We are the world: la canzone benefica che riunì 46 star in una stanza
Da oggi un documentario su Netflix racconta la travagliata storia dietro la canzone degli Usa For Africa del 1985, scritta da Michael Jackson e da Lionel Richie, che ha raccolto oltre 60 milioni di dollari per l’Africa, vincendo 4 Grammy Awards
Poche canzoni, nella storia del pop, hanno segnato così profondamente un determinato periodo storico e hanno avuto un impatto pratico come We are the world degli Usa For Africa, il supergruppo di 46 star americane degli anni Ottanta che, sotto la guida di Quincy Jones, si ritrovarono tutte insieme in una stanza, il 28 gennaio 1985, per incidere quello che è, a oggi, l'inno benefico più importante della storia contemporanea.
Il dietro le quinte di quella incredibile serata, raccontato attraverso filmati mai visti e testimonianze inedite dei protagonisti, sarà visibile da oggi in tutto il mondo su Netflix nel documentario We Are The World: la notte che ha cambiato il pop, diretto dal regista Bao Nguyen, che è stato presentato in anteprima al Sundance Film Festival. Uno dei protagonisti del film è Lionel Richie, che, oltre a essere co-produttore del docufilm, è anche, insieme a Michael Jackson, il co-autore del brano. «I più grandi artisti di una generazione si sono uniti per salvare delle vite, ma abbiamo avuto solo una notte per farlo bene», spiega Richie nel documentario. «In quella stanza c’era, da parte di tutti, tanta speranza (per il mondo, ndr) che sarebbe difficile ritrovare adesso».
All’inizio degli anni Ottanta la situazione di alcuni paesi africani, in particolare dell’Etiopia e del Sudan, era disastrosa. Centinaia di migliaia di persone avevano un bisogno disperato di cibo, di medicinali e di altri beni di prima necessità. Harry Belafonte, ispirato dall’inno natalizio Do they know it’s Christmas del supergruppo inglese Band Aid, pensò a un’iniziativa simile con artisti americani. Fu contattato Quincy Jones per produrre e incidere il brano, la cui scrittura fu affidata a un trio di star: Michael Jackson, Lionel Richie e Stevie Wonder. Quest’ultimo, per sopraggiunti impegni, non riuscì a partecipare alla composizione della canzone, che è stata comunque impreziosita dalla sua voce straordinaria. Jackson e Richie iniziarono a lavorare al brano già nel 1984, ma senza ricavare nulla dalle prime sessioni di registrazione. Un giorno Quincy Jones, preoccupato per i ritardi sulla tabella di marcia, mise alle strette i due artisti: «Miei cari fratelli, tra meno di tre settimane arriveranno qui quarantasei star e ci serve una maledetta canzone». Una sera Michael si chiuse nel suo studio casalingo di Hayvenhurst e registrò da solo ritornello, piano, batteria e archi. We are the world aveva finalmente visto la luce. La sera del 28 gennaio 1985 i più grandi artisti della musica popolare americana, tra cui Bruce Springsteen, Ray Charles, Bob Dylan, Stevie Wonder, Paul Simon, Billy Joel, Tina Turner, Diana Ross, Cyndi Lauper, Harry Belafonte, Dionne Warwick, Willie Nelson e Kenny Rogers (oltre, naturalmente, agli autori Jackson e Richie) si ritrovarono a Hollywood, dove si stavano svolgendo gli American Music Award, per incidere la canzone all'Hollywood's A&M Studios. Ad accoglierli un cartello scritto dallo stesso Quincy Jones: «Siete pregati di lasciare il vostro ego fuori dalla porta».
Il documentario We Are The World: la notte che ha cambiato il pop testimonia che cosa è successo in quella lunga notte di registrazione, per nulla facile da vari punti di vista, con interviste a Bruce Springsteen, Dionne Warwick, Cyndi Lauper, Huey Lewis, Kenny Loggins, Sheila E. e Smokey Robinson. «Con il nostro film cerchiamo di immergere il pubblico in qualcosa che è molto presente, il ticchettio dell’orologio in quella stanza – spiega il regista Bao Nguyen- Tutti erano sotto l’effetto dell’adrenalina» «L’uscita di quella canzone è stata un evento culturale globale – osserva la co-produttrice Julia Nottingham -. Era una cosa così difficile da realizzare, e stranamente guardando il nostro film, queste persone lo hanno fatto sembrare quasi facile. In un periodo di tre settimane due geni del songwriting si sono riuniti per un paio di giorni, e poi alcuni brillanti esperti di logistica hanno saputo portare insieme 46 artisti in quella stanza dove c’era una vera magia». Da Bob Dylan, incerto su come cantare il suo verso, che viene aiutato da Stevie Wonder (con tanto di irresistibile imitazione del suo caratteristico modo di cantare) a Diana Ross, che chiede l’autografo sul suo spartito a Daryl Hall. Dall’entusiasmo di Ray Charles ai timori di Huey Lewis nel vedersi affidata la parte immaginata per Prince, che improvvisamente dette forfait, nonostante fosse presente l’amica Sheila E (Prince tentò all'ultimo di mandare un suo assolo di chitarra, ma Quincy Jones gli disse di no). Il tutto mentre Richie e Jackson lavoravano su versi, rapporti e armonizzazioni fino all’ultimo minuto, in un vero e proprio "work in progress".
La Columbia Records pagò per intero le ingenti spese di produzione e di distribuzione. We Are the World fu pubblicato il 7 marzo 1985 in 800.000 copie, che andarono subito esaurite. In trent’anni il singolo ha venduto 20 milioni di copie per un ricavato di 60 milioni di dollari, donati all’Africa. Il brano vinse 4 Grammy Award come “Canzone dell'anno", come "Disco dell'anno", come "Miglior performance di un duo o gruppo vocale pop" e "Miglior video musicale". Mentre Do they know it’s Christmas era un allegro brano natalizio cantato in modo corale, We are the world era una ballata semplice, con un indimenticabile coro gospel, che metteva in luce anche le singole individualità. Pensate allo straordinario “call and response” tra Stevie Wonder e Bruce Springsteen o al pathos della voce di Cindy Lauper, cantante forse non sufficientemente celebrata come meriterebbe. La canzone fu eseguita il 13 luglio 1985 in mondovisione come gran finale del Live Aid, uno dei più grandi eventi rock di sempre, al John F. Kennedy Stadium di Filadelfia davanti a 90.000 spettatori. We are the world non solo ha dato un notevole contributo economico alla causa africana, ma ha diffuso in tutto il mondo una maggiore coscienza sociale nei confronti dei problemi del Terzo Mondo. Risultati che non hanno fermato le immancabili polemiche sull’operazione, alle quali ha risposto lo stesso Quincy Jones: «Chiunque voglia scagliare la prima pietra contro Usa for Africa, può muovere il culo e cominciare a dare una mano. Dio solo sa quanto c’è ancora da fare».