alessandro floris XXII ottobre terrorismo
La drammatica sequenza della morte di Floris (Ilio Galletta via Ansa)
News

Genova: cinquant'anni fa l'omicidio di Alessandro Floris

Il 26 marzo 1971 i terroristi della "XXII ottobre" uccidevano il fattorino dello Iacp. Le Brigate Rosse ne raccoglieranno l'eredità nella lunga stagione che insanguinò l'Italia

Cinquant'anni fa a Genova il fattorino dell'Istituto Autonomo delle Case Popolari Alessandro Floris moriva nel tentativo di proteggere la borsa contenente gli stipendi dei dipendenti dell'ente. Le violente immagini dell'omicidio, grazie alla disponibilità degli scatti effettuati per caso dallo studente e fotoamatore Ilio Galletta, fissarono per sempre l'inizio della terribile stagione del terrorismo in Italia. E' venerdì 26 marzo 1971 e la scena del delitto si consuma tra la sede dello Iacp di via Bernardo Castello, la scalinata Giovanni Verga e la via Banderali dove Floris, trentunenne emigrato dalla Sardegna, perse la vita inseguendo i rapinatori che stavano per dileguarsi con il bottino di oltre 17 milioni di lire. Dalla pellicola di Galletta si vede tutta la sequenza. Floris che cerca di aggrapparsi ai terroristi in fuga su una Lambretta rubata, quindi lo si vede accasciarsi al suolo colpito all'addome dalla Smith and Wesson calibro 38 dei terroristi. E'la prima vittima innocente di un gruppo organizzato autodefinitosi "rivoluzionario", del quale gli inquirenti non erano neppure a conoscenza del nome. La definizione di "gruppo XXII ottobre" venne dai giornali e fu ispirata dalla data del timbro su un biglietto ferroviario ritrovato in seguito nella tasca della giacca di uno dei killer di Floris.
Ma chi erano gli assassini del giovane fattorino? Non ci volle molto perché gli inquirenti passassero dalle indagini agli arresti. Neppure un giorno (grazie anche alle schiaccianti prove fotografiche) fu necessario per la cattura dei responsabili dell'omicidio, Mario Rossi e Augusto Viel. Il primo, capo della squadra e esecutore materiale dell'assassinio, viene fermato dai Carabinieri mentre è ancora in fuga sulla Lambretta. Il secondo sarà arrestato dopo essersi dileguato cercando di travestirsi da donna.
Dietro a questa apparentemente mal organizzata banda di rapinatori comuni terminata con una tragedia, in realtà si nascondevano i primi germi del terrorismoorganizzato che vedrà il suo apice con la lunga stagione delle Brigate Rosse.


La banda che uccise Floris veniva dal proletariato industriale della Val Bisagno, ed era caratterizzata da un'eterogeneità di esperienze personali e anche politiche (uno dei membri, Diego Vandelli, era stato simpatizzante dell'estrema destra) ma accomunati dall'ossessione del "pericolo fascista" dopo la strage di Piazza Fontana e il fallito golpe Borghese e dalla conseguente mitizzazione dell'esperienza partigiana dei Gap nonché dall'esperienza della sollevazione popolare di Genova in occasione della scelta della città per il congresso del Msi nel 1960, episodio che costò la poltrona di premier al democristiano Tambroni. Il gruppo fu fondato nel 1969 con il nome generico di "banda Gap" e passò all'azione poco dopo con una serie di attentati nella zona di Genova. L'ispirazione alla lotta armata venne da una venerazione per l'azione dei Tupamaros e per il libro-bibbia "Piccolo manuale di guerriglia urbana" del rivoluzionario brasiliano Carlos Marighella, che i terroristi cercarono di applicare praticamente alla lettera. Le azioni dei "nuovi partigiani" nella loro breve esistenza culminata con un omicidio, non furono affatto trascurabili in termini di risonanza. Genova ebbe paura quando la banda passata dalla teoria ai fatti, fece esplodere il deposito del petroliere Garrone ad Arquata Scrivia e il deposito della Ignis del "fascista" Donghi. Solo per un caso, legato alla sostanziale imperizia del gruppo, si evitarono stragi al Consolato Usa di Genova e alla caserma dei Carabinieri di via Moresco. Ancora più impressione fece il sequestro portato a termine per autofinanziarsi (ma anche per tornaconto personale di alcuni membri della banda) del giovane figlio di industriali Sergio Gadolla il 5 ottobre 1970. Dal rapimento i membri della XXII ottobre ricavarono l'ingente somma di 200 milioni, ma fu solo l'effetto sorpresa sugli inquirenti a far si che il colpo riuscisse. Genova e in generale l'Italia settentrionale non era all'epoca a conoscenza di organizzazioni criminali che usassero il sequestro in modo sistematico come l'Anonima sarda. Si escluse anche la pista della malavita comune genovese, mai interessata a questo genere di azioni criminose, condotte in modo approssimativo da Rossi e compagni. Il sequestrato fu tenuto prigioniero sul Monte Bue, un altura dell'entroterra ligure al confine con la provincia di Parma dove i sequestratori stessi faticarono a reggere il clima rigido dell'inverno appenninico, ma il riscatto arrivò e Gadolla fu liberato la mattina del 10 ottobre dopo soli cinque giorni di detenzione. Tuttavia un elemento che si ritroverà nella pratica successiva delle Brigate Rosse, quello del sequestro di persona, fu per la prima volta sperimentato dal gruppo XXII ottobre, accanto all'amplificazione mediatica delle rivendicazioni, che il gruppo esercitava con un vecchio apparato radio in grado di inserirsi sulle frequenze del primo canale Rai dove i "nuovi partigiani" enunciavano i loro proclami di guerra, tra i quali emerse una formula che diventerà tristemente nota sette anni più tardi: l'"attacco al cuore del sistema".


Mario Rossi, capo della XXII ottobre durante il processo per l'omicidio Floris (Ansa)


Il giudice Mario Sossi che condannò Rossi e compagni rapito dalle Br nel 1974 (Ansa)


Proprio riguardo all'eredità del gruppo di Mario Rossi verso le costituende Brigate Rosse, questa fu raccolta soltanto in seguito durante la fase processuale ai membri del gruppo e si trascinerà a lungo, per arrivare al vero "attacco al cuore dello Stato" con il rapimento Moro. La figura di Mario Rossi, capo politico e rivoluzionario, fu mitizzata dalla stampa e dai fiancheggiatori. Mentre il popolo operaio genovese rifiutò di farsi coinvolgere dai "nuovi Tupamaros" e condannò apertamente l'omicidio di un innocente che proteggeva le paghe di semplici impiegati, dall'estero e soprattutto dagli ambienti del periodico "Libération" partì una campagna in difesa delle azioni della XXII ottobre e di condanna al sistema giudiziario italiano accusato di metodi autoritari contro questi nuovi "eroi dell'antifascismo". Fu lanciata anche una petizione in difesa dei compagni incarcerati in Italia alla quale aderirono nomi altisonanti come Jean Paul Sartre e il regista Jean Luc Godard.
Proprio la fase del processo ai membri della XXII ottobre, annientata dopo il primo e fortunatamente ultimo omicidio, andrà a creare quell'humus nel quale le nascenti Brigate Rosse troveranno terreno fertile per l'opera costante di strumentalizzazione dei "detenuti politici" a partire dalla punizione esemplare inferta al giudice "fascista" Mario Sossi, che sarà rapito nell'aprile 1974 proprio dal nucleo primigenio delle Br (Franceschini, Cagol, Bertolazzi). La richiesta dei terroristi fu proprio la liberazione dei "compagni" della XXII ottobre, alla quale si oppose fermamente il giudice Francesco Coco, che due anni dopo cadrà sotto il piombo della stella a cinque punte. Il continuum che legò il gruppo XXII ottobre alle Brigate Rosse nell'escalation di violenza della seconda metà degli anni settanta si ritroverà ancora sette anni dopo nei comunicati del sequestro Moro, in cui i terroristi chiedevano nuovamente la liberazione degli assassini di Floris durante quell' attacco "al cuore dello Stato" già pensato in nuce dal gruppo dei "nuovi partigiani" venuti dalla periferia genovese.

I più letti

avatar-icon

Edoardo Frittoli