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Quelle false certezze che finiscono nel piatto

Quelle false certezze che finiscono nel piatto

Linee-guida, consigli nutrizionali, miti «salutistici», diete che bocciano o promuovono una serie di alimenti. Un pasticcio di informazioni su ciò che mangiamo in cui molto, troppo, è semplicemente sbagliato. Come sostiene nel suo ultimo saggio uno dei più autorevoli epidemiologi ed esperti di cibo, l’inglese Tim Spector.


I seguaci dell’ortodossia alimentare, quelli per cui «solo chilometro zero, occhio sempre alle calorie, la carne fa male e il pesce fa bene, lo zucchero è il demonio e il sale pure, e poi tanta, tantissima acqua», troveranno forse indigesto l’ultimo saggio di Tim Spector, autorevole (e dispettoso) docente di epidemiologia genetica al King’s College di Londra, che da diversi anni a a questa parte si diverte a smontare le nostre certezze in tavola. O forse, dopo il primo disappunto, ne scopriranno il potere liberatorio.

A nostra discolpa, molti dei luoghi comuni alimentari ci sono stati «serviti» da medici e nutrizionisti, ma si sa, nella scienza tutto è soggetto a revisione. E il libro di Spector, Presi per la gola (Bollati Boringhieri) ridimensiona con abbondanza di cifre e ricerche l’enfasi salutista di molte, radicate, convinzioni.

A partire dalle sue. «Da piccolo mi dicevano che mangiando certe cose sarei cresciuto più in fretta (latte e cereali), sarei diventato più intelligente (pesce), mi sarebbero venuti i brufoli (cioccolato). E la mattina dovevo fare una colazione abbondante altrimenti sarei svenuto dalla fame» scrive Spector. «Nessuna di queste idee ha base scientifica, ma le ho sentite ripetere così spesso che faccio ancora fatica a disimpararle ora che sono adulto». Chiariamo una cosa, avverte l’epidemiologo. Fare ricerca sul cibo è difficile, e i fondi sono inadeguati per studi a lungo termine (i più affidabili). Molto di ciò che leggiamo su vizi e virtù di un alimento viene da indagini di laboratorio, dagli esiti più incerti, o effettuate sui topi. E se un roditore nutrito a noci sembra protetto dal cancro, per dire, non è detto che lo stesso valga per noi.

L’imperativo della colazione

È il primo comandamento: mai affrontare la giornata a stomaco vuoto. In realtà, la necessità di fare colazione è tutt’altro che innata, fu «inventata» in epoca vittoriana, quando i ricchi con servitori potevano sprecare tempo ed energia a mangiare di primo mattino. La consuetudine si diffuse con l’avvento del cibo industriale, e oggi i corn flakes (i Kellog’s nacquero nel 1894 come cibo «salutare») vengono consumati al ritmo di milioni di scodelle al giorno in tutto il mondo.

Ma ha senso, dal punto di vista nutrizionale? «Si dice che metta in moto il metabolismo, e che saltarla renda più affamati nelle ore successive spingendoci a ingrassare» dice Spector. «Ma non ci sono prove a sostegno». Caso mai il contrario. Secondo una meta-analisi del British Medical Journal del 2019, non pare che farne a meno riduca il metabolismo. Le conclusioni precedenti, ossia che chi non la consuma tende a essere più obeso, non tenevano conto di altri fattori: chi non la fa ha in genere un reddito più basso, è meno istruito, meno in salute, ha una dieta più scadente. Tutti elementi, questi sì, legati al sovrappeso.

Infine, altro mantra: aiuta i bambini a concentrarsi a scuola. Anche in questo caso, una serie di studi sul rendimento scolastico a lungo termine indicano che no, non c’è un chiaro miglioramento dell’attenzione e della memoria negli studenti «colazionati». Insomma, chi al risveglio ha appetito la faccia pure, ma sappiate che rinunciarvi non porta alcun danno.

Calorie e calcoli (sbagliati)

Se è vero che oggi alcune ricerche hanno un po’ smitizzato le diete basate sul calcolo delle calorie, resta il fatto che quel calcolo continuiamo a farlo, pensando che le cose siano semplici: per ogni caloria che entra, un’altra deve andarsene.

Con una certa soddisfazione, Spector ci rivela che questo concetto è spesso sbagliato. E ciò che dice l’Oms, 2.500 mila calorie il fabbisogno maschile quotidiano, 2 mila quello femminile, è fuorviante. «Non esiste un fabbisogno calorico universale» avverte. «Possiamo quantificare l’energia che entra nel corpo, non quella bruciata». Troppe variabili in gioco: metabolismo basale (può variare fra due persone anche del 25 per cento), massa muscolare, forma fisica…

Se poi si vanno a esaminare i singoli alimenti, le cose si complicano ancora di più: alle noci, per fare un esempio, è stato attribuito per anni un apporto calorico gonfiato del 20 per cento, poi si scoprì che il nostro organismo non è in grado di assorbire gran parte dei grassi contenuti. Quando i cibi si mescolano tra loro, inoltre, il contenuto calorico cambia. E a parità di calorie, se mangiamo poco tutto il giorno anziché concentrarci su due pasti, ingrassiamo di più.

Insomma, l’introduzione delle «calorie» è stata una trovata geniale per l’industria dei cibi «ipocalorici». Per noi, un conteggio frustrante e piuttosto inutile.

Carne o pesce? Mah…

Demonizzata nel 2015 dall’Oms come «potenzialmente cancerogena», la carne rossa diventò, nell’opinione pubblica, pericolosa quanto il plutonio. Ma anche qui, calma e gesso. Quel rapporto, contesta il nostro epidemiologo, era basato su dati osservazionali deboli. Altre meta-analisi hanno concluso che la carne rossa non incide sul rischio di tumore; lo fa solo, in modo modesto, quella lavorata (gli insaccati). Senza contare che quel comitato di ricerca forse non era del tutto imparziale, essendo composto in prelavenza da vegetariani.

Anche sul pesce, qualcosa da dire c’è. Con poche calorie e tanti acidi grassi omega 3, gode di status di «supercibo». Peccato che quello pescato sia, almeno gli esemplari grossi e longevi (tonno pinna gialla, squalo, pesce spada) spesso contaminato da piombo, mercurio e cadmio. Mentre in molti allevamenti ittici intensivi i pesci vengono riempiti di antibiotici. E il solito studio «guastafeste» (European Journal of Epidemiology, 2015) su 500 mila europei seguiti per 15 anni, non ha riscontrato alcun vantaggio generale sul rischio di mortalità in chi mangiava molto pesce. Quanto agli omega 3, li troviano anche nella frutta secca. E negli integratori (che però fanno parte del capitolo 5 intitolato «Non funzionano, giuro»). Conclusione? Mangiate pure pesce una volta la settimana, ma che sia di alta qualità, informatevi sull’origine e preferite quello piccolo.

Acquatiche manie

Non solo «dobbiamo» idratarci con due litri di acqua al giorno ma anche privilegiare quella in bottiglia. Che ci rende belli, luminosi, privi di scorie. A dir la verità, già l’anno scorso un’indagine di Altroconsumo aveva concluso che «l’acqua del rubinetto è altrettanto buona, sicura e controllata. Mentre quella in bottiglia non è necessariamente più salutare». Ma 38 milioni di italiani oggi preferiscono quest’ultima, spendendo 200-300 euro ogni anno per acquistarla.

A parte il duello «acqua rubinetto contro quella confezionata», vale la pena girare sempre con la bottiglia in mano, per poi andare in bagno ogni ora? Questa paura di disidratarci è giustificata? «Per rispondere con una sola parola: no» taglia corto Spector. Studi rigorosi hanno esaminato per 10 anni il consumo di liquidi negli anziani (che bevono meno perché sentono poco la sete), senza rilevare alcun beneficio derivante da una maggiore assunzione di acqua, né per la funzione renale né per il rischio di mortalità. E allora, quegli implacabili otto bicchieri al al giorno? Qualcuno, alla fine, possiamo anche lasciarlo lì.

Grassi dibattiti

Tutti i grassi contenuti nei cibi sono «cattivi», ci dicevano una volta. Negli anni Duemila, diverse ricerche mostrarono però che ridurre i grassi totali assunti con la dieta non aveva conseguenze sulla salute. «Restii a rinunciare all’idea che i cibi grassi fossero dannosi» racconta Spector «molti esperti d’alimentazione appoggiarono l’ipotesi che i veri nemici fossero i grassi saturi». Quelli, per intenderci, contenuti nei latticini, nel burro, nei formaggi. L’accusa: aumentano il colesterolo e sono causa di malattie cardiovascolari.

In realtà, gran parte del colesterolo che ci scorre nel sangue lo produce il fegato, anche perché è una sostanza essenziale per la salute delle pareti cellulari; e quello che arriva tramite i cibi non ne altera granché i livelli.

Quanto ai grassi saturi, apprendiamo con un certo sollievo che un grande studio epidemiologico chiamato Pure (Prospective urban rural epidemiology) su 135 mila individui di 18 Paesi seguiti per sette anni, è giunto a conclusioni piuttosto sorprendenti: chi consuma latticini e una maggiore quantità di grassi saturi ha un rischio di mortalità inferiore rispetto a chi invece assume più carboidrati. «I grassi» per citare Lancet «non si associano a malattia cardiovascolare, infarto o mortalità». Via libera a uova e burro? Beh, sì, un uovo al giorno non causa problemi. E il burro, con i suoi grassi saturi, non fa alcun danno alla salute.

Più sale in zucca

Mangiate un po’ scipito. Ne va della pressione e della salute. Meno di 5 grammi al giorno, avverte l’American heart association. «Fino a poco tempo fa ne ero persuaso anch’io» ammette Spector. Ora, bene limitarne l’uso, ma solo in caso di ipertensione. Per le persone sane, il calo dovuto a salare poco i pasti è clinicamente insignificante. Diminuire il sale a 6 grammi al giorno abbassa la pressione massima di soli 2,4 mmHg, e di appena un mmHg quella minima. Se poi siete diabetici, sappiate che una dieta povera non solo non aiuta, ma alza il rischio di mortalità perché in certi casi riduce la risposta all’insulina.

Quindi, aggiungiamo pure un pizzico di sale ai nostri piatti. Una vita poco condita non è una vita più lunga. È solo più insipida.

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