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È lotta per bandi nelle Università

Il super virologo tv Massimo Galli indagato per aver truccato un concorso. Ma è in buona compagnia visto che, da giugno 2019, sono quattro le inchieste sul presunto malcostume degli atenei.


È stata la più contundente star mediatica ai tempi del Covid. Massimo Galli, capo infettivologo al Sacco di Milano e ordinario alla Statale, non avrebbe nemmeno bisogno di sottopancia. Spietato con chiunque osasse pensarla diversamente da sé medesimo: chiarissimo e sapientissimo professore. Che poi: anche lui, in questi 18 mesi sulla breccia, ha detto e s’è contraddetto. «La malattia da noi difficilmente potrà diffondersi» assicurava il 10 febbraio 2020. Vabbè. Transeat.

Ciò che invece rischia di rimanere indelebile è il contrappasso: la roboante accusa di essere uno dei più fulgidi esponenti della Concorsopoli universitaria milanese. È uno dei 33 indagati, tra professori e dirigenti. Tra questi c’è un’altra «medistar» della lotta al virus: Giovanni Di Perri. La pletora di accademici s’aggiunge agli illustri colleghi già sospettati di truccare concorsi e favorire i beniamini. Solo dal giugno 2019 a oggi sono quattro le inchieste sul presunto malcostume negli atenei: 137 indagati e tre ex rettori coinvolti.

È l’immarcescibile Italia degli intoccabili baroni. «Un sistematico condizionamento delle procedure per l’assegnazione dei titoli di ricercatore e di professore ordinario e associato alla facoltà di Medicina e Chirurgia della Statale» scrive la Procura di Milano. Così fan tutti. Così avrebbe fatto pure il venerato professor Galli, ormai prossimo alla pensione. Gli contestano quattro bandi. Uno riguarda il posto da associato di Malattie infettive al Sacco, vinto dal fidato Agostino Riva. Che purtroppo avrebbe avuto, per gli investigatori, un apparentemente insormontabile problemuccio. La metà delle pubblicazioni e un dimezzato «h-index», inequivocabile misura dei titoli scientifici, rispetto al contendente Massimo Puoti, primario dell’ospedale Niguarda.

Niente paura. Sarebbe bastato organizzare quello che i pm definiscono «un simulacro di competizione», peraltro condiviso con lo stesso Riva. Insomma, spingere la commissione, di cui Galli era presidente, a considerare imprescindibili alcuni scritti: quelli in cui il candidato è il primo o l’ultimo autore. Criterio, magari, astruso. Ma, in questo caso, provvidenziale. Certo, all’epoca per il predestinato resta un ulteriore ostacolo. Su 121 pubblicazioni su riviste internazionali, ben 63 vedono come coautore lo stesso Galli. E delle 16 presentate al concorso, in nove compare anche il nome della medistar.

«Elemento di anomalia» scrivono i pm. Peggio: un possibile «conflitto d’interessi che avrebbe dovuto imporre a Galli di astenersi dal ricoprire la qualifica di presidente». Urgenza non sentita dal professore, come dimostrano i verbali del concorso rivelati da Panorama. Nel resoconto della riunione del 14 febbraio 2020, viene quindi annotato: «Ciascun commissario dichiara che non sussistono situazioni di incompatibilità». Inoltre, ogni membro assicura «di non trovarsi in alcuna situazione di conflitto di interessi, anche potenziale». Tanto da firmare «un’apposita dichiarazione che si allega al presente verbale». Solo che, mentre gli altri due esaminatori non vantano collaborazioni con gli aspiranti, «Galli ha in comune con il candidato, dottor Agostino Riva, i lavori 5,7,9,10,11,12,13,14».

Poco importa: «La commissione, sulla scorta delle dichiarazioni del professor Massimo Galli, delibera di ammettere all’unanimità le pubblicazioni in questione alla successiva fase del giudizio di merito». Otto lavori su 16: la metà di quelli presentati. Quasi tutti valutati superbamente. Grazie all’insindacabile criterio escogitato. Riva, confermano i documenti consultati da Panorama, compare 10 volte come ultimo autore. Punteggio totale: 44,5. Puoti, invece, si ferma a 40,25. Però, a differenza del rivale, vanta articoli su acclamatissime riviste: Lancet, Science e The New England Journal of Medicine. Ben maggiore peso hanno però, nella selezione, le pubblicazioni di Riva, in particolare laddove Galli figura come coautore. Anche se, nel verbale, viene specificato che «i contributi scientifici del candidato sono enucleabili e distinguibili» da quelli del mentore.

Comunque sia: l’allora primario del Sacco aveva già chiesto aiuto all’interessato. «Dobbiamo ragionare, magari in due è meglio che one. Se no (i punteggi, ndr) li metto io alla c…, sperando che non ci siano casini e menate» dice a Riva in un’intercettazione del 3 febbraio 2020. È il giorno in cui, come testimoniano gli atti del concorso, viene specificato il metodo che avrebbe permesso al pupillo di trionfare: «Posizione del nome del candidato quale primo o ultimo autore e posizione nella lista degli autori».

Verbale «letto, approvato e sottoscritto». In calce, però, si legge solo la firma di Galli. «La seduta è tolta alle 12» viene dettagliato. Eppure, nel pomeriggio dello stesso giorno, il professore e il protetto sembrano ancora indaffaratissimi. «Scendi dalla Bianca (segretaria di Galli, ndr) e cominciamo a lavorare sull’assegnazione…», esorta il luminare. «Adesso fatteli vedere dalla Bianca… che possono essere attribuiti a te e a lui per le varie questioni… Però non me lo far dire…». E no, ci mancherebbe. Sarebbe inelegante, per carità. «Allora, senti, quanti lavori avevi presentato? Sedici? Ed erano tutti quanti a tuo primo e ultimo nome tranne uno, mi pare. E di argomento coprivano… Va beh, allora senti la frase che avevo scritto…». Infine, chiede conferma: «C’è tutto, no? Va bene, questo potrebbe andare e risolvere la questione».

Vita dura, quella del riverito accademico. «Spero non ci siano rogne, insomma» spiega Galli a uno degli altri commissari. «Mi auguro che una delle due domande vada a sparì… se no viene fuori un bel casino, voglio dire… Ma sparire per logica eh, non dico per pressione». Anche Puoti capisce l’antifona. Al telefono si sfoga con la moglie: «Sono riusciti a fregarmi sui titoli. Nel senso che una pubblicazione su Science è stata equiparata a una rivista comune. Non conta l’indice di impatto della rivista, conta solo la posizione del nome nel lavoro». Il primario del Niguarda si ritira dunque dal concorso. Chiama Galli: «Niente, Massimo, quella cosa lì l’ho sistemata, non so se hai visto…». Il professore apprezza: «Ti ringrazio e ne parleremo. Il mio appoggio ce l’avrai in tutte le sedi possibili, eh».

Maria Rita Gismondo, direttore di Microbiologia del Sacco, non sembra così sportiva. Anche lei medistar. Ormai celebre il suo sfondone degli albori, a febbraio 2020: «Si è scambiata un’infezione appena più seria di un’influenza per una pandemia letale». Galli, ingeneroso, commenta: «Certe persone dovrebbero farsi una solenne autocritica e magari ritirarsi in un dignitoso riserbo». nMa la vendetta è un piatto che si serve freddo. La professoressa, due settimane fa, viene sentita dai pm su un altro concorso per cui è indagato il mai amato collega: l’assunzione, a tempo determinato, di quattro dirigenti biologi. Un tentativo che non si sarebbe concretizzato, scrive la Procura, proprio «perché fortemente osteggiato da Gismondo», che aveva minacciato di denunciare il collega. Lei, davanti ai magistrati, non si sarebbe però limitata a confermare le presunte manovre di Galli. Avrebbe raccontato anche di altre supposte irregolarità. Come l’utilizzo «improprio» del laboratorio di analisi, destinato agli studenti.

Non è solo la Procura milanese, però, a indagare sui concorsi truccati. A Catania, dopo l’eloquente inchiesta «Università bandita», un mese fa sono rinviati a giudizio due ex rettori, assieme a sette capi di Dipartimento. Il prossimo maggio è invece fissata l’udienza per gli altri 45 indagati. Coinvolto pure Enzo Bianco: già sindaco Pd del capoluogo siciliano ed ex ministro dell’Interno nel governo D’Alema. Lo scorso febbraio viene chiusa anche l’inchiesta sulle selezioni di diritto tributario nell’ateneo di Sassari. E, a marzo 2021, finiscono indagate 39 persone dell’Università di Firenze. Tra questi, il medico personale del Papa, Roberto Bernabei. Nonché il rettore, Luigi Dei, costretto alle dimissioni. A un collega, in un’intercettazione, raccomanda prudenza: «Ti immagini se si va a dire che si fa un concorso e si sa già chi viene…».

Simile tenore, ma eloquio più ruspante, in un «illuminante» colloquio trascritto nell’inchiesta meneghina. La responsabile amministrativa di Scienze biomediche e cliniche del Sacco, Monica Molinai, già a gennaio 2020 si lamenta con una ricercatrice dell’ipotetica disinvoltura di Galli, riferendo una conversazione con il professore: «Con lui al telefono che chiama la commissione: “Eh, tanto l’altro non si presenta…”. “Ma che c… sta dicendo” gli ho detto. “Ma stia zitto! Ma cosa dice!”. Puoi chiamare la commissione e dire che tanto l’altro ha già dichiarato che non si presenta? Tu non dovresti neanche sapere chi è l’altro!». L’interlocutrice rilancia spietata: «Guarda, io mi auguro che abbia il telefono sotto controllo. Giuro!». Prima di concludere con il più classico dei dileggi milanesi: «È un pirla».

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