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Medicina, divieto di accesso

Medicina, divieto di accesso

Quest’anno, solo uno studente su due ha passato l’esame. E per 14.470 posti, c’erano 65 mila candidati. Follie da numero chiuso, proprio ora che mancano i camici bianchi.


Meno di uno su due ce l’ha fatta. È la (misera) percentuale degli studenti che quest’anno hanno superato lo sbarramento del famigerato test per entrare a Medicina. Un sistema che ormai va avanti da quasi 25 anni e dopo la pandemia sta mostrando la corda, provocando proteste e una marea di ricorsi. Quest’anno i candidati erano 65.378, e a passare l’esame sono stati in 28.793 (per 14.470 posti disponibili). Numeri ridicoli. Per esempio, a Palermo, le posizioni da ricoprire sono soltanto 475.

«È una vera follia», osserva Massimo Tortorella, fondatore e presidente di Consulcesi, l’unico gruppo in Italia e il più grande in Europa che fa class action per il mondo sanitario, tutelando sia medici che studenti. «Tutti lamentano dopo il Covid una carenza di professionisti sanitari e non riusciamo più a capire il senso del numero chiuso. Oltretutto fra i 14 mila che riusciranno a entrare non tutti diventeranno medici».

Il modello francese da molti invocato è una darwiniana selezione naturale ossia tutti dentro, ma alla fine del primo anno chi non ha dato gli esami viene messo alla porta. È un metodo altrettanto crudele, eppure secondo Tortorella: «In Francia si premia il merito e non la fortuna, come da noi. Basta usare amuleti e corna per passare il test, iniziamo a basarci su criteri di meritocrazia. I nostri ragazzi si trovano davanti a questionari che non hanno attinenza con il percorso di studio, spesso con domande non pertinenti, come l’anno scorso quando c’era un quiz su zio Paperone e i suoi nipoti. Inoltre ogni anno vengono denunciate scorrettezze: buste aperte in momenti diversi, modelli di controllo che cambiano da una sede all’altra». Una madre milanese sta aspettando il risultato della figlia al test e racconta: «Veniva dal linguistico, ha sempre studiato, ma non c’è nessun liceo, neanche lo scientifico, che li prepari ad affrontare questa prova. Tutti sono spiazzati».

Ci si trova di colpo catapultati nel magico mondo della preparazione al «concorsone di Medicina», che ha creato nuove e redditizie professioni: dall’Accademia del Test agli Alpha Test, fino all’intensivo Metodo Cordua, dove si studia anche cinque ore al giorno e si può arrivare a pagare fino a 5 mila euro. Il business dietro ai quiz è milionario: dai libri dove esercitarsi («Che non si trovano usati, vanno acquistati nuovi» spiega uno studente), alle ripetizioni private, per affrontare il test è necessario studiare tutta l’estate e spendere un sacco di soldi. Continua la madre milanese: «Le abbiamo offerto anche un piano B, C, D, E: ossia di entrare a farmacia, biotecnologia, biologia. Lei si è iscritta ad altri sei, sette concorsi. Altri test, altre graduatorie. Ma non ha senso disincentivare così chi vuole studiare, proprio quando mancano i medici. Se questi numeri saranno sufficienti alla sanità pubblica lo scopriremo sulla nostra pelle solo tra sei anni. Quando ormai sarà troppo tardi». Ragazzi che si dibattono tra università, ognuna con le sue regole, e districarsi non è affatto semplice; pensavano fosse facile studiare e invece scoprono che lo è, ma solo se si accede a un costoso ateneo privato o si sceglie, per chi può, di andare all’estero. Alla fine tutti scontenti e depressi.

Non riuscire a entrare significa passare un anno sballottati tra altri corsi di laurea affini. Tentano di sostenere esami di base comuni con il corso di Medicina e poi ci riprovano l’anno dopo. Oppure, chi non supera il test può percorrere la via dei tribunali. Come consiglia il presidente di Consulcesi, si fa ricorso al Tar per ottenere una sospensiva: «Ma bisogna farlo appena escono le graduatorie, senza attendere oltre. In questi 28 anni siamo riusciti a fare entrare e poi vedere laureati 20 mila giovani medici».

Secondo Daniele Grassucci, fondatore e direttore di Skuola.net, portale di riferimento per la comunità studentesca, «Il problema è che i licei non preparano al test universitario. Passi 13 anni senza venire mai esaminato su un quiz, ma solo su interrogazioni, temi, verifiche, problemi di matematica. L’unico modo di prepararsi è seguendo corsi di formazione specifica. Ma come si fa a valutare i nostri migliori studenti senza che siano formati dal ciclo di studi precedenti? Ritengo che tutto ciò non sia corretto». Con questo sistema non si trova mai una quadra: «L’assurdità non è tanto nelle domande, ma nella forma di selezione». Dal numero chiuso, secondo Grassucci, non si può prescindere: «Anche il tanto auspicato sistema francese fa una durissima selezione a fine anno. Forse è più graduale, però ha due svantaggi: i corsi si seguono in 60 mila invece che in 15 mila. Vince non il più bravo, ma il più forte. E poi il modello francese non ti lascia riprovare dopo il primo insuccesso, mentre da noi il test si può ritentare».

Ogni forma di selezione ha i suoi limiti. Eppure una cosa che si potrebbe fare, come aveva proposto il ministro dell’Università Maria Cristina Messa, è potenziare formazione e preparazione dei test durante la scuola. Così come valorizzare il curriculum scolastico e il voto di maturità. Ci provò il ministro Francesco Profumo nel 2013, ma il meccanismo era ostico e non ne venne fuori nulla.

E così resta lo sbarramento e non solo a Medicina, come racconta una studentessa che ha appena tentato l’ingresso all’Accademia di Belle Arti di Brera: «I test sono disincentivanti. Mi hanno valutato dopo i quiz con un colloquio di quattro minuti». Anche per il Politecnico di Milano l’iter è simile, come afferma un’altra madre: «Il test c’è una volta l’anno, a fine luglio: 2.308 iscritti per 750 posti. La graduatoria viene rivista tre volte, ma mio figlio non ce l’ha fatta. Ora tenterà a Pavia, dove gli iscritti sono meno. Gli ho proposto un anno sabbatico per imparare l’inglese, ma non è contento. Fermarsi per questi giovani, così incerti sul futuro, è destabilizzante. Si tagliano le gambe a chi ha buona volontà e questo è un problema più diffuso di quello che si pensi».

Una ragazza che è passata al primo colpo, consiglia: «È più facile entrare a Medicina in lingua inglese. Ci sono meno iscritti». Per lei la parte più complicata è stata uscire impreparata dal liceo classico: «Le nozioni imparate a scuola non bastano. E poi l’ultimo anno con la maturità è molto duro preparare anche i quiz. Io ho iniziato un anno prima». Il numero chiuso resta una tagliola inevitabile, Tortorella tuttavia non vuole rassegnarsi: «Chiediamo di essere invitati al tavolo di discussione del nuovo governo per avere la possibilità di rappresentare questo popolo di studenti che ha una passione stroncata senza un motivo particolare. Abbiamo visto uscire dalla maturità ragazzi con il massimo dei voti e non superare il test di ammissione». L’alternativa al numero chiuso è una sola per i nostri figli: tutti tiktoker o influencer. Certo è una boutade, ma almeno lì non c’è il numero chiuso.

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