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ANSA/GIORGIO ONORATI
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L'abolizione del canone Rai, spiegata bene

Altro che proposta popolare. Quel che Matteo Renzi vuole fare si chiama "salvataggio pubblico", rendendo permanente e occulto il canone, spalmato su tutti i contribuenti

Altro che proposta popolare, altro che colpire una brutta tassa invisa da molti, quel che Matteo Renzi vuole fare si chiama "salvataggio pubblico della Rai", rendendo permanente e occulto il canone, spalmato su tutti i contribuenti. È un passo ulteriore rispetto al pagamento obbligatorio con la bolletta elettrica grazie al quale la Rai ha potuto aggiustare i propri conti. Lasciamo parlare i documenti ufficiali.

I numeri della Rai e del canone

Nell’approvare l’esercizio del 2016, il consiglio di amministrazione ha scritto nero su bianco: “Il bilancio consolidato del gruppo Rai chiude con un utile di 18,1 milioni di Euro, in consistente miglioramento rispetto alla perdita di 25,6 milioni del 2015. L’esercizio ha beneficiato del notevole successo del nuovo meccanismo di riscossione del canone ordinario nella “bolletta elettrica”, con un incremento complessivo dei proventi di 272,2 milioni di euro, pari a +16,6%”.


Sono migliorate anche le entrate pubblicitarie: +39,4 milioni di euro, il 6% in più rispetto al precedente esercizio, per la prima volta negli ultimi sei anni, ma la Rai ha rincarato le tariffe. Non solo, l’indebitamento continua a crescere: da 349 a 563 milioni tra il 2015 e il 2016.

Come è evidente, il sangue nuovo viene dal canone. Nel 2015, infatti, l’azienda aveva chiuso con una perdita di 25,6 milioni di euro. Il governo sostiene che tutti hanno pagato un po’ meno. Ma mentre prima si versava una tassa di scopo, legata al servizio offerto, adesso una parte delle imposte sul reddito finirebbe ogni anno nel buco dell’azienda la quale, senza queste entrate, sarebbe in rosso. Con tanti saluti alla trasparenza e alla responsabilità fiscale.

Il presidente del Pd, Matteo Orfini, nel difendere la proposta contro la critica del ministro Carlo Calenda che la giudica “una presa in giro”, si scaglia contro le privatizzazioni che avrebbero distrutto aziende strategiche italiane.

La Rai come l'Iri

A suo modo Orfini è coerente perché il modello proposto dal Pd ricorda esattamente quello dell’Iri.

L’ente pubblico, diventato dagli anni ’70 un carrozzone di stato, controllava banche e imprese industriali (dall’Italsider all’Alfa Romeo) e ogni anno riceveva con voto del parlamento su proposta del ministero del Tesoro, ma per lo più senza grandi discussioni, un assegno chiamato "fondo di dotazione". In sostanza, un aiuto di stato.

Il fondo doveva essere coperto con le imposte sul reddito, ma siccome le entrate erano regolarmente inferiori alle uscite, l’Iri finiva nel gran calderone del debito pubblico.

Succederà lo stesso con il canone Rai? Se dobbiamo prendere alla lettera quel che dice il Pd, cioè che non ci sarà un ulteriore aggravio fiscale, sembra proprio di sì.

Il paradosso della Rai

Arriviamo così al paradosso economico chiamato Rai. È un’azienda che fa servizio pubblico, quindi viene pagata da tutti i cittadini. Come la Bbc. Ma nello stesso tempo riceve introiti pubblicitari come un’azienda privata. Una contraddizione bella e buona che con la “fiscalizzazione” diventa permanente. Un pasticcio che riduce la responsabilità fiscale, cioè la necessità che i contribuenti sappiano quanto e che cosa pagano. Il canone nella bolletta elettrica è stato un primo esproprio. L’attuale proposta è un prelievo cieco quanto obbligatorio. Altro che abolizione del canone.

Per compensare l’impatto negativo della fiscalizzazione, Renzi propone un tetto alla pubblicità, non solo alla Rai, ma anche a Mediaset. Con l’effetto di colpire Silvio Berlusconi impegnato nella campagna elettorale. In realtà, si tratta di una foglia di fico che non basterebbe certo a nascondere il salvataggio Rai con i quattrini di tutti i contribuenti.

C’è chi ripropone di privatizzare la Rai, abolendo davvero il canone e mettendo l’azienda in competizione con gli altri operatori. Il re sarebbe nudo, o meglio la regina. Si scoprirebbe così che non è un’azienda gestita con criteri economici, ma un ministero dell’informazione.

Lo dimostra la pletora di dipendenti: continuano a crescere (12.793, 100 in più tutti a tempo indeterminato) mentre non sale la loro produttività come sottolinea anche l’ultima indagine Mediobanca sulle tv. Privatizzare è la via maestra per togliere ogni alibi. Ma il Pd vuole esattamente il contrario, mentre è già cominciata la campagna sull’attacco alla libera informazione e al servizio pubblico.

Chi tocca la Rai muore (politicamente parlando). Persino Roberto Fico che rappresenta l’ala radicale del Movimento 5 Stelle, di fatto difende lo status quo prendendosela retoricamente con il Pd. Finirà in una bolla di sapone come le tante lanciate nell’aria in questa campagna elettorale all’insegna delle promesse più che delle proposte? Forse sì. E la Rai rimarrà un centauro metà pubblico e metà privato. Pubbliche saranno le perdite, privati i guadagni per le cosiddette star e i loro procuratori.

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Stefano Cingolani

Stefano Cingolani, nasce l'8/12/1949 a Recanati e il borgo selvaggio lo segna per il resto della vita. Emigra a Roma dove studia filosofia ed economia, finendo a fare il giornalista. Esordisce nella stampa comunista, un lungo periodo all'Unità, poi entra nella stampa dei padroni. Al Mondo e al Corriere della Sera per sedici lunghi anni: Milano, New York, capo redattore esteri, corrispondente a Parigi dove fa in tempo a celebrare le magnifiche sorti e progressive dell'anno Duemila.

Con il passaggio del secolo, avendo già cambiato moglie, non gli resta che cambiare lavoro. Si lancia così in avventure senza rete; l'ultima delle quali al Riformista. Collabora regolarmente a Panorama, poi arriva Giuliano Ferrara e comincia la quarta vita professionale con il Foglio. A parte il lavoro, c'è la scrittura. Così, aggiunge ai primi due libri pubblicati ("Le grandi famiglie del capitalismo italiano", nel 1991 e "Guerre di mercato" nel 2001 sempre con Laterza) anche "Bolle, balle e sfere di cristallo" (Bompiani, 2011). Mentre si consuma per un volumetto sulla Fiat (poteva mancare?), arrivano Facebook, @scingolo su Twitter, il blog www.cingolo.it dove ospita opinioni fresche, articoli conservati, analisi ponderate e studi laboriosi, foto, grafici, piaceri e dispiaceri. E non è finita qui.

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