Tienanmen, 25 anni fa
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Tienanmen, 25 anni fa

Sul sangue versato in quella piazza e sulle sorti dei suoi protagonisti fioccano voci e aneddoti, ma manca ancora un’elaborazione pubblica

Venticinque anni di amnesia e oblio. Degli avvenimenti del 1989 ancora oggi si parla a stento, sottovoce. Per il Partito comunista in piazza Tienanmen morirono "solo" 200 persone e decine di militari. Per chi si ricorda quei giorni di primavera e per chi aspetta ancora di riavere la figlia, il marito o il fidanzato, le vittime furono migliaia. Il 4 giugno 1989 si decise il destino della Cina. La repressione placò ogni protesta e spianò in modo definitivo la strada al miracolo cinese fatto di riforme economiche, sfruttamento del lavoro a basso costo, inquinamento. Ma che ne è stato degli studenti e di tutti coloro che lottarono, pacificamente, per avere più democrazia? Per quelle proteste Bao Tong, allora braccio destro del leader riformista Zhao Ziyang, è agli arresti domiciliari da 25 anni. Sono ancora in prigione il premio Nobel per la pace Liu Xiaobo e la nota giornalista Gao Yu. Alcuni dei leader della piazza sono invece fuggiti, in modo rocambolesco, e hanno fatto fortuna a Hong Kong, Taiwan e negli Stati Uniti.

Sul sangue versato in quella piazza e sulle sorti dei suoi protagonisti fioccano voci e aneddoti, ma manca ancora un’elaborazione pubblica. La leggenda vuole che il partito abbia pronto un documento di scuse che giustifica con la ragion di stato la carneficina di Tienanmen e addirittura arriva, in parte, a condannarla. Tuttavia all’approssimarsi dell’anniversario di quella rivoluzione interrotta (definito #64 sui social network, 6 come giugno, 4 come il giorno del massacro), centinaia di ex manifestanti oggi cinquantenni con una vita normale, che hanno tentato di lasciarsi alle spalle quelle giornate, vengono fermati, perquisiti, interrogati.

Liu Xiaobo, intellettuale più noto all’estero che in patria, nel 1989 era in piazza. Non era uno dei leader, ma molti lo ricordano attivo. Venne arrestato, evento che gli attaccò addosso l’etichetta di "uomo da controllare". Nel 2008, Liu Xiaobo poco prima delle Olimpiadi diede vita al gruppo che firmò Charta08, un documento con cui si chiedeva più federalismo e maggior democrazia per il paese. Bastò per procurare a Liu l’accusa di "sovversione" e la condanna a 11 anni di carcere. Nel 2009 è arrivato il premio Nobel, evento che ha provocato la reazione del Partito comunista. La moglie di Liu Xiaobo, l’artista Liu Xia, è finita agli arresti domiciliari e, per quanto mai ufficialmente dichiarata, ha avuto inizio la persecuzione giudiziaria contro il fratello e i parenti di Xiaobo.

Zhongnanhai, la sede pechinese del potere comunista, può avere ripensamenti sull’economia, può sperimentare aggiustamenti finanziari, può perfino abolire i campi di lavoro, ma sul 1989 e i suoi protagonisti non ha ancora ammesso il perdono. Ne è la prova Gao Yu, giornalista più volte arrestata dopo Tienanmen. L’ultima il 24 aprile di quest’anno. Al fermo è seguita l’onta peggiore: dover confessare in diretta televisiva di avere passato segreti di stato ai media internazionali, spregio intollerabile per i comunisti cinesi, che hanno fatto della "stabilità" del paese il fulcro della propria politica. Un imperativo ripetuto come un mantra che ha finito per convincere la maggior parte della popolazione. Sono pochi oggi in Cina a non temere il "luan", il caos. E come esempio massimo della confusione da evitare, il partito ha indicato i momenti in cui si rischia di morire di fame, a causa di tumulti o per ragion di stato, come accadde durante la Rivoluzione culturale tra il 1965 e il 1969 e a Tienanmen, vent’anni più tardi.

Molti leader della piazza oggi hanno vite completamente diverse e si godono, a distanza, i frutti della straordinaria ascesa economica della Cina. Chi nel 1989 è riuscito a scappare per un po’ ha capitalizzato la notorietà raggiunta raccontando la propria battaglia per la democrazia in aule universitarie americane, colme di giovani indignati. Il governo di Washington, nel frattempo, aveva già ripreso a fare affari con Pechino. Chai Ling, classe 1966, fu la ragazza simbolo di quelle giornate. Studentessa di psicologia, era tra le più intervistate dai giornalisti occidentali. Eletta dalla folla "comandante in capo" divenne nota per aver invitato la popolazione studentesca di Tienanmen a resistere fino al sacrificio finale: presa di posizione che alcuni suoi ex compagni di protesta ancora le rinfacciano. Dopo la conversione al cristianesimo, dalle colonne del suo blog sull’Huffington Post nel 2012 ha deciso di perdonare chi ordinò il massacro, che lei fu tra i pochi a prevedere. "Finirà in un bagno di sangue" aveva detto alcuni giorni prima del 4 giugno 1989.
La sua fuga è diventata un mito nei racconti dei cinesi; per 11 mesi è vissuta nascosta a casa di amici o di semplici sconosciuti che decisero di aiutarla ad arrivare a Hong Kong, da dove è poi riuscita a raggiungere prima la Francia e poi gli Stati Uniti. Stabilitasi a Boston, si è laureata in economia ad Harvard e insieme al marito ha avviato una società che produce software , ma anche un’associazione che si batteva per l’abolizione della legge del figlio unico, sostenendo orfanotrofi e organizzazioni per i diritti umani in Cina.

Il perdono concesso da Chai ai responsabili della brutale repressione di Tienanmen non è piaciuto a Wang Dan, considerato la mente del movimento. Di lui è impresso nella memoria l’identikit che il partito diffuse ovunque, in televisione, sui treni, su autobus e muri delle città: "Nato nella provincia di Jilin, 24 anni, studente di storia all’Università di Pechino, 1 metro e 73 di altezza, mento pronunciato, capigliatura poco folta, abrasioni dentarie agli incisivi, costituzione debole, occhiali da miope, accento pechinese, voce rauca". Wang Dan venne arrestato, ma a seguito di pressioni internazionali fu rilasciato e infine fu esiliato negli Stati Uniti. Dopo un periodo all’Università di Los Angeles, ha ottenuto un dottorato a Harvard in storia cinese. Oggi insegna all’Università di Taiwan, dove recentemente ha partecipato alle proteste degli studenti contro il trattato di libero commercio con la Cina.

Anche Li Lu, vent’anni nel 1989, era nella lista dei principali ricercati. La sua vita ha preso una piega totalmente diversa dagli altri compagni di lotta quando è riuscito ad arrivare negli Stati Uniti. Si racconta che dopo aver ascoltato un intervento del magnate della finanza Warren Buffett abbia avuto un’illuminazione che l’ha portato a entrare nel mondo degli affari. Nel 1997 ha fondato la società di investimenti Himalaya Capital, glissa volentieri sul suo passato di leader degli studenti di Tienanmen ed è considerato un degno erede del re Mida Buffett.

Quando i ragazzi di Taiwan hanno occupato il parlamento nei primi mesi del 2014, insieme a Wang Dan c’era anche il più celebre tra i leader del movimento studentesco cinese del 1989. Wuer Caixi, uiguro (la minoranza musulmana cinese) protagonista della piazza e del celebre incontro con i leader cinesi, cui si presentò direttamente dall’ospedale, dopo il ricovero per lo sciopero della fame, in pigiama. Eccentrico, arrogante e dotato di grande personalità. Quando gli chiesero come mai nel 1979 la rivolta studentesca fosse fallita, al contrario di quella dell’89, rispose: "Non c’ero io". Dopo Tienanmen riuscì a scappare a Canton saltando su un camion che trasportava legname; da lì raggiunse Hong Kong. Oggi è un personaggio molto noto a Taiwan, dove imperversa negli show televisivi, senza aver perso la stravaganza e la forza dialettica. Ha provato a tornare in Cina, per andare a trovare i parenti, ma il governo gli ha sempre negato questa possibilità. Sono passati 25 anni, ma Pechino, in fondo teme ancora lo spettro di Tienanmen.

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