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Un’Europa di borsette e profumi

Un’Europa di borsette e profumi

L’azienda più valutata nel Vecchio continente è il gigante della moda Lvmh. Al terzo posto c’è il leader della cosmetica L’Oreal. Invece, nel resto del mondo, chi conta davvero sono le società che operano nell’alta tecnologia come Apple, Microsoft e Google. E tra le asiatiche, le più capitalizzate producono semiconduttori o smartphone. Ennesima e preoccupante prova di un declino nella capacità di innovare.


Un continente specializzato in borsette, profumi e beni di lusso. È così che l’Europa viene vista dal mondo della finanza. Non un leader nelle tecnologie che dominano le nostre vite, come gli smartphone o il software. Neppure in quelle che lo faranno in futuro, come le auto elettriche e le relative batterie. No, siamo un’economia che sta perdendo terreno nei settori strategici e si consola producendo vetture sportive, vini costosi e medicine. Va benissimo essere bravi in questo, nulla da dire: però la capacità di creare valore con l’innovazione è altrove.

A sollecitare queste riflessioni è stata la notizia che la prima società dell’Unione europea ad aver superato una capitalizzazione, cioè un valore di borsa, superiore ai 500 miliardi di euro è stata la Lvmh, il colosso francese di Bernard Arnault che controlla oltre 70 marchi nella moda (come Louis Vuitton e Dior), nei gioielli e negli accessori (Bulgari e Tiffany), nei vini (Moët & Chandon), negli albeghi. Nell’Unione europea al secondo posto per capitalizzazione c’è la casa farmaceutica danese Novo Nordisk e al terzo la francese L’Oréal, famosa in tutto il mondo per i cosmetici e i profumi. Quarta si piazza un’altra casa di moda francese, la mitica Hermès. Tanto lusso, dunque, e poca tecnologia avanzata. In classifica c’è in effetti una casa di software, la tedesca Sap, ma è relegata in ottava posizione. E il primo gigante davvero industriale, la Siemens, si trova al dodicesimo posto. In Italia domina il mercato l’Enel, ma alle sue spalle c’è la piccola e ricchissima Ferrari, che è valutata più del gruppo Stellantis. Dopo Eni, Intesa Sanpaolo, Unicredit e Generali, in settima posizione, e seconda società manifatturiera dopo il cavallino rampante di Maranello, s’incontra Moncler, e al nono Prada. Anche nel nostro Paese la grande industria che produce elicotteri o pneumatici è considerata meno sexy della moda ed è confinata oltre il ventesimo posto. E di imprese di alta tecnologia, nella parte più alta del «ranking» sulle imprese che valgono di più in borsa, non se ne vede l’ombra, tranne Nexi, numero 14.

Se invece si guarda alle aziende europee attraverso la lente delle dimensioni (cioè per fatturato o per numero di dipendenti) il quadro cambia completamente: la prima società per fatturato e per dipendenti è la Volkswagen, solida casa automobilistica tedesca. Ma valutare un sistema economico solo in base ai ricavi è come osservare in uno specchio retrovisore, se non deformante: per esempio negli Stati Uniti il numero uno per giro d’affari è la catena di grandi magazzini Walmart, che certo non rispecchia l’intrinseca natura del capitalismo americano. In realtà per misurare la leadership in un sistema economico non conta davvero quanto si è grandi, ma quanto il mercato ti valuta, se gli investitori scommettono su di te. E molto spesso chi viene valutato di più è chi domina un mercato o lo dominerà in futuro.

Oggi la società che vale di più sul pianeta è Apple con una capitalizzazione «monstre» di oltre 2.700 miliardi di dollari. Un’azienda che ha lasciato indietro le varie Ibm o Nokia puntando sull’innovazione (pensiamo all’iPod, ad iTunes, all’iPhone, all’iPad), sul design, su un ecosistema informatico chiuso e funzionale. Segue Microsoft, poi la saudita e petrolifera Saudi Aramco e quindi Alphabet (Google), Amazon, la Berkshire Hathaway di Warren Buffett, il produttore di microchip Nvidia, Meta (Facebook), Tesla e al decimo posto la francese Lvmh. È questa la prima azienda europea per valore azionario a livello globale. E delle prime dieci società della classifica, ben otto sono statunitensi e sette sono protagoniste nell’alta tecnologia.

Ma era così anche in passato? Beh, nei decenni le cose sono cambiate parecchio. Saliamo sulla macchina del tempo, andiamo indietro di 43 anni e scopriamo che nel 1980 l’azienda valutata di più al mondo è l’Ibm (oggi è al 121° posto) seguita dalla Exxon e dall’At&t. In quarta posizione c’è un’europea, la Shell, unica straniera in una top ten tutta a stelle e strisce. Dieci anni dopo, all’inizio del 1990, il quadro è completamente rivoluzionato. Siamo nell’era del Giappone che appare come una potenza economica inarrestabile con un mercato azionario in piena follia nipponica: delle dieci società con la capitalizzazione più grande al mondo le prime cinque (Ntt, Industrial Bank of Japan, Sumitomo Bank, Fuji Bank, Dai-Ichi Kangyo Bank) sono giapponesi e su ben otto sventola la bandiera del Sol Levante. Le prime due americane sono ancora la Exxon e la General Electric, in sesta e nona posizione.

Già pochi anni dopo il Sol Levante scompare dalla testa della classifica e questa ritirata dovrebbe far riflettere chi immagina la Cina prendere il sopravvento e diventare la prima potenza economica al mondo: c’è chi ci ha provato ed è rimasto scottato. Nonostante tutto gli Stati Uniti sono ancora la più grande economia mondiale nel 2022 il 25 per cento del Pil globale è stato generato negli Usa. Ma torniamo nella nostra macchina del tempo e fermiamo gli orologi al 2000. All’alba del nuovo millennio l’azienda più valutata al mondo è la General Electric, ma alle sue spalle avanzano le avanguardie del futuro: Microsoft è al secondo posto, Intel al settimo. Due le europee tra le prime dieci: la Bp e la Shell. Tutte le altre otto sono americane. Andiamo avanti. Nuovo decennio, nuove scenario: siamo nel 2010 e il boom del Dragone è del tutto evidente. Tra le prime dieci società più capitalizzate, quattro sono cinesi (petrolifere e bancarie) e occupano seconda, quarta, ottava e decima posizione. Al primo posto ricompare la Exxon e al quinto avanza Apple. Nella top ten di quell’anno non entra alcune impresa europea. Le cinesi pagano poi il prezzo della caduta della loro borsa e all’inizio di questo decennio iniziano a scivolare oltre la decima posizione.

E siamo al 2023. Come abbiamo visto la prima società europea per valore è la Lvmh, leader di moda e lusso. Le prime asiatiche invece producono semiconduttori (la taiwanese Tsmc), operano nell’online (la cinese Tencent) e nella tecnologia di consumo (Samsung). Una situazione preoccupante che riflette, pur con le dovute eccezioni, la crescente irrilevanza dell’Europa nelle stanze del potere economico che conta davvero, proiettato nel futuro. Perché il Vecchio continente è diventato la culla della bellezza e di prodotti raffinati, molto desiderati in tutto il mondo ma più effimeri di quelli realizzati in America o in Asia? Perché la nostra industria resta indietro? Difficile dare una sola risposta, se non che a noi manca il sistema-Paese. Divisi, più piccoli, non abbiamo la massa critica per investire in tecnologia e creare dei leader globali come possono fare Stati Uniti e Cina. E solo quando lavoriamo insieme, come nel caso di Airbus, possiamo farcela. Ma sono le eccezioni che confermano la regola.

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