Negli ultimi 10 anni l’utilizzo dei farmaci equivalenti in Italia ha fatto risparmiare sei miliardi al Servizio sanitario nazionale. Il risultato deriva dal fatto che la composizione generica, una volta entrata sul mercato, lo fa a un prezzo molto più basso rispetto alla medicina di riferimento e – visto che lo Stato si occupa di pagare soprattutto i composti da banco e gli ospedalieri – ne consegue un alleggerimento per tutto il sistema. In buona sostanza, sono gli stessi cittadini a risparmiare.
Attualmente la spesa per i medicinali nel nostro Paese ammonta a 36,2 miliardi l’anno, il 68,7 per cento dei quali vengono rimborsati dal Ssn, mentre l’esborso dei privati cittadini è pari a 1 miliardo e 400 milioni di euro annui.
I sei miliardi di risparmio di cui sopra sono calcolati su una penetrazione di generici che a livello nazionale arriva al 30 per cento del totale dei farmaci acquistati. La media europea si attesta intorno al 60 per cento e alcuni Paesi raggiungono addirittura l’80 per cento di utilizzo. Insomma, quel minor esborso per 6 miliardi potrebbe tradursi in un risparmio ancora più alto se ci fosse una maggiore diffusione di questi prodotti sul mercato.
Ma perché le medicine brandizzate, pur costando di più, risultano più vendute rispetto alle loro equivalenti? Ci sono diversi i fattori che concorrono alla risposta, in primis il tema dell’informazione. Questa classe di medicinali contiene lo stesso principio attivo, la stessa forma farmaceutica, lo stesso dosaggio e la stessa via di somministrazione di un farmaco di riferimento, il cui brevetto è scaduto. In soldoni, è come se mancasse la “firma” ma il preparato è lo stesso e sovente accade che esso venga realizzato nello stesso stabilimento che sforna il prodotto di riferimento. Eppure si crede che sia meno efficace. Meno sicuro. Tra le persone resistono infatti alcune informazioni fallaci circa la diversa percentuale di principio attivo piuttosto che il diverso uso degli eccipienti.
Non è così: per poter ottenere l’autorizzazione all’immissione in commercio i generici devono presentare i medesimi requisiti di qualità del medicinale di riferimento, e infatti vengono sottoposti agli stessi test. La loro diffusione è in crescita e se nel canale retail si attesta al 30 per cento, in quello ospedaliero i numeri sono molto più alti e si aggirano intorno al 70 e ciò perché negli nosocomi, per via delle gare pubbliche, vengono venduti a un prezzo ancora inferiore rispetto a quello imposto dall’Aifa. Insomma gli equivalenti rappresentano un mercato prezioso. Su 156 imprese in Europa che producono farmaci fuori brevetto, 45 si trovano in Italia producendo un fatturato diretto di 3,5 miliardi di euro. Il 64 per cento deriva dal mercato interno e il restante dall’export, diecimila i dipendenti diretti, ma diventano quasi 40 mila se si considera l’indotto.
Succede però che questo comparto, seppur risultato fondamentale per sopperire alla grave carenza di farmaci di questi ultimi anni, rischia di diventare economicamente insostenibile per le industrie che lo alimentano.
«Il vero tema sta diventando la sicurezza delle forniture a livello di sistema sanitario», ci spiega Stefano Collatina, presidente di Egualia, l’associazione italiana dei produttori di farmaci equivalenti, biosimilari e value added medicines. «Dal Covid in poi, per effetto della pandemia e della situazione geopolitica, abbiamo assistito a un incremento dei costi di produzione dei farmaci senza avere tuttavia, al contrario di quelli con brevetto, alcuna possibilità di poterli recuperare agendo sul prezzo dei medicinali che è frutto di una contrattazione con l’Agenzia del farmaco e della successiva libera concorrenza tra le aziende che operano fuori brevetto. Questo ha comportato una riduzione dei margini che, per una serie di medicinali, va oltre il limite della sostenibilità economica e industriale». In sostanza alcuni prodotti si vendono in perdita perché in molti casi costano più le spese di confezionamento e di trasporto che il farmaco stesso. Realizzare farmaci fuori brevetto – è l’allarme dei produttori – sta diventando antieconomico ed eventuali rinegoziazioni dei prezzi vengono valutate da Aifa solo quando ad aumentare è il prezzo del solo principio attivo. Secondo Egualia tra il 2018 e il 2022 il costo totale di produzione è aumentato del 25 per cento, mentre gli oneri regolatori sono aumentati dell’8,8 per cento tra il 2022 e il 2023. Il “diritto annuale” ad Aifa, invece, è cresciuto del 63,68 per cento dal 2016 al 2022.
A influire negativamente sul comparto c’è anche l’annosa questione payback, che incide per il 18 per cento sul fatturato e viene applicato anche alle aziende che forniscono prodotti agli ospedali tramite gara pubblica, dove uno dei principali criteri di aggiudicazione riguarda proprio il massimo ribasso. «Si restringe drammaticamente il margine di guadagno», continua Collatina, «oltre un certo livello tutta una serie di produzioni diventa insostenibile il che si traduce in una sensibile diminuzione dei farmaci disponibili in farmacia e in ospedale». Non a caso nel 2024 in Italia è cessata la commercializzazione di oltre 1.600 molecole (quasi il doppio del 2018). Molecole che continuano, in alcuni casi, a essere prodotte sul nostro territorio ma destinate a mercati esteri, più redditizi, acuendo il fenomeno delle carenze e la conseguente e pericolosa interruzione di terapie per i pazienti. Quando possibile, quindi, ci si rivolge al mercato dei farmaci con brevetto, più costosi per tutto il sistema. È di 1 miliardo e 34 milioni di euro, per la precisione, il differenziale di prezzo pagato di tasca propria nel 2024 dai cittadini per acquistare i farmaci di marca, più costosi, invece che i prodotti equivalenti, meno cari, interamente rimborsati dal Servizio sanitario nazionale.
In Europa, per ovviare alle carenze, si comincia ad assistere al fenomeno di stoccaggio dei medicinali che consente di monitorare e controllare le scorte in modo più preciso, evitando eccessi o mancanze di prodotti. «In Francia per avere l’autorizzazione a stare sul mercato bisogna avere quattro mesi di stoccaggio del prodotto farmaceutico. Questo risolve il problema dei francesi, ma aggrava quello degli italiani», precisa il presidente di Egualia.
«Questo governo e la stessa commissione che presiedo sono molto attenti alle istanze provenienti da questo settore, fondamentale sul fronte dei risparmi per il servizio sanitario, ma non solo, come dimostrato dalle numerose interlocuzioni avviate, tra gli altri, con Egualia», spiega il senatore Franco Zaffini (FdI), presidente della commissione Salute in Senato. «L’associazione ha avanzato una serie di proposte che già abbiamo preso in considerazione, tra cui la soppressione dell’onere dell’1,83 per cento a carico delle aziende farmaceutiche sotto forma di payback sui farmaci erogati in regime di convenzionata. Con il decreto Omnibus abbiamo già messo mano al payback sui dispositivi medici e presto affronteremo anche il tema di quello farmaceutico con il coinvolgimento di tutte le parti interessate».
