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Buoni con i kamikaze, teneri con il tiranno

Ci diciamo che non abbiamo più lacrime. Ma non facciamo nulla per prevenire attentati e raid di morte

Ci diciamo che non abbiamo più lacrime. Lo ripetiamo sconvolti mentre scorrono le immagini dell'ennesima strage, attoniti mentre una mano accarezza le bare allineate per i funerali. Ci sentiamo rassegnati quando malediciamo l'ultimo kamikaze e, cambiando canale, apprendiamo che, di nuovo, i terroristi hanno colpito. Sì, ci sentiamo rassegnatie impotenti. Perché vorremmo risposte, vorremmo essere rassicurati dalla certezza che stiamo facendo di tutto per prevenire attentati e raid di morte.

Non è così. Lo denunciamo da anni, prima ancora di piangere le vittime di Parigi e Bruxelles, di Dacca e Nizza. L'Italia, semplicemente, si è ben guardata dall'essere in prima lineae ha preferito fare da ruotino di scorta a un dispositivo sgangherato e disorganizzato. Non siamo di fronte oggi a una tragedia che si traduce in farsa ma, peggio, a un'inerzia che diventa macchietta. C'è l'Italia ma sullo stesso piano c'è l'Europa, quel concetto di Unione che ha fallito clamorosamente sul fronte del terrorismo islamico e prima ancora su immigrazione e rilancio dell'economia. Siamo perplessi e sconcertati nel leggere di beghe tra comari e mancanza di coordinamento tra polizia e procure oppure tra magistrati stessi. Cadono le braccia davanti all'improvvisazione di un ministro dell'Interno che per contrastare i jihadisti tira fuori dal cilindro l'idea di far passeggiare armati poliziotti e carabinieri quando non sono in servizio.

O, peggio, di fronte alla trovata geniale del presidente del Consiglio che istituisce una commissione di indagine formata da tecnici indipendenti (ci vedo bene il suo amichetto finanziatore Marco Carrai) sull'Islam radicale "come strumento di conoscenza e di contrasto al fenomeno" che dovrà terminare i lavori tra i 90 e i 120 giorni. Tra ottobre e novembre, annuncia, "avremo la prima disamina ampia e particolareggiata di questo argomento". Il che equivale a dire: finora siamo andati a tentoni, non abbiamo saputo mettere insieme le informazioni, non disponiamo di un piano di prevenzione serio, lo sforzo dei nostri apparati di intelligence è stato ed è tuttora vano. E voi, integralisti tagliagole che fate impunemente avanti e indietro dall'Italia (vedi i fiancheggiatori individuati per le stragi di Parigi e Nizza), state pure tranquilli perché fin quando non arriverà il generale inverno saremo impegnati con la nostra commissione a comprendere il livello di radicalizzazione nelle comunità islamiche.

Tutto questo fa parte di un canovaccio da operetta, l'ennesima dimostrazione della mala arte di vivacchiare che ci contraddistingue. La stiamo sperimentando anche dopo i fatti della Turchia. Con il suo contro golpe, Recep Tayyip Erdogan sta toccando vette di disumanità che neanche Augusto Pinochet aveva raggiunto: le immagini dei soldati ammassati come bestie e picchiati selvaggiamente, i rastrellamentie le purghe di magistratie poliziotti invisi al regime sono lìa testimoniarlo. Qual è la nostra reazione? Un invito a non introdurre la pena di morte, come se già non fosse applicata. Tutto qui: a Erdogan diciamo di non esagerare, di sistemare le sue cosucce però senza clamore. Questo non è l'Occidente, siamo quasi all'Eurabia preconizzata quindici anni fa da Oriana Fallaci. E ancora non abbiamo toccato il fondo.

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Giorgio Mulè