Così le gonne diventano molto mini oppure lunghissime ma con spacchi vertiginosi, la schiena si scopre, il decolleté si vela di trasparenze strategiche, gli abiti di maglia leggerissima disegnano la silhouette, gli stivali affiorano fino alle cosce e i piedi tornano su tacchi a stiletto. Senza volgarità. Perché tutto appare molto rigoroso e perfino composto.c
Si dirà: ci risiamo. Nulla di di nuovo sotto il cielo dorato del fashion system che ciclicamente ripercorre terreni arati, quelli del corpo e del sesso. Ma ogni riproposizione è variazione, e in questo caso l’idea di erotismo è diversa, più pacata e subdola perché la severità che impera, nelle proposte d’abbigliamento per il prossimo autunno-inverno, rende tutto sottile, di una perversione raffinata. Ed estremamente borghese.
Vengono in mente le donne dei film di Michelangelo Antonioni, le attrici Eleonora Rossi Drago e Monica Vitti, oppure la francese Yvonne Furneaux: sensualissime anche se vestitissime nel loro ruolo di protagoniste. Trasgressive eppure (apparentemente) mogli impeccabili. In capolavori come La notte (1961), L’avventura (1960), Deserto rosso (1964)si delineano «figure di donne anticonvenzionali, originali precorritrici della soggettività femminile imprevista degli anni Settanta» come le descrive Lucia Cardone, docente di Storia e critica del cinema e studiosa di Antonioni. «Si tratta di problematiche, irriducibili alla norma patriarcale, centrate su sé stesse, sul loro desiderio, sulla lieve materialità dei loro corpi. Sono impreviste, complesse e moderne finanche a livello fisiognomico».
Così, nell’epoca del narcisismo sfrenato, dell’esibizione costante, del presenzialismo social e del trionfo incondizionato di un sesso banale e stupido, alcuni designer come Giorgio Armani, Miuccia Prada, Raf Simons, Alessandro Dell’Acqua reclamano il mistero dell’eros, risalendo alla femminilità assoluta, individuata nel senso recondito dell’intimità, fissata in abiti rigorosi, composti, canditi, da borghese di provincia. Quella ricca e italiana, naturalmente. In tanti, soprattutto tra i giornalisti di moda e molto meno tra i buyer, hanno parlato di «restaurazione», di un ritorno al perbenismo di facciata e al conservatorismo, in linea con i tempi. Può darsi, in fondo nella moda è vero tutto e il contrario di tutto.
Una cosa è certa però, indipendentemente dal punto di vista e dalla personale chiave di lettura: l’analisi della grammatica fashion deve essere scrupolosa e meticolosa, condotta da chi ha cognizione di causa e seria conoscenza dell’argomento e delle sue implicazioni. Per questo il film Milano: the Inside Story of Italian Fashion, in uscita prossimamente nelle sale, è un’occasione mancata, un racconto molto parziale della moda italiana fatto per un pubblico ingenuo, forse come quello americano, che si ferma alla superficie delle cose. Perfino alla superficie del business.
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