Home » Quelle pillole che alzano la pressione (ma non lo sappiamo)

Quelle pillole che alzano la pressione (ma non lo sappiamo)

Quelle pillole che alzano la pressione (ma non lo sappiamo)

Un nuovo studio fa luce su farmaci e integratori che, come effetto collaterale poco noto, provocano ipertensione. E senza che chi li assume ne sia a conoscenza. È un fattore di rischio non identificato, che può comportare guai seri.


Il tutto sta nel fermare la scalata dell’ipertensione prima che si arrivi in vetta alla piramide. Fuor di metafora, la lotta alla pressione alta e a tutti i problemi che i valori sballati creano al nostro organismo (e di riflesso al servizio sanitario) deve iniziare il prima possibile, agendo sul gradino più basso della «piramide del rischio cardiovascolare».

A parte i fattori di rischio che ormai conosciamo – età, sovrappeso, poco movimento, eccesso di sale, troppi caffè – ci sono alcuni «nemici» sconosciuti, o come minimo sottovalutati. Ovvero, i tanti (troppi?) farmaci di uso comune che consumiamo: antinfiammatori, cortisonici, contraccettivi, antidepressivi e persino integratori.

Lo conferma uno studio americano, nell’ambito del National Health and Nutrition Examination Surveys (pubblicato su Jama Internal Medicine) su 27.599 adulti, di cui il 35,4 per cento con pressione sopra i limiti: tra questi, il 17,5 per cento aveva un’ipertensione non trattata e assumeva terapie di altro tipo che finivano per alzarla; mentre il 18,5 era in cura per la pressione, ma poi consumava farmaci che la aumentavano.

Il dato preoccupante è che si tratta di pillole spesso acquistate senza prescrizione, e che intergiscono con la pressione del sangue. «La tendenza all’automedicazione spesso fa sì che persone “borderline” o già ipertese assumano – per malanni come mal di testa o dolori osteomuscolari – gli antinfiammatori che si trovano in casa, magari consigliati dal parente e dall’amico, o comprati su internet» avverte Giorgio Serino, internista e immunologo dell’Irccs Policlinico San Donato e della Casa di cura La Madonnina di Milano. «Senza preoccuparsi degli effetti collaterali e senza rendersi conto che sono farmaci importanti».

Tutti gli antinfiammatori non steroidei, spiega il medico «con l’eccezione del paracetamolo, che pure non è del tutto immune dal rischio, hanno un meccanismo d’azione per cui modificano alcune vie metaboliche: fanno ritenere liquidi e quindi aumentare la pressione». Così, prendere antinfiammatori per curare un fastidioso mal di schiena rischia di trasformarsi in un danno: «Se il soggetto è giovane, sano e senza predisposizione a diventare iperteso, una volta sospesa l’assunzione del farmaco, nel giro di qualche settimana tutto torna alla normalità, pressione compresa» continua Serino. «Ma se ha familiarità all’ipertensione, o è un po’ più anziano, oppure è già con i valori pressori ai limiti della norma, il momento in cui inizia a prendere antinfiammatori potrebbe diventare anche quello in cui diventa iperteso. È come se questi farmaci funzionassero da “trigger”, un innesco: la pressione si porta su livelli più alti e – anche una volta sospesi questi farmaci – resta sopra i livelli di guardia».

Basterebbe un po’ di attenzione in più per non cacciarsi nei guai, soprattutto per quel 5-15 per cento di casi di «ipertensione secondaria», cioè dovuta a cause identificabili ad evitabili. «Tra queste forme di ipertensione» spiega Davide Capodanno, ordinario di Cardiologia all’Università di Catania «alcune sono effettivamente dovute all’uso di medicinali: la pillola anticoncezionale, per esempio, può causare ipertensione nel 5 per cento delle donne. Nella lista figurano poi diversi decongestionanti nasali, in quanto vasocostrittori, alcuni antidepressivi e farmaci immunosoppressivi come i corticosteroidi».

Riguardo ai corticosteroidi, però, c’è da parte delle persone un atteggiamento molto diverso rispetto agli antinfiammatori: «Il cortisone» prosegue Serino «viene percepito come qualcosa che fa male e fa ingrassare. Premesso che invece, se usato correttamente, fa benissimo – e meno male che in questi due anni di Covid l’abbiamo potuto impiegare altrimenti chissà dove sarebbe arrivata la mortalità – il cortisone va sempre somministrato con cautela e sotto stretto controllo medico, anche tenendo conto dei potenti effetti sui valori pressori».

Infine, il capitolo degli integratori: intanto perché l’Italia è uno dei Paesi europei che ne consuma di più, e poi perché il Covid ha contribuito ad aumentane l’utilizzo. Tra quelli che promettono di potenziare il sistema immunitario e altri acquistati in quantità sperando di attenuare gli effetti del virus, abbiamo introdotto nell’organismo sostanze un po’ a casaccio. «Siamo portati a considerare gli integratori del tutto innocui, seguendo il criterio che siccome sono “naturali” non possono fare male» aggiunge Serino. «Ma la realtà è che molti contengono sostanze che possono favorire l’ipertensione, per esempio liquirizia e ginseng. Gli integratori diventano pericolosi soprattutto se – senza supervisione medica – li combiniamo insieme in modo più o meno casuale. Iniziamo con quello per muscoli o per l’abbronzatura, magari aggiungiamo quello per dormire, poi è il turno del preparato che rafforza le difese immunitarie. Viene poi mal di schiena, prendiamo l’antinfiammatorio, e il danno è fatto. Si diventa ipertesi e non sappiamo perché». Così, senza rendersene conto, ci si trova a ingrossare le fila di chi inizia a scalare la piramide del rischio cardiovascolare. Dalla quale scendere è difficile.

© Riproduzione Riservata