Alessandro Di Battista
ANSA/ALESSANDRO DI MEO
News

Alessandro Di Battista, l'anti-Salvini sulla rotta del Che

Si prepara a lasciare l'America latina e a rientrare in Italia. "Non voglio candidarmi per le Europee" assicura. Ma all'interno del Movimento 5 stelle in molti lo aspettano per contrastare lo strapotere della Lega e rilanciare il grillismo duro e puro

"Vi abbraccio... io Sara e Andrea torneremo, giusto giusto, per Natale e poi... poi vedremo quello che succederà". L'ultimo messaggio, consegnato alla platea del Circo Massimo, collegato in mondovisione, durante la kermesse del M5s a Roma, ha raccolto un boato degli attivisti pentastellati e ha fugato ogni dubbio. Alessandro Di Battista a dicembre lascerà il Sudamerica per tornare in Italia e ricominciare dall'Italia. Il che in parte era previsto ("Il Natale del nipotino con le nonne") e in parte è il prodotto di una accelerazione dettata dalla battaglia che nel nostro paese si fa sempre più incandescente (dopo la manovra e per via dello stato di pre-crisi innescato dai mercati e dalla crescita dello spread).

Sulla strada del Che per studiare i populismi

Era previsto il Natale a casa, infatti, ma non era ancora decisa la fine dei reportage sudamericani dopo le feste. L'itinerario cheguevarista (sulla scorta dei celebri viaggi della motocicletta) e il periodo "sabbatico" da giornalista, infatti, per l'ex deputato del M5s è stato professionalmente gratificante e molto proficuo, ricco di articoli e reportage per Il Fatto e per Loft (la tv online del quotidiano) girati sia da lui sia dalla sua compagna, anche solo con il telefonino. Un percorso di lavoro ma anche di "autoformazione" che ha permesso ad Alessandro di studiare i populismi nel laboratorio incandescente del Centro e Sudamerica, tra l'avanzata di destre sovraniste (vedi Brasile) o - come le chiama lui- "controrivoluzionarie" (in Ecuador).

Adesso il ritorno. Lo stesso Di Battista lo confessa alle persone con cui ha parlato in questi mesi, agli amici del Movimento: "Quando ho preso questa decisione non avrei mai pensato che mi sarebbe mancata così tanto la politica in prima linea". Nel collegamento del Circo Massimo, Di Battista ha detto anche di più, con un tema accennato in un passaggio finale del suo messaggio: "Io credo molto nella battaglia contro la 'bancocrazia' per riprenderci fette di sovranità finanziaria per fare delle nostre politiche autonome e ritornare a garantire i diritti sociali ed economici ai cittadini".

I malumori in casa Lega

Frasi che hanno fatto proliferare i retroscena sui quotidiani: Di Battista torna per fare il capolista alle Europee, Di Battista torna per prendere il posto di Virginia Raggi, Di Battista torna per sostituire Luigi Di Maio.

Il Corriere della sera ha raccontato in un retroscena che persino in casa Lega ci sarebbero malumori per un eventuale nuovo ingresso di scena di Dibba: troppo protagonista, troppo ingombrante, meno malleabile per il Carroccio rispetto a un Di Maio più fedele allo spirito dell'alleanza e talvolta in difficoltà nella competizione. Il ragionamento non è del tutto privo di senso, se è vero che le sue uscite mediatiche e televisive sapientemente centellinate continuano a riscuotere interessee ascolti: da Giovanni Floris, o da Lilli Gruber - ad esempio - che non a caso gli ha dedicato la puntata di apertura della sua stagione.

L'appeal di Dibba

Dibba infatti è televisivamente un "blockbuster", con la sua presenza è in grado di garantirti uno o due punti di share in più. Ma una cosa è averlo collegato dal Guatemala, con undici secondi di ritardo e la luce del giorno mentre in Italia è notte, altro è averlo in studio o nelle piazze italiane. Che Di Battista sia considerato un osso duro dagli avversari, lo dimostrò plasticamente Filippo Sensi (all'epoca portavoce di Renzi alla presidenza del consiglio dei ministri) che si spinse a marcarlo così stretto da rischiare lo scandalo (altro che Casalino!) mandando per errore ai giornalisti un sms compromettente destinato ai deputati del Pd: "Proviamo a menare Di Battista sul discorso della Libia ricordandogli l'Isis". Menare. L'sms venne pubblicato dopo due giorni, e produsse una nota di spiegazione a dir poco imbarazzata di Palazzo Chigi. Ma per Dibba quell'sms divenne come un certificato di garanzia.

Tuttavia nessuna delle tre opzioni indicate dai retroscenisti che fanno ipotesi sul ritorno è vera, se non altro perché l'interessato lo ha messo in chiaro con i dirigenti del Movimento e con Davide Casaleggio: "Guardate che non mi candido alle Europee e non mi passa nemmeno per la testa di fare il sindaco di Roma al posto di Virginia". Quanto alla staffetta con Di Maio (nel ruolo di capo politico) lui la definisce come "pura fantasia". In questi anni Di Battista è stato attento a mostrarsi una specie di alter ego di Luigi, non un suo concorrente. Ma la sua forza sta nella regola del "divieto di doppio mandato": è l'ultimo vincolo rimasto tra le tante regole cambiate dal Movimento, dopo la cancellazione - sia pure condizionata - dell'obbligo di dimissioni per gli indagati, o del divieto di apparire in televisione (che nel 2012 costó l'espulsione a Giovanni Favia e Federica Salsi). E anche se qualcuno comincia a ventilare che per Di Maio possa farsi un'eccezione sul divieto della terza candidatura (che spianerebbe la strada a Di Battista), Alessandro rimane comunque una sorta di "riserva della Repubblica" a cinque stelle.

La preparazione per la "battaglia" italiana

Chi ci ha parlato assicura che torna non da dissidente con una linea alternativa, ma semmai il contrario: proprio perché il passaggio alla linea dura nel confronto con l'Europa - cioè - era quella che lui aveva sempre previsto (e auspicato). "Ero convinto che Bruxelles ci avrebbe scatenato contro la guerra, è chiaro che faranno di tutto per impedirci di recuperare la nostra sovranità" dice ora dall'altro lato dell'Oceano. E nel momento in cui questa battaglia accelera lui vuole esserci. Basta vedere quanto tempo ha passato a informarsi su whatsApp o a dialogare con gli amici attraverso messaggi vocali. Lo fa capire lui stesso quando racconta di giornate in cui è stato obbligato a passare più tempo a cercare sui siti notizie sull'Italia che a girare tra i campesinos del Sudamerica. E pazienza se sono giorni difficili per il movimento che paga la retromarcia sul No al gasdotto pugliese e se diventa un tormentone il video in cui lui stesso, Dibba, prometteva il blocco dell'opera in due settimane.

Tutto ciò secondo lui non lo danneggia, anzi, alimenta un sentimento di nostalgia: Dibba è convinto che in prima linea saprà tenere alta la bandiera del movimento con lo stesso spirito d'attacco che lo portava ai suoi interventi incandescenti contro il governo Renzi.  Dal Guatemala, durante un collegamento, quando era entrata nell'audio la voce di Andrea piangente, Alessandro aveva subito colto l'occasione: "Stavo parlando del Pd, è un figlio che come molti italiani solo all'idea gli vengono le lacrime".

Anche la road map degli ultimi due mesi all'estero sembra costruita come un corso di formazione per prepararsi alla battaglia italiana. Un viaggio utile non solo all'inchiestista ma anche al "politico" in sonno. Questa settimana Alessandro e Sara partono per El Salvador: con Andrea di pochi mesi (ne aveva 7, adesso ne ha 13) al seguito, usando mezzi pubblici, dormendo spesso in casa di amici o in ostello. Subito dopo andranno in Nicaragua (a raccontare una rivoluzione sfiorita). Dibba racconta di aver scritto due reportage che devono ancora uscire, uno sulla palma africana (e il suo impatto sulle economie), un altro sull'avanzata delle chiese evangeliche in tutto il Centroamerica che diventano - anche - strumento di pressione politica. A dicembre - quando avrà compiuto l'itinerario via terra da San Francisco a Panama - con i suoi articoli vuol affrontare altri due temi che sono interessanti nell'ottica italiana: il Brasile di Bolsonaro, come verifica di un esperimento sulle potenzialità di un populismo che viene ibridato "da destra" (inevitabile pensare all'avanzata di Salvini). E soprattutto - dice - le nazionalizzazioni in Bolivia, "unico esperimento di un ritorno alla centralità dello Stato".

Il rifiuto del Fatto che lo portò da Casaleggio

Se gli si chiede della sua esperienza di questi mesi, parla di un viaggio bellissimo, per cui avrebbe desiderato più tempo: "Praticamente faccio la stessa vita che facevo prima di entrare in Parlamento, ma in più scrivendo per il Fatto: adesso però siamo in tre, e questo rende tutto più complesso". D'altra parte proprio con il Fatto si è tolto proprio una bella soddisfazione. Otto anni fa - quando era un giovane cronista precario e del tutto sconosciuto, attivista della prima ora del movimento di Grillo, aveva chiesto al quotidiano (all'epoca diretto da Antonio Padellaro) un colloquio per proporre le sue corrispondenze dal Sudamerica. Era stato nel 2008 cooperante in Guatemala e aveva un cassetto pieno di racconti legati a quell'esperienza. Lo aveva ottenuto, il colloquio, ma per sua sfortuna era incappato in Nuccio Ciconte, ex corrispondente da L'Avana per l'Unità, il primo severissimo caporedattore (oggi scomparso). I due non potevano essere più diversi: quadrato, arcigno e calabrese, Ciconte era il tipo meno adatto per apprezzare l'eclettismo creativo romano e movimentista di Dibba. E infatti di fronte alla proposta di reportage sulle comunità aborigene equo-solidali dell'Amazzonia, aveva risposto con un brusco "mi spiace, non ci interessano".

Il caso vuole che questo rifiuto abbia avuto un ruolo decisivo nella vita di Alessandro. Che senza scoraggiarsi bussò direttamente alla porta di Gianroberto Casaleggio. Il guru del Movimento 5 stelle non solo gli aprì, ma rimase entusiasta dell'attivista terzomondista. Vide del talento in questo ragazzo così intraprendente e anche una personalità perfetta per dare voce all'ala più radicale del popolo grillino. Subito gli propose di pubblicare le sue corrispondenze dal Sudamerica in un libro digitale della Casaleggio Associati. Fu così che Dibba trovò contemporaneamente i punti forza che avrebbero segnato gli anni a venire: un editore che alimentasse la sua vena giornalistica (gli furono pubblicati altri due libri) e un mentore di rilievo che lo lanciasse nella carriera politica.

Da semplice attivista, nel 2008 era stato candidato nella lista "Amici di Beppe Grillo" (primo, e meno fortunato prototipo del successivo Movimento) alle elezioni comunali di Roma. Non riuscì ad essere eletto - ovviamente - raccogliendo un pugno di voti. Ma anche in questo caso c'entra l'ironia della sorte, visto che questa sconfitta fu decisiva per la sua ascesa. Nel 2012, infatti, secondo un regolamento di allora, poteva candidarsi alle politiche e partecipare alle "parlamentarie" solo chi era stato candidato e non eletto in altre elezioni. Era il suo caso e stavolta ce la fece a entrare alla Camera.

Il futuro da anti-Salvini

In pochi mesi era già un personaggio. Uno capace di zampate politicamente scorrette come questa, in diretta tv: "Roba da matti. Chi non si è mai tagliato un euro di stipendio viene a criticare noi che abbiamo restituito centinaia di euro? Ma andassero affanculo!". In questo 2018, però, ha saltato un giro e non si è candidato. Ha preferito dedicarsi al figlio neonato e prendere il suo anno sabbatico tornando sulle orme di Che Guevara e percorrere i sentieri latinoamericani, facendo base in Guatemala. L'eventuale conferma del vincolo grillino dei due mandati gli spianerebbe la strada. Ma questo è il futuro. Il presente è tutto puntato sulla tenuta del governo con la Lega, sul recupero nei sondaggi che danno il Movimento in discesa, sulle elezioni Europee con il M5s che vuole scardinare i rapporti tra gli Stati dell'Unione.

Che ruolo si ritaglierà dunque Dibba appena tornato a casa? Quello che sa fare meglio e che gli piace di più: l'opinionista e il frontman. Scriverà il suo terzo libro dopo gli ottimi successi dei primi due che hanno superato entrambi le 30 mila copie, aprendogli la carriera del saggista che va forte in libreria. Tornerà con la libertà di non avere alcun vincolo istituzionale, con la possibilità di dire quello che i suoi compagni di scalata al potere, oggi entrati nelle stanze dei ministeri, non possono dire se non dentro una cornice più istituzionale. Di fronte a quei suoi compagni entrati nei Palazzi, non gli dispiace aver mantenuto il ruolo di quello chei Palazzi li assalta. Torna come possibile testa d'ariete di un movimento che ha tanti fronti aperti. Uno di questi è la rivalità con la Lega. E infatti l'altra cosa che non dispiace al Di Battista Guevara è di essere considerato l'anti-Salvini.


(Articolo pubblicato sul n° 46 di Panorama in edicola dal 31 ottobre 2018 con il titolo "Hasta il grillismo siempre")

I più letti

avatar-icon

Luca Telese