieci società top d'Europa. Un vero e proprio Everest di debiti da scalare in buona parte nei prossimi dodici mesi in cui il calcio mondiale difficilmente uscirà dalla crisi innescata dalla pandemia e che (secondo le stime dell'ECA guidata da Andrea Agnelli) provocherà perdite per 8,5 miliardi di euro e obbligherà i proprietari a mettere mano al portafoglio per tirarne fuori oltre uno in ricapitalizzazioni. L'unica strada per evitare il crac, sperando che la campagna vaccinale funzioni e che dalla crisi rimanga in eredità anche una sana dieta alla voce 'costi', leggi stipendi dei calciatori, non più sostenibili in un sistema che fattura mediamente il 30-40% in meno di prima.

La massa di debiti finanziari, ovvero la somma dei 'dare' senza alcun limite di tempo, è stata fotografa in un report da KPMG che è partita dal caso del Barcellona per allargare la visuale sul resto d'Europa. Facendo emergere un quadro preoccupante, perché se è vero che non tutti i debiti sono necessariamente malati e che la leva finanziaria è necessaria per investire ed espandersi, è altrettanto evidente come il peso di oltre 4 miliardi (4.108 milioni di euro) rischi di risultare indigesto in una fase in cui molti club cercano proprio sul mercato finanziario le risorse per far fronte alla crisi.

E se il Barça, che ha appena eletto in Laporta il nuovo presidente, sta attraversando un momento difficilissimo in cui l'attenzione ai conti dovrà essere maniacale, non è che gli altri stiano meglio. In cima alla classifica dei debiti c'è il Tottenham con 933 milioni di euro di cui un quinto (193) a scadenza entro un anno dal 30 giugno 2020. Non deve sorprendere, avendo gli Spurs attinto a piene mani dalla leva finanziaria per supportare la costruzione del nuovo, modernissimo, stadio inaugurato nell'aprile del 2019; peccato, però, che il Covid abbia soffocato sul nascere il momento della raccolta dei frutti lasciando sulle spalle del club tutti gli impegni presi.

L'altra big indebitata oltre il mezzo miliardo è il Manchester United (581) che continua a scontare l'operazione di takeover voluta dalla famiglia Glazer nel momento dell'acquisto dei Red Devils: una formula sempre criticata dai fans inglesi ma che di fatto ha scaricato sulla società una montagna di debiti. Quindi il Barcellona con i suoi 480 milioni di euro (268 scadono entro giugno 2021 e vanno ripagati o rifinanziati) e poi arrivano le italiane per le quali va fatto un ragionamento differente.

Solo la Juventus degli Agnelli ha uno stadio di proprietà come asset da valorizzare, ma i suoi 396 milioni sono in larga parte maturati nelle ultime stagioni quando i bianconeri si sono rivolti al mercato per finanziare la campagna espansiva sul calciomercato: nel 2019 è stato lanciato un bond da 175 milioni con scadenza nel febbraio 2024, quindi ancora lontana per rappresentare un problema. L'Inter (411 milioni complessivi di cui 39 in scadenza entro giugno 2021) sta invece lavorando a fondo per rifinanziare i 375 milioni di due bond che spirano nel 2022. I guai di Suning non facilitano il lavoro e un possibile ingresso di socio o cessione della maggioranza nascerà proprio da questa esigenza di alleggerire e riorganizzare i debiti.

La Roma (307 milioni al 30 giugno 2020) è appena finita nelle mani di Friedkin che sta immettendo fiumi di denaro per garantire l'attività corrente del club e sostenerne il piano di rilancio. Una strada lunga e costosa. Nella lista dei grandi debitori ci sono anche Real Madrid (305 milioni), il Porto che ha appena eliminato la Juventus dalla Champions League (251), il Lione (227) e l'Atletico di Madrid (218). Quasi tutti hanno stadi di proprietà su cui hanno investito. Le italiane, Juventus a parte, no e basterebbe questo a sottolineare l'urgenza di un avanzamento nelle infrastrutture.

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Giovanni Capuano