Un decreto del governo lo garantisce, ma in molte corsie e Residenze sanitarie assistenziali non è permesso visitare i propri familiari ricoverati. Un abuso dalle gravi conseguenze.
Gli anziani ancora soli e prigionieri nelle Rsa, i malati chiusi nei pronto soccorso e negli ospedali, privati del conforto dei propri cari, i disabili abbandonati nelle strutture di assistenza. Anno terzo nell’era della pandemia: in Italia troppe strutture continuano a negare ai più deboli il diritto di non rimanere soli ad affrontare la malattia, la sofferenza, spesso la morte. Con la legge del 10 febbraio 2022 il governo ha decretato che fosse finalmente arrivato il momento di consentire le visite negli ospedali, con green pass base, per almeno 45 minuti al giorno; nelle Rsa, invece, non ci sono limiti di tempo, per accedervi basta essere vaccinati.Tutto questo sulla carta: perché la discrezionalità consente ai direttori sanitari di chiudere i reparti. E se è legittimo limitare gli accessi se ci sono focolai non gestibili, non lo è se i casi di Covid sono uno o due.
La situazione è talmente grave che il Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, Mauro Palma, si è scagliato contro lo status quo in una relazione parlamentare, affermando che le chiusure delle strutture hanno sconfinato al punto da configurare un problema di privazione della libertà e della volontà personali. Parole supportate dalle testimonianze. «Mio padre, 71 anni, è entrato al Pronto soccorso dell’ospedale Cannizzaro di Catania (uno dei più importanti della Sicilia, ndr) il 12 aprile 2022» racconta Orazio L. «Ne è uscito dopo 4 giorni, quasi in coma, per morire nella terapia intensiva di un altro ospedale. Né me né a mia sorella è stato consentito l’accesso se non quando non era più lucido. Non gli è mai nemmeno stata consegnata la borsa con gli effetti personali e il cellulare che gli avevamo portato. Cosa è successo in quei giorni? Cosa ha pensato mio padre, di essere stato abbandonato? Si sarebbe potuto salvare? Abbiamo sporto denuncia, la Procura di Catania ha aperto un fascicolo».
Anche la ricerca scientifica conferma i danni di situazioni simili: uno studio dell’Università di Cambridge su quasi 500 mila soggetti, pubblicato su Neurology, dimostra una forte correlazione tra isolamento sociale e rischio di demenza (quasi il 30 per cento in più) e malattie cardiovascolari. E depressione: «Consentire le visite in tutti i reparti ospedalieri, anche quelli Alta intensità, e nelle Rsa è fondamentale, sia per i malati e gli anziani sia per i parenti» afferma Renzo Rozzini, psichiatra e direttore del dipartimento di Geriatria della Fondazione Poliambulanza di Brescia. «Io incontro persone che dopo quasi due anni dal primo lockdown viene ancora a chiedere come sono morti i familiari, se hanno sofferto. Non si danno pace. Non è che dubitino di noi medici, ma sono tormentati da retro-pensieri terribili. È come una sindrome post traumatica». In una lettera al Corriere, Sabina Vignola, che ha perso il padre a Natale senza poterlo neppure vedere, parla di «mancanza di pietas», e di un uomo abbandonato a morire da solo.
Nel reparto di geriatria Covid gestito da Rozzini, 600 letti, i parenti vaccinati con tre dosi possono fare visita anche ai positivi, con tutti i presidi forniti da medici e sanitari. «Non abbiamo mai avuto criticità di contagi» assicura. Non altrettanto si può dire in molte altre strutture, per la solita discrezionalità: «Mi arrivano centinaia di lettere strazianti» dice l’onorevole Lisa Noja di Italia Viva, alla quale si deve l’emendamento del 10 febbraio 2022. «Soprattutto dalle Rsa, ma anche da ospedali che continuano a non ottemperare all’obbligo di consentire le visite. Proibiscono ai parenti, senza alcun fondamento scientifico, di accedere alle stanze dei propri cari o di assisterli mentre mangiano. È intollerabile. Il ministero della Salute in data 10 giugno ha emanato una circolare per richiamare le strutture a garantire continuità di visita e assistenza e le autorità sanitarie a controllare, ma le criticità continuano. Le persone devono sapere che chi nega le visite viola la legge. Io farò presto un’altra interrogazione».
Intanto, centinaia di persone si uniscono in associazioni e protestano davanti all’ottusità della macchina burocratica. Come Dario Francolino che ha la madre con l’Alzheimer in una Rsa lombarda, fondatore del comitato Open Rsa Now: «Nessuna residenza per anziani in Italia è riuscita o ha voluto recuperare le condizioni precedenti alla pandemia. Io tuttora non posso assistere mia madre mentre mangia, la vedo al massimo un’ora al giorno in spazi comuni, non posso controllare la stanza, portare qualcosa dall’esterno della struttura, recuperare un minimo di intimità con lei: che conseguenze avrà l’isolamento sulle sue capacità cognitive? E la situazione è critica soprattutto nel Lazio, da cui ci arrivano innumerevoli segnalazioni. La gente ha paura di denunciare, perché i propri cari si trovano in quelle strutture e temono ritorsioni». Nella negazione delle visite in realtà ci sono poche differenze tra una regione e l’altra, i problemi sono a macchia di leopardo: da Chieti, a Catania, dal Veneto (dove negli ospedali tra Dolo e Mirano è dovuto intervenire il governatore Luca Zaia) alla Lombardia, alla Puglia. «È necessario che il ministero della Salute» continua Noja «si metta a lavorare con le Regioni per controlli a tappeto. Anche a costo di sollevare qualche conflitto di competenza. Non possiamo lasciare sulle spalle dei familiari il peso di far applicare la legge».
Ancor più urgente farlo oggi, mentre con la «scusa» della variante Omicron si assiste a una recrudescenza di divieti: ospedali e residenze sanitarie hanno di nuovo sbarrato le porte, non solo ai parenti ma anche al buonsenso: «Sentirsi protetti dai familiari tutela l’integrità psicologica delle persone» conclude Rozzini. «E anche la loro capacità di rispondere allo stress dell’ospedalizzazione, che si ripercuote sulle funzioni cognitive. Se l’anziano si ritrova solo recupererà meno, se riuscirà a farlo».
Senza contare che ospedali e Rsa che hanno riaperto ai parenti registrano un crollo verticale delle proteste presso gli Urp (Uffici rivolti al pubblico): la conflittualità diminuisce perché, dal dentro, si comprendono meglio le difficoltà dei sanitari. «Nel mio Pronto soccorso» spiega L.G., primario di uno dei più grandi reparti di emergenza in Italia, «cerchiamo di consentire le visite in caso di malati molto gravi: vorremmo fare di più, ma con quasi 800 pazienti ricoverati contemporaneamente, tamponare e controllare tutti i parenti significherebbe dedicare un’unità solo a quello». Eppure, riaprire le porte è una strategia dalla quale tutti potrebbero uscire vincitori. Un’occasione di umanità.
