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Chi soffre di mal di testa ha cervello

Chi soffre di mal di testa ha cervello

Siamo gli unici, fra tutte le specie animali, a essere colpiti da attacchi di emicrania. Perché, spiega un neurologo che su questo ha appena scritto un libro, il nostro emisfero è come un’auto da corsa che va velocissima ma ha un serbatoio limitato. E a soffrirne
di più sono le persone che pensano troppo, un po’ malate di «efficientismo».


I cretini, sia pure inconsapevoli di esserlo (come tutti quelli che lo sono), potranno tirare un sospiro di sollievo: tra i tanti inconvenienti della scarsa intelligenza, non ci sarà quello dell’emicrania. Scherziamo, ovviamente. Ma non troppo. Perché questo, semplificato, è il concetto che salta agli occhi leggendo Emicrania. Storia di un personaggio in cerca di autore di Piero Barbanti, professore associato di Neurologia presso l’Università San Raffaele di Roma, direttore dell’Unità per la Cura e la Ricerca su Cefalee e Dolore dell’IRCCS San Raffaele Pisana della capitale. L’intelligenza, insomma, è il prezzo da pagare per un cervello evoluto. E non a caso, l’uomo è la sola specie animale che ne soffre. Barbanti ha il dono di raccontare bene questa insopportabile, e sottovalutata, patologia, compagna di viaggio dell’uomo fin dagli albori del mondo. Lo fa con stile accattivante unito al rigore scientifico, andando dritto al centro del problema: l’intelligenza, il pensiero, la strategia mentale.

Professor Barbanti, lei sostiene nel suo saggio che l’emicrania sia «l’effetto collaterale» di un cervello troppo rapido per sopravvivere a se stesso. Cosa intende esattamente?
«Il cervello emicranico paga un paradosso. È più veloce del normale, come una macchina da corsa, ma ha un serbatoio di benzina molto ridotto. In genere, le strutture del nostro organismo caratterizzate da una notevole capacità funzionale sono anche sostenute da batterie che le sostengono adeguatamente. Invece, il cervello emicranico ha una grande sproporzione tra la sua estrema facilità ad “accendersi” – gli emicranici sono soggetti in genere particolarmente brillanti, sensibili, creativi – e le scarse capacità energetiche del mitocondrio. Si deve quindi periodicamente fermare: durante l’attacco di emicrania si resetta, così come un temporale estivo porta via la cappa di caldo e umidità».

Sta dicendo che da sempre la capacità di pensiero è associata all’emicrania?
«Praticamente sì. Gli antichi pensavano – come racconta Michele Mirabella nella sua introduzione al libro – che Atena, dea della sapienza, fosse nata uscendo dal cervello di Zeus, annunciandosi con un incoercibile mal di testa che spinse il padre degli dei a farsi aprire il cranio da Efesto. È come se già allora si riconoscesse il ruolo scatenante dell’intellettualità nell’emicrania, malattia che trova il suo fertilizzante proprio nella pensosità del cervello umano. Non a caso molti intellettuali e artisti ne sono stati tormentati: da Frédéric Chopin a Virginia Wolf, da Immanuel Kant a Sigmund Freud e molti altri».

Quindi chi non è troppo intelligente è meno portato a soffrirne?
«Sembra proprio così. È raro, infatti, riscontrare l’emicrania nei soggetti con ritardo mentale, così come negli individui con deterioramento cognitivo. L’ipotesi è che l’emicrania origini nella corteccia prefrontale, esclusiva del genere umano, implicata nel ragionamento, nella critica, nella strategia».

Nel libro scrive che l’emicrania è «la più importante zavorra che un individuo si porta dietro nella fase migliore della vita».
«Sì, perché colpisce in particolare tra i 20 e i 50 anni, momento di massima capacità sociale, affettiva e lavorativa. L’Oms colloca l’emicrania al primo posto nella poco invidiabile classifica delle malattie più disabilitanti in termini di anni di vita persi in individui con meno di 50 anni. Questo non solo perché durante l’attacco, il dolore e i sintomi associati sono talmente forti da non consentire lo svolgimento di alcuna attività, ma anche perché i soggetti sviluppano quasi sempre i cosiddetti comportamenti evitanti».

Ossia?
«Che il paziente viva male anche al di fuori dell’attacco, perché è spesso preda della cefalalgofobia, ossia l’ansia dello scatenamento della crisi. Gli emicranici cronici sono persone che «riducono» la vita. Non intraprendono mestieri impegnativi perché hanno paura di sfigurare e di essere limitati dal loro problema, scelgono un partner che ami il quieto vivere, perché il trantran quotidiano non scatena l’attacco, sviluppano una disabilità inter-critica. Adottano una miriade di di procedure rituali: vivono a metà, e questo lo dicono le statistiche».

Una certa leggerezza, un atteggiamento più lieve nell’affrontare la vita potrebbe quindi aiutare?
«Certamente. Vede, l’emicranico è impropriamente considerato un menagramo, quando invece è un vero porta-sfiga nei confronti di se stesso. Vittima del circolo vizioso dello stress: sa che quest’ultimo scatena l’emicrania, cerca di risolvere il problema organizzandosi – per non avere il mal di testa indossa sempre il cappello, non entra dove c’è aria condizionata – ma tutto ciò genera stress e quindi gli si scatena l’attacco. La condotta che l’emicranico porta avanti, questa vita «pensata» prima che vissuta, questo sistema iper-previsionale lo spinge ad alzare il livello di tensione sempre più in alto e ad auto-perpetuare lo stress».

Anche voler essere sempre efficienti peggiora le cose?
«Sì, chi soffre di mal di testa è un efficientista eccessivo. È il tipico lavoratore che, in assoluto, chiede meno giorni di malattia. In termini medici sono chiamati «presenteisti», soggetti che si recano al lavoro anche in condizioni di malessere. Risultato: l’emicranico, dopo l’attacco, non riuscendo nemmeno a prendersi qualche giorno di riposo per alleviare lo stress ritorna nel circolo vizioso dell’ansia».

L’emicrania è da sempre una patologia snobbata. Ora che finalmente è stata riconosciuta come malattia sociale, si inizierà a considerarla con maggiore rispetto?
«Lo speriamo tutti. È una delle malattie neurologiche più note dagli organismi internazionali, purtroppo è poco riconosciuta dalla sanità pubblica: se una persona si reca in ospedale perché ha 25 giorni di emicrania al mese, e magari 15 li trascorre vomitando, non otterrà un ricovero perché l’emicrania non risulta nei Lea (Livelli essenziali di assistenza, ndr). Un paziente che prende mille analgesici al mese, e noi neurologi ne vediamo parecchi, non viene ricoverato».

Fare sport può alleviare il problema?
«Sì, noi consigliamo spesso agli emicranici gravi di accoppiare ai farmaci non solo lo sport ma anche la mindfulness, cioè la meditazione trascendentale. Entrambi ottengono benefici: nello sport il corpo è protagonista e la mente è nelle retrovie, mentre nello stress abbiamo una testa accelerata che “viaggia” sempre un metro avanti al corpo. Invertire la tendenza può aiutare. La mindfulness si basa invece sulla capacità di introdurre un vigile urbano nell’organismo, che blocca il sistema vegetativo e tutte le tensioni emotive che si scaricano su corpo e mente».

Lei soffre di mal di testa?
«Sì, terribilmente. Ma ho iniziato questo mestiere non per questo, bensì perché ho un fratello più giovane di me di un anno e mezzo che da piccolo ha tenuto nel terrore tutta la famiglia. Aveva attacchi di emicrania fortissimi, per anni è stato portato in giro per ospedali, addirittura gli è stata tolta – inutilmente – l’appendice perché era ritenuta responsabile degli episodi di vomito che lo affliggevano. Senza considerare che, soprattutto allora, un problema alla testa veniva vissuto come un dramma. Così, quando io sono entrato come tirocinante nel reparto di neurologia ho deciso di dedicarmi proprio allo studio dell’emicrania».

I vaccini, dai semplici antinfluenzali fino a quello per il Covid-19, possono causare mal di testa?
«Assolutamente no. Quello che può succedere è che se si fa il vaccino e questo provoca qualche linea di febbre, a quel punto può sopraggiungere un leggero mal di testa. Ma è il classico dolore che spesso si accompagna al rialzo febbrile: niente a che vedere con la vera emicrania».

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