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I tormenti di Super Mario

La sua sarà una partita lunga e dura. E gIi ostacoli si manifestano già: convivenze forzate fra i partiti, veti incrociati, disaccordi per scuola, lavoro, industria, vaccini. Al nuovo premier serviranno nervi, e alleati, d’acciaio. E non potrà contare su entrambi.


«Quando l’ho proposta io sono stata massacrata». Lucia Azzolina sembra Calimero ma non ha tutti i torti: l’idea di prolungare l’anno scolastico a fine giugno per sopperire ai limiti della didattica a distanza è il primo, più evidente e scorsoio, dei nodi che Mario Draghi dovrà sciogliere. A dicembre l’ex ministra fu impietosamente zittita da sindacati, docenti e studenti. Grazie al suo prestigio istituzionale, il neo-premier ha potuto riformulare la proposta senza che volasse una mosca ma già si notano mal di pancia e contorcimenti da dervisci; spostare le vacanze anche senza banchi a rotelle risulta un problema.

È il primo attrito, i sindacati ingoiano il rospo a fatica, il fastidio è mitigato solo dalla promessa di «stabilizzare 30 mila precari entro settembre». Per ora solo la cattolica Cisl e alcuni sindaci mostrano qualche apertura. È già partita la smagliatura delle contraddizioni: gli studenti che per tutto gennaio avevano chiesto con vigore la riapertura delle aule e ci si erano barricati dentro, per giugno hanno altri piani («Meglio saltare le vacanze di Pasqua», quattro giorni). I docenti a ruota. Per Nunzia Pendino, insegnante in un liceo classico vicino a Salerno, la luna di miele con Dragonball è finita prima di cominciare.

Dal ritorno sui banchi all’Ilva di Taranto

«Ho capito che se perfino lei sente il bisogno di dire la sua sulla scuola» ha scritto in una lettera di fuoco a Orizzonte Scuola «non abbiamo alcuna possibilità di sopravvivenza». Il signor Perfino Lei sarebbe il premier, ma andiamo avanti. «L’amarezza più grande è leggere quanto ha sostenuto a proposito del tempo perso in Dad senza interpellare chi nella scuola vive, opera, soffre quotidianamente. E soprattutto gioisce per la bellezza, per la creatività, per l’empatia, per l’eterna giovinezza di un mestiere meraviglioso, nonostante tutto. Nonostante lei». Siamo già ai materassi.

La scuola è il campanello d’allarme al primo minuto, la partita sarà lunga e dura come uno Juventus-Inter compresi gli insulti fra vip. Bentornato in Italia mister Draghi, dove la concertazione è un obbligo e la vastità del panorama parlamentare potrebbe giocare brutti scherzi. Ciò che va bene al Pd può non piacere alla Lega; ciò che Forza Italia ritiene un valore, di solito crea prurito nel Movimento Cinque stelle. Senza contare quelli bravi a rovesciare le frittate, i temibili «rovesciafrittatisti» che per calcolo scelgono dove spostarsi mentre si lavano i denti. Siamo solo all’inizio eppure si notano tutte le spine nel fianco di SuperMario. Al Nazareno le tensioni per l’alleanza che arriva fino a Matteo Salvini sono quotidiane, la coabitazione sarà faticosa come quella fra suocera e nuora; ad aumentare la cappa è lo spettro di Stefano Bonaccini pronto a correre per la segreteria contro Nicola Zingaretti.

«Contano i programmi, su quelli si decide tutto» intonano i partiti. Non sarà facile e dopo la scuola arriva l’industria, depressa da un anno di pandemia e di filosofia del monopattino. C’è l’Ilva da far ripartire con un bilanciamento virtuoso fra il rilancio della produzione nella più grande acciaieria d’Europa e il risanamento ambientale. La presenza dello Stato nel board non rassicura i cittadini di Taranto e il sindaco Rinaldo Melucci, sentendo parlare di riconversione a idrogeno, si è lasciato scappare: «Siamo all’atto di fede». Poi c’è l’ex Embraco a Riva di Chieri con l’ipotesi di un taglio di massa (398 addetti), avvisaglia dell’orizzonte cupo di marzo, quando finirà la sospensiva dei licenziamenti.

La sfida : ecologia sì, decrescita no

Sul fronte del lavoro sarà una primavera di temporali, i dossier lasciati marcire nella stagione del Covid dall’attendismo contiano sono tanti e Draghi dovrà aprirli. In cima c’è il grande tema dell’accelerazione manifatturiera nelle regioni del Nord, polmone economico del Paese, con la spinta a produrre per non perdere quote di mercato che ha indotto la Lega ad ascoltare gli imprenditori e a compiere la svolta governativa. Sono gli stessi artigiani, partite Iva, uomini d’affari che non piacciono per differenza antropologica alla gauche intellettuale (Michela Murgia li ha definiti «la base industrialotta della Lega») ma che attraverso il presidente di Confindustria chiedono «un cambio di passo».

Draghi sa che qui si gioca la partita e che dovrà far combaciare due anime, quella dell’«ecologia senza ideologia» (Salvini) con quella della decrescita felice, mantra grillino per eccellenza. Sulla Tav, sul Tap e sulla stessa Ilva, il Movimento Cinque stelle viene accusato dal mondo green di avere tradito la rivoluzione verde, che non a caso è la quinta stella. Ecco perché è stata salutata con un boato l’istituzione del ministero della Transizione ecologica, il mega-dicastero per armonizzare crescita e sostenibilità che esiste già in Francia e Spagna, ma che in Italia (con la logica dei veti contrapposti) potrebbe diventare un freno a mano a tutto.

Giorgia Meloni ha subito punzecchiato: «Proprio i grillini non hanno reputato di istituirlo durante i governi Conte 1 e 2 ma adesso lo ritengono una grande conquista di Draghi. Chi pensano di prendere in giro?». La conferma che nello specifico ci sarà da lavorare sta in un siparietto televisivo. Il direttore dell’Espresso, Marco Damilano, chiede a Vito Crimi: «Lei lo sa quante sono le risorse del Recovery Fund per la transizione ecologica?». Risposta: «Sono 20, 30 miliardi circa». «No, sono 68 miliardi». «Ho detto circa…». Affiora sempre qualcosa di ideologico, di preconfezionato, di superficiale.

Grandi opere e vaccini : tutto a rilento

Dovrà essere molto bravo il premier a soffocare i tumulti su un altro dossier chiave: l’apertura dei cantieri, il rilancio delle Grandi opere. La Tav sta andando avanti piano, la Gronda di Genova è un totem per il centrodestra e un incubo (guai a parlarne) per il centrosinistra. Tutti sembrano d’accordo nel riconoscere il valore dell’edilizia ma nessuno vuole assumersi la responsabilità di toccare il Codice degli appalti che la paralizza, neanche fosse elettrificato. Il Sistema Genova creato dal governatore Giovanni Toti e dal sindaco Marco Bucci – che ha funzionato per la ricostruzione del ponte Morandi (ora San Giorgio) consentendo di rifarlo in meno di due anni – sarebbe l’ideale. Ma rimuovere i veti incrociati è difficile soprattutto se si dovranno fare i conti con il neotribalismo dei Cinque stelle. Nonostante le rassicurazioni di Grillo («Draghi è un grillino»), la base è diffidente. Roberta Lombardi: «Noi siamo nati come reazione ai piccoli e ai grandi Draghi». Nella trincea luccicano le mitragliatrici.

Anche dove tutto sembrerebbe scontato si annidano le trappole. Come i vaccini, che rischiano di diventare materia di scontro fra governo e regioni. La strategia di Domenico Arcuri è stata fallimentare, privilegiare i tendoni a primula e gli spot di Peppe Tornatore rispetto all’approvvigionamento delle dosi e al reclutamento del personale medico ha creato dissidi. Il programma di vaccinazione rapida della Lombardia, proposto da Letizia Moratti e Guido Bertolaso, è stato congelato con un moto di stizza dal ministero della Salute.

Sembra che le invidie, le rivalse, il precipitato velenoso di un anno di emergenza siano ormai insormontabili. Ora Veneto, Friuli ed Emilia Romagna hanno deciso di comprare i vaccini bypassando l’Europa e mettendo in scacco Roma (avevano già operato insieme in autunno per l’acquisto dei tamponi antigenici). Un altro schiaffo alla filiera da parte di Luca Zaia e di quel Bonaccini suscitatore di terremoti che ormai ha nel mirino il Nazareno del bradipo Zinga.

Il Draghi che al cameriere precipitatosi a togliergli il cappotto disse «Grazie ma faccio da solo» avrà bisogno di alleati di ferro e di nervi d’acciaio. La classe si agita, il maestro dovrà alzare la voce dal predellino verde. Prendiamo la giustizia: si avvicina la tempesta perfetta e le delegazioni sono già al lavoro per provare a evitarla. Qui gli eserciti sono schierati come a El Alamein: i garantisti contro l’azzeramento della prescrizione da una parte (Matteo Renzi, i berlusconiani, la Lega), i giustizialisti dichiarati e mascherati ler il processo a vita dall’altra (pentastellati, Pd, Leu). In teoria dovrebbero essere tutti alleati, ma se va male qualcosa, sarà scontro. E non contribuirebbe a evitarlo neppure l’aver messo Fofò Bonafede dentro una capsula spaziale con rotta verso mondi ignoti.

Gli occhi di Bruxelles sul Recovery fund

Scuola, industria, grandi opere, vaccini, giustizia, mettiamoci anche le tasse a scaglioni progressivi (ma a saldo zero sennò Salvini fa un casino). Ce n’è abbastanza per telefonare a Sergio Mattarella e chiedergli con Alighiero Noschese: «Chi me l’hai fatto fare?». Un lenitivo per tutto questo ci sarebbe, anzi un anestetico potentissimo: i 209 miliardi del Recovery. In Fund, SuperMario è qui per portarli a casa e investirli bene, per i partiti con la gastrite perenne dovrebbe essere un buon motivo per mettersi tranquilli. Ma non c’è niente di scontato e il nuovo premier dovrà vincere una sfida tosta anche a Bruxelles.

È vero che Ursula von der Leyen (radiocomandata da Angela Merkel) fa il tifo per noi, ma non vanno dimenticate due variabili. I Paesi cosiddetti «frugali» (Olanda e Finlandia in testa) ci aspettano per verificare anche le virgole del Piano.

E i tedeschi in quota Bundesbank guidati da Jens Weidmann, cortese odiatore del premier dai tempi della Bce, non vedono l’ora di giocare la partita di ritorno. Con questo programmino, allo sparo dello starter la discontinuità del governo Draghi rispetto al governo Conte dovrà essere totale. Testa bassa e pedalare. Come diceva Bettino Craxi quando si metteva male: «Vieteremo le pause caffè».

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