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Contro il Covid, meglio lo spray

Contro il Covid, meglio lo spray

Un vaccino che, inalato dal naso, blocchi il contagio. Ci si lavora in tutto il mondo. Perché potrebbe fare la differenza.


Se ci sarà una svolta, arriverà dal naso. Nella lotta per arrestare l’avanzata del Covid – non solo i suoi effetti gravi, ma proprio il contagio – il «gamechanger» potrebbe essere un vaccino in spray. La ricerca ferve in tutto il mondo, ma per ora novità più concrete arrivano da India e Cina: qualche settimana fa la National medical products administration of China ha autorizzato l’utilizzo, come booster, di un vaccino per inalazione chiamato Convidecia Air, mentre Bharat Biotech, colosso farmaceutico indiano di Hyderabad, ha annunciato che anche il proprio farmaco iNCOVACC ha superato i trial e ha avuto l’ok per «situazioni di emergenza» e come richiamo.

L’antidoto cinese viene inalato attraverso la bocca, quello indiano dal naso. E se è vero che i vaccini a mRna ci hanno fatto uscire dalla fase emergenziale della pandemia, è anche vero che non si sono rivelati «sterilizzanti»: ossia non bloccano il contagio e la diffusione dell’infezione, specialmente con la variante Omicron.

Ma perché si sta scegliendo proprio la strada del vaccino inalatorio? Per cercare di chiudere, letteralmente, la porta in faccia al virus: «I vaccini che abbiamo utilizzato finora, e intendo sia quelli a mRna come Pfizer e Moderna che a vettore virale come AstraZeneca, vengono iniettati intramuscolo. E pertanto la proteina Spike che producono va in circolo nel sangue» spiega Francesco Broccolo, docente di Microbiologia clinica all’Università Milano-Bicocca e direttore Scientifico del Gruppo Cerba Healthcare Italia. «È lì che viene evocata la risposta immunitaria, con la produzione degli anticorpi neutralizzanti e le cellule T di memoria, innescando l’immunità anticorpale e mettendoci al riparo dagli effetti gravi della malattia».

Prima che questi anticorpi riescano a raggiungere la mucosa nasale da dove entra il virus, però, trascorre molto tempo: durante il quale ci si può benisismo infettare (al netto delle varianti). «La sfida dei vaccini inalatori è innescare immediatamente una forte immunità mucosale locale, tramite anticorpi IgA secretorie in grado di bloccare il virus e metterci al riparo anche dal contagio» continua Broccolo.

Scopi diversi quindi, rispetto ai vaccini attualmente a disposizione (che proteggono «solo» dalle complicazioni della malattia); ma – almeno nel caso dei due farmaci approvati in Cina e India – stessa tecnologia di quelli tradizionali di AstraZeneca e Johnson & Johnson: «Sono tecnicamente analoghi» precisa Broccolo. «Utilizzano un vettore virale con adenovirus ingegnerizzato del raffreddore, “addomesticato” e reso innocuo in laboratorio, nel quale è stato inserito il gene della proteina Spike. L’adenovirus infetta la mucosa nasale e produce la Spike, come facevano il vaccino di AstraZeneca o il monodose Johnson. Ma agendo direttamente nelle cellule della mucosa nasale e facendo da barriera potrebbero davvero costituire la svolta. Inoltre, la somministrazione nasale richiede quantità molto inferiori di vaccino, circa un quinto della dose che serve per l’intramuscolo, quindi si abbassa la tossicità perché si riducono anche le sostanze additive come il polietilenglicole».

Il condizionale però è d’obbligo, innanzitutto perché i dati, al momento, non sono numericamente consistenti né interamente pubblici. Cina e India peraltro non sono, come si diceva, gli unici Paesi a provarci: al mondo ci sono al momento circa 20 vaccini inalatori già in trial. Uno di questi è di AstraZeneca, anche se con esiti deludenti: «Un gruppo di ricercatori ha provato a utilizzare il vaccino a vettore adenovirale con qualche modifica rispetto a quello somministrato per via sistemica» precisa ga Roberto Cauda, direttore UOC Malattie infettive, Fondazione policlinico universitario Agostino Gemelli IRCCS e componente dello Scientific Advisory Group dell’Ema. «Ma il risultato, pur interessante, si è rivelato inferiore alle aspettative. Però davvero ci si sta lavorando ovunque. Abbiamo a disposizione studi, pubblicati su Science, in cui alcune scimmie sono state trattate per via intranasale con due tipi di vaccino contenenti l’Rna messaggero della spike: i risultati sono stati promettenti. Ora si tratta di attendere qualche mese e vedere anche come procederà la somministrazione nella vita reale, sia in India che in Cina».

Sarà possibile così evitare la prima iniezione intramuscolo optando per una spruzzata nel naso? Non proprio. «I trial in corso stanno valutando lo spray sia come ciclo primario che come richiamo» risponde Broccolo. «Ma con enormi differenze numeriche e di dati. Visto che la stragrande maggioranza della popolazione a livello mondiale è già immunizzata, è ovvio che le case farmaceutiche vogliano ottenere dati sull’uso come booster sui già vaccinati piuttosto che sull’uso primario nella popolazione “naive” (così viene definita la percentuale non vaccinata, ndr): fosse solo perché i non vaccinati sono molti meno. Il vero interesse è vedere cosa accade nei già immunizzati».

Ma come mai, vista la possibilità – conosciuta – di bloccare l’ingresso al virus dalle mucose nasali, non si è investito prima nella ricerca sui vaccini inalatori? Rispondere non è semplice, e coinvolge non solo la scienza ma anche il denaro, l’interesse delle case farmaceutiche e le politiche delle agenzie regolatorie: «Sono molti i motivi del ritardo di questi vaccini» riflette Broccolo. «La piattaforma tecnologica ha certamente un impatto, perché molti vaccini a vettore virale non sono risultati abbastanza immunogenici, cioè capaci di attivare la reazione del sistema immunitario. Mentre per quanto riguarda gli spray con virus attenuato, devono garantire sicurezza e assenza di effetti tipo long Covid. Al riguardo, ne sappiamo ancora poco. E l’Ema non approverà mai un vaccino solo in base all’immunità mucosale, senza avere una chiara correlazione con efficacia clinica in base a test validati».

C’è però anche un’altra strada all’orizzonte, come riporta la rivista internazionale Vaccine: studiare un vaccino multicomponente: «La Spike si modifica» conclude Cauda «e ci troviamo ormai in quella che viene chiamata “zuppa di Omicron”, da cui si diramano le varianti Centaurus, Gryphus e altre. Quindi l’idea è puntare su un vaccino multicomponente che contenga non solo la Spike ma anche la nucleoproteina, che è un altro elemento del virus». Il vaccino multicomponente andrebbe così a sostituire quelli che stiamo assumendo adesso. E il richiamo, ogni anno, con quello nasale, potrebbe farci raggiungere quel livello di protezione tale da essere meno assillati dal Covid.

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