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Tumori, c’è una via d’uscita

Tumori, c’è una via d’uscita

Potenziare il sistema immunitario affinchè, nella sua lotta contro le cellule maligne, l’abbia vinta. È l’obiettivo della immunoterapia, la frontiera più avanzata della lotta contro il cancro.


Ogni giorno, in quella meravigliosa forma di intelligenza collettiva che è il nostro corpo, qualche cellula decide di fare per conto proprio. Ignorando disciplina, ordine, senso del sacrificio e amor patrio, inizia a riprodursi in maniera anarchica e incontrollata, pronta a dichiarare un colpo di stato in qualche organo o tessuto.E, ogni giorno, il sistema immunitario la stronca sul nascere. Riconosce, nella sua complessa sinfonia biologica, la «nota stonata» e la elimina.

Quasi sempre.

A volte, invece, la cellula individualista riesce a eludere la sorveglianza e inizia la sua corsa a diventare tumore. Lunga, articolata, piena di ostacoli. Ma da quel momento le cose, per il sistema immunitario, si fanno complicate. E quando il colpo di stato alla fine riesce pienamente, il cancro è lì. Estirparlo, e ripristinare l’armonia iniziale, sarà una sfida dall’esito incerto.

Nell’arsenale terapeutico con cui assicurarsi, nella migliore delle ipotesi, la vittoria finale – o una tregua più duratura possibile dalla malattia – oggi c’è parecchio: oltre alla chemioterapia (tavolta evitabile), alla radioterapia, all’ormonoterapia, alla target therapy, uno spazio sempre maggiore lo sta prendendo l’immunoterapia: la strategia con cui, anziché bersagliare le cellule cancerose, si fa in modo che il sistema immunitario sia in grado di funzionare nel migliore dei modi; sia cioè capace di aggirare tutti i trucchi che il tumore mette in atto per sfuggire alle difese del corpo ed espandersi sempre più.

Una tecnica, quella dell’immunoterapia, potenzialmente applicabile a ogni tipo di neoplasia, proprio perché si basa sui quei meccanismi che cancro e sistema immunitario mettono in atto nella loro estenuante partita a scacchi. Ma che in alcuni tumori, in particolare, sta mostrando risultati evidenti e per certi versi straordinari. Per esempio nel melanoma e nel tumore al polmone e, in modo più parziale, in quello alla mammella.

«L’immunoterapia, il cui percorso è stato lunghissimo, fatto di successi iniziali e delusioni, si basa sulle idee proposte a fine anni Cinquanta da Burnett e Thomas (Burnett avrebbe poi vinto il Nobel, ndr)» premette Pier Paolo Di Fiore, professore ordinario del Dipartimento di oncologia ed emato-oncologia all’Università di Milano e oncologo allo Ieo. «Questi scienziati partivano dal concetto che se il sistema immune è deputato a sorvegliare tutto ciò che è estraneo al nostro organismo, tutto ciò che non è “self”, dal momento che le cellule tumorali hanno mutazioni non presenti in genere nel nostro Dna, anch’esse potrebbero essere riconosciute e distrutte dalle difese immunitarie. Insomma, lo stesso tipo di immunità che ci difende dalle infezioni, postularono i due ricercatori, forse ci difendeva anche dai tumori». Il tempo gli diede ragione: oggi si sa che dentro di noi ci sono continuamente cellule che hanno in mente, per così dire, di diventare cancro (servono quattro o cinque mutazioni genetiche) e, se riconosciute come «nemiche», vengono uccise.

Ma una cellula cancerosa ha una camaleontica capacità di nascondersi. Lo fa, per esempio, spegnendo la produzione di alcune molecole, differenti da quelle sane, che ne tradirebbero l’origine maligna. Come avessero documenti falsi. «È un meccanismo di elusione alquanto tosto» continua Di Fiore. «Le cellule tumorali che ci riescono probabilmente si sono garantite una buona sopravvivenza. Un’altra strategia vincente è esprimere molecole che inibiscono il sistema immunitario o interferiscono con il suo corretto funzionamento».

Un esempio semplice che fa capire bene: passata una qualsiasi infezione, il sistema immunitario ha una sorta di «freno a mano» (in linguaggio scientifico, i «check-point») con cui disattiva la produzione di linfociti. Spento l’incendio, non c’è più bisogno di mandare pompieri. Il cancro sfrutta esattamente questo meccanismo: come in un atto di sabotaggio, blocca le difese immunitarie nel momento in cui colpisce. È in questo duello che agisce l’immunoterapia. I vari farmaci che utilizza, somministrati per via endovenosa, si chiamano per l’appunto «inibitori dei check point»: molecole che riattivano il sistema immunitario in modo che possa riconoscere e uccidere il tumore. All’atto pratico, tolgono la corazza con cui il tumore si proteggeva e lo rendono di nuovo vulnerabile.

«Nel tumore al polmone e nel melanoma l’immunoterapia ha cambiato la storia della malattia» afferma Filippo De Braud, professore ordinario all’Università di Milano e direttore del Dipartimento e della Divisione di oncologia Medica dell’Istituto nazionale dei Tumori. «Per la mammella i risultati sono meno evidenti o lo sono solo in quelle pazienti con il “tumore triplo negativo” (ossia che non esprime alcun recettore da colpire con i trattamenti ormonali, ndr). Prima dell’immunoterapia, per il cancro metastastico al polmone o il melanoma la prognosi era molto severa». Per dirla con i numeri: i malati di tumore polmonare avevano – a cinque anni dalla diagnosi – una sopravvivenza del 5-6 per cento; nel melanoma, il 98 dei pazienti erano morti nel giro di due anni. «Due malattie che erano mortali nell’arco di pochi mesi sono diventate guaribili» precisa De Braud.

Grazie ai farmaci immunoterapici (anticorpi monoclonali con nomi che finiscono in «mab», come ipilimumab per il melanoma, nivolumab o durvalumab per il cancro polmonare), oggi la percentuale di chi ce la fa è salita al 30 per cento in entrambi i tumori. «Ogni settimana vediamo pazienti che mostrano una remissione parziale o completa del cancro» dice l’oncologo. «A due-tre-quattro anni dall’inizio della terapia, la malattia non si vede più, loro stanno bene e noi pensiamo siano guariti. Fino a qualche anno fa sapevamo che, dopo pochi mesi, il tumore sarebbe ripartito».

I risultati della cura si vedono a distanza di poche settimane, quando il tumore comincia a regredire. Per la precisione, ciò che si osserva nei centri oncologici sono quattro diverse situazioni: la malattia pare peggiorare subito ma, spiega De Braud, è un peggioramento apparente: «Abbiamo scoperto che le zone dove sembrava che il tumore fosse in progressione erano sì più grandi ma perché infarcite di linfociti, riattivati dalla terapia, e non da cellule tumorali».

La seconda «uscita» è che la malattia rimane stabile, non peggiora né migliora, in un certo senso si cronicizza. Terzo risultato, una scomparsa parziale o completa del cancro: se questa remissione dura almeno un anno, le probabilità che il tumore peggiori sono molte basse.

Infine, l’immunoterapia non funziona: il paziente peggiora rapidamente e muore. «La ragione ancora non la sappiamo» dice De Braud. « Abbiamo però notato che combinando la chemio con l’immunoterapia questo fenomeno si verifica meno, quindi pensiamo che sia legata a popolazioni cellulari che agiscono come immunosoppressivi stimolando la crescita del tumore».

Oggi tutti i pazienti con cancro possono beneficiare dell’immunoterapia? No, non tutti. «Nei tumori a polmone, seno e melanoma è già pratica clinica, rimborsata dal Ssn, ma siccome sono farmaci ad alto costo, i pazienti devono rientrare in categorie precise, in base alle indicazioni dell’Aifa» risponde Giusy Fallica, medico oncologo responsabile del Servizio Day Hospital dell’Unità Operativa di Oncologia Medica di Humanitas, a Catania. «Il melanoma, che crea metastasi in tempi molto veloci perché raggiunge subito le vie ematiche, è stato il primo a beneficiarne e spesso con risultati clinici spettacolari. Ma l’immunoterapia è trasversale; dal momento che agisce “disarmando” i meccanismi delle cellule cancerose, potrebbe essere applicata ad altri tumori. Almeno potenzialmente. Io mi occupo di cancro alla mammella e capita che, quando una donna si siede davanti a me, mi chieda perché lei non fa l’immunoterapia come un’altra paziente con cui magari ha parlato in sala d’attesa. Ma ogni malato fa caso a sé, non tutti rispondono agli stessi trattamenti allo stesso modo».

Senza contare che parlare di «vittoria», quando si scrive di cancro, è semplicistico, in una malattia tra le più complicate che esistano. «Volendo continuare a definirla “guerra”, diciamo che abbiamo armi sempre più raffinate per combatterla» puntualizza Fallica. Se il futuro della medicina oncologica è aiutare il sistema immunitario a fare bene il suo mestiere, anche quando la cellula maligna lo inganna con mille trucchi, possiamo farlo anche noi, con strumenti a portata di mano come l’alimentazione, l’esercizio fisico, lo stile di vita? «È un discorso assai complesso» risponde Di Fiore. «Non ci sono evidenze definitive che le terapie “complementari”, ossia messe in moto dal paziente e non dal medico, accelerino la guarigione. Al tempo stesso dobbiamo stare attenti a non confondere l’assenza di evidenza con l’evidenza di un’assenza. Non è escluso che in futuro possa emergere qualcosa. Nel frattempo, la raccomandazione per i malati è di non sostituire mai la terapia ufficiale, ma di adoperare tutto ciò che ritengono opportuno, parlandone con il medico, non fosse altro che per il loro benessere mentale. Perché anche quello è una parte fondamentale del processo di cura e guarigione».

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