Sono moltissimi i medici, gli infermieri, i farmacisti che non vogliono farsi immunizzare. Le conseguenze a cui vanno vanno incontro possono essere pesanti, come si racconta in queste testimonianze. Ma tutti affermano il loro diritto al dissenso: «Vogliamo avere la libertà di decidere».
Alla fine andrò in pensione. Tra continuare a fare il medico di famiglia ed essere costretto a vaccinarmi o restare a casa, preferisco la seconda opzione». Non usa mezzi termini Carlo T., 66 anni, alle spalle oltre trent’anni nello stesso ambulatorio, alle porte di Pistoia. «Attenzione, io i pazienti li vaccino e anche tanto» puntualizza. «Ma sono convinto che la scelta debba essere libera. Trovo assurdo che lo Stato mi obblighi».
Il riferimento è al decreto legge n. 44 del 1° aprile 2021, secondo cui tutti i professionisti e gli operatori della sanità «sono obbligati a sottoporsi a vaccinazione gratuita». Medici, farmacisti, infermieri e veterinari, nonché il personale impegnato in strutture sanitarie, sociosanitarie e socioassistenziali per un totale di quasi un milione e mezzo di individui, almeno stando al documento ufficiale del Piano vaccinale Covid-19.
Di questi, secondo gli ultimi dati Istat, 101 mila sono medici e odontoiatri alla dipendenza del Servizio sanitario nazionale. E ben 35 mila di loro non avrebbero ricevuto il vaccino. Per quanto una stima al ribasso indichi al 5 per cento i sanitari dichiaratamente no vax, i picchi dei non vaccinati raggiungono percentuali incredibili in regioni come Emilia-Romagna (22 per cento), Toscana (20 per cento) e Puglia (15 per cento). Specialisti e medici di famiglia, ma anche soggetti impiegati sulle ambulanze e infermieri. Professionisti come Alessandro, 57 anni, che lavora in un ospedale ligure. «Non mi sento un dissidente. Semplicemente trovo assurdo dover essere costretto a fare qualcosa che non voglio sul mio corpo. E trovo assurdo che, per aver espresso il mio dissenso, stiano provando a mettermi addosso il bollino di sanitario no vax. Sono solo una persona libera e indipendente. Anche se oggi questo sembra impossibile». Ha una rabbia incredibile quando, raggiunto grazie a un gruppo «carbonaro» su Facebook, ci spiega come non abbia confessato a nessuno la sua scelta: «Verrei liquidato come un no vax. Un mio collega l’ha fatto, è stato travolto da offese e di critiche. Alcuni colleghi di una vita gli hanno perfino tolto il saluto. La verità è che sono un medico e ho sempre avuto una fiducia incondizionata nella scienza. Ma non in quella che ha elaborato questo vaccino».
Lasciando da parte le teorie complottiste, che sembrano non attecchire fra i sanitari, a preoccupare, insieme ai dubbi sul vaccino e sui suoi componenti, sono le conseguenze nel lungo periodo. «Comprensibilmente» aggiunge il dottore «non esistono studi a medio e lungo termine sui vaccini proposti, e non è accertato che le persone cui è stato somministrato non possano infettarsi e trasmettere il virus».
Dubbi a parte, la questione si sta rivelando centrale. «Vaccinarsi è già ora un dovere deontologico» dice Filippo Anelli, presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri. «A oggi non esistono dati precisi rispetto ai medici non vaccinati, ma la nostra percezione è che siano pochi. Diverso è il caso di quelli dichiaratamente no vax. In questo caso, il rifiuto del vaccino assume una valenza deontologica. Nei loro confronti, nella maggioranza dei casi sono già aperti procedimenti disciplinari, che restano di competenza dell’Ordine territoriale. Con la nuova legge, abbiamo chiesto che questi professionisti vengano sospesi automaticamente dall’albo».
Le conseguenze su chi rifiuta il vaccino sono molteplici, e variano a seconda della professionalità in campo. Si va dal medico di famiglia invitato a pagare un sostituto vaccinato per tutto il periodo d’assenza e che rischia, precisa Anelli, «in caso di reiterato rifiuto la perdita della convenzione», agli specialisti spostati in mansioni che non prevedono contatti con pazienti. «Un libero professionista» conclude Anelli «dovrebbe invece autosospendersi, avvalendosi di sostituti, chiudendo lo studio o, se possibile, usando tecniche di telemedicina».
Una strada – quest’ultima – che tuttavia in Italia ancora non sembra venir percorsa. Secondo il rapporto 2018-2019 dell’Osservatorio innovazione digitale in sanità del Politecnico di Milano, tra i medici di medicina generale solo il 4 per cento usa soluzioni di tele-assistenza, il 3 per cento tele-visita. Più alta la diffusione di servizi di tele-refertazione, in particolare in alcune attività diagnostiche di primo livello quali la spirometria (21 per cento) e l’elettrocardiografia (19 per cento).
C’è poi chi la telemedicina proprio non può praticarla. Fra le tante testimonianze spicca quella di Leonardo, operatore sanitario che lavora in una Rsa in Sicilia, che manifesta sul web il suo dissenso: «Ho sempre rispettato le norme. Mascherina, sanificazioni e distanza. Ma trovo assurdo che lo Stato mi impedisca di lavorare se non eseguo le sue dittatoriali regole. Regole che non solo non capisco, ma rifiuto. Se cade anche la libertà di decidere cosa fare del proprio corpo, cade ogni cosa. Ho già deciso che, se non mi daranno la scelta, mi metterò in malattia».
Una strategia che potrebbe tradursi in un braccio di ferro all’ultimo ricatto. Almeno considerando le paventate minacce di una «messa in malattia collettiva del personale sanitario». Idea partita dal web, come la manifestazione guidata da David Gramiccioli che sulla pagina Facebook di Umana Gente raccoglie adesioni secondo il motto RiapriAmo l’Italia.
Il rifiuto dei vaccini è categorico, come in altri movimenti che negli ultimi mesi si sono moltiplicati. C’è Comilva – sta per Coordinamento del movimento italiano per la libertà di vaccinazione – che promuove «l’obiezione di coscienza agli obblighi vaccinali» per «salvaguardare i diritti fondamentali e il rispetto della persona umana». Ma anche il Movimento 3V – ovvero libertà, verità e azione – che ha allestito banchetti informativi sugli effetti collaterali e sulla composizione dei vaccini.
Oltre chi manifesta, c’è chi rimane nell’ombra. Come numerosi farmacisti dissidenti, che preferiscono nascondersi con attenzione. Confessare di non aver fatto il vaccino – e magari di aver rifiutato Pfizer – espone alla gogna sociale non solo dei colleghi, ma anche dei clienti. «Ho rifiutato di essere vaccinata per due volte. A gennaio e a febbraio. Ora sono tornati alla carica, e sto attraversando una forte crisi. Temo che i titolari di farmacia rischino grosso e sono al bivio: da una parte non vorrei vaccinarmi, dall’altra però non voglio problemi anche perché la farmacia l’ho vinta grazie al concorso solo due anni fa» dice la marchigiana Elisa.
Per quanto dall’Ordine dei farmacisti garantiscano che la titolarità non sia in gioco, il presidente della federazione di categoria Fofi (e onorevole di Forza Italia) Andrea Mandelli è interdetto: «Come specialisti del farmaco credo che dal punto di vista culturale rifiutare una vaccinazione, avendo oltretutto gli strumenti per valutare i dati disponibili, sia un controsenso. Da quanto ci comunicano i delegati regionali, le vaccinazioni dei farmacisti che lavorano a contatto con il pubblico sono in via di completamento ovunque. Nella nostra professione i casi di rifiuto sono stati davvero pochissimi».
Forse non così pochi, considerando il malcontento che scorre su internet e in gruppi chiusi online dove lo spauracchio del Dpcm alimenta i dibattiti. «Dal punto di vista disciplinare» prosegue Mandelli «la nostra posizione è determinata dalla legge. Chi non vuole vaccinarsi non può operare a contatto con il pubblico. Per esempio, non può eseguire i tamponi rapidi o misurare la pressione arteriosa. O, se fa il magazziniere, non può consegnare farmaci a domicilio».
Letti così, i toni perentori sembrano meno spaventosi. Ma l’allarme non cessa. Lo esprime perfettamente Giuseppe, farmacista collaboratore in provincia di Bari: «Non mi sono vaccinato e non l’ho detto a nessuno sul lavoro. A casa lo sanno tutti, è naturale, ma fra i colleghi ho fatto finta di aver fatto il vaccino con tanto di giorno di permesso per sopportare gli effetti collaterali. A causa del nuovo decreto ho dovuto confessare la verità al mio titolare. Lui non l’ha presa bene, è un grande sostenitore della campagna. Mi ha detto chiaro e tondo che, se non mi vaccino, mi mette a fare il magazziniere. Quando gli ho fatto presente che non ci stavo a essere ricattato ha alzato la posta. E sapete cosa mi ha detto? Che per legge può anche tenermi a casa senza stipendio».
In effetti l’articolo 4 del Dpcm è chiaro: «Quando l’assegnazione a mansioni diverse non è possibile (…) non è dovuta la retribuzione». Per capire come gestire dal punto di vista legale la situazione diversi professionisti si stanno organizzando. Fra questi Renate Holzeisen, avvocato di Bolzano che ha lanciato l’iniziativa «La mia salute non è in vendita» volta a offrire consulenza legale. Spiega: «Abbiamo circa 10 mila iscritti. Sono mesi che ci battiamo insieme ad altri avvocati, ma anche scienziati e medici, per contribuire al tentativo della salvaguardia dei diritti e delle libertà fondamentali calpestati inaccettabilmente ormai da 14 mesi. Il Dpcm è una chiara e grave violazione non solo di numerosi articoli della Costituzione italiana, ma anche della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. La battaglia è solo all’inizio».
Parole durissime che incendiano gli animi e ingrossano le file dei sanitari no vax.