The Lone Ranger, intervista a Armie Hammer
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The Lone Ranger, intervista a Armie Hammer

L'aitante e affascinante attore americano è il Cavaliere solitario del nuovo film Disney: "È una storia davvero fantastica", ci racconta. "È un'esperienza travolgente. Assolutamente da togliere il fiato. C'è tantissima azione, grande azione"

Gran parte della squadra dei Pirati dei Caraibi cambia nave e si imbarca su un nuovo arrembante progetto, destinato probabilmente a simile fortuna.
La Disney, il regista Gore Verbinski, il produttore Jerry Bruckheimer e quell'istrione di Johnny Depp ridanno vita al Cavaliere solitario, l'eroe mascherato della serie tv western degli anni Cinquanta, isprirato alla serie radiofonica sorta nel 1933 e al relativo fumetto. Ecco quindi che arriva al cinema, dal 3 luglio, The Lone Ranger, avventura epica e ironica ambientata nel Far West, dove l'uomo di legge John Reid diventa il Ranger difensore dei deboli, aiutato dal fedele indiano Tonto.
Se a interpretare il buffo e imprevedibile pellerossa non può che esserci Depp, nei panni dell'aitante ed equo Lone Ranger troviamo Armie Hammer. È stato sin da subito lui la prima scelta di Bruckheimer: "Ho visto Armie Hammer in The Social Network e ho detto 'È perfetto per interpretare Lone Ranger'. È alto, affascinante e c'è una luce particolare nei suoi occhi. Ho pensato che sarebbe stato l'attore più interessante a cui avremmo potuto affidare questa parte ed è un attore straordinario: ecco da dove si deve cominciare". Verbinski ha subito approvato ed ecco che Hammer è diventato il leggendario giustiziere a cavallo.

Incontriamo l'attore statunitense, che già ha avuto a che fare con cavalli e parti in costume in Biancaneve di Tarsem Singh, dov'era il bel principe azzurro.

Cosa le è piaciuto del progetto The Lone Ranger?
"Ci sono molte cose che potresti amare. C’è il fatto che abbiamo attraversato tutto il Southwest americano. Abbiamo trascorso tre mesi in viaggio fermandoci in una città diversa quasi ogni settimana. Ho potuto lavorare con Gore Verbinski. Ho potuto lavorare con Johnny [Depp] e Jerry Bruckheimer. La lista delle cose che ho adorato è davvero lunga. È sorprendente. È stato un progetto grandioso".

Cosa ha pensato quando ha letto lo script per la prima volta?
"Ho pensato 'Cavolo, è troppo divertente! È una storia davvero fantastica'. Dopo aver letto lo script ho fatto il mio dovere, ma prima di questo la mia unica esperienza con il Cavaliere solitario era stata aver guardato la TV con mio padre, con l'improvviso 'Hi-Yo, Silver!'. Faccio molte ricerche prima di iniziare qualsiasi progetto. Ho ascoltato alcuni vecchi sceneggiati radiofonici e guardato parti della serie TV Il Cavaliere solitario con Clayton Moore".

Come sono andati i primi incontri con il regista Gore Verbinski?
"All'inizio era solo un'audizione; sono entrato e ho letto. Poi sono stato inviato nell’ufficio di Gore, ci siamo seduti sulla sua terrazza, abbiamo fumato un paio di sigari e parlato dello script. Solo questo e poi non ho più saputo nulla per un po’. Poi ho ricevuto una telefonata da Gore del tipo 'Sei il mio uomo. Procediamo'. Ho pensato 'Forte. OK, si parte'.

Ci parli un po’ del campo di addestramento che avete dovuto frequentare.
"Abbiamo frequentato il campo di addestramento all’inizio del film, quando hanno praticamente sequestrato tutti gli attori con un pugno di cowboy per tre settimane. Cavalcavamo tutto il giorno, facevamo pratica mettendo e togliendo la sella, lavoravamo con il lazo, imparando tanti modi diversi di lanciare la corda. Stavano davvero cercando di insegnarci a essere cowboy. Era come una full immersion, andavamo e facevamo quello che ci dicevano di fare. Praticamente, tutti gli attori correvano di qua e di là come bambini di sei anni che si divertivano un sacco".

Aveva già cavalcato prima di allora?
"Ero già stato a cavallo prima, ma pensavo 'Questo animale è un essere pensante e la cosa mi rende un po’ nervoso. Cosa succede se vede un coniglio?'. Ora cavalco serenamente. Non mi hanno dato molta scelta. Al campo di addestramento ti mettono su un cavallo e ti dicono 'Vai, cavalca'. Cavalcavamo per 15 chilometri in una direzione, poi giravamo e tornavamo indietro, poi lavoravamo su come fermare il cavallo e smontare rapidamente. È stato divertente".

Le piacevano i western prima di fare questo film? 
"Sì. Credo che i western siano uno degli esempi migliori di racconto americano. È come se non ci fossero western se non in America. Sono un genere tutto nostro".

In che modo The Lone Ranger è un western unico nel suo genere?
"Ci sono tantissime cose che rendono The Lone Ranger del tutto unico. La sua portata è incredibile. C’è la ferrovia transcontinentale. C’è l’idea del conflitto dei Nativi Americani con il governo. Ci sono i Texas Ranger. Ci sono davvero tantissime cose in questo film di grande correttezza e precisione storiche. C’è la precisione storica raccontata in modo divertente e brillante".

Inquadriamo il mondo del film. La ferrovia sta per unire il paese. Può parlarcene? 
"Si tratta di un film ambientato nel periodo in cui la frontiera viene spinta sempre più a ovest. Si concentra su questa specie di industrializzazione della ferrovia, affrontando il modo in cui tutto questo condiziona i valori del vecchio mondo e il territorio di frontiera. Tutte quelle persone stavano benissimo nei loro ranch e non avevano bisogno di una ferrovia che li buttasse fuori dalle loro case perché altra gente potesse mangiare ostriche entro una settimana dalla loro raccolta nella Chesapeake Bay. È un mondo in cui si vede la lotta tra il vecchio west e il moderno west. È una bellissima dualità, credo".

Ci parli della famiglia di John Reid e delle sue origini.
"Il padre di John Reid era un Texas Ranger e lo stesso suo fratello Dan. Ma John non era tagliato per quel lavoro, così suo padre ha spedito John nell’est perché studiasse. John torna a casa da avvocato e sposa i principi di John Locke in merito al modo in cui dovrebbe funzionare il mondo, l’egualitarismo e tutte quelle cose che però non trovavano spazio nel territorio di frontiera".

Che tipo di rapporto hanno i due fratelli?
"Dan Reid è il figlio che il loro padre ha sempre voluto. È duro. Ha l’aspetto di un Texas Ranger indurito dall’esperienza. Sembra che gli sia passato sopra un camion. La sua giacca è sudicia e sembra uno che è stato in giro per tre settimane senza aver mai fatto una doccia. Penso che James Badge Dale abbia fatto un lavoro fantastico nella sua interpretazione. Quando i due fratelli interagiscono si vede chiaramente lo scontro; c’è una rivalità polemica tipica tra fratello maggiore e minore. Ma a questo punto credo che John sia stanco di vivere all’ombra del fratello".

Come interagiscono John Reid e la moglie di Dan, Rebecca Reid?
"Da bambini Rebecca e John erano fidanzatini, poi John se ne è andato e lei ha iniziato a uscire con Dan. Quando John torna a casa, loro sono sposati e hanno un bambino. È imbarazzante per John e forse anche per Rebecca. Quando John diventa un po’ più simile a Dan, Rebecca inizia a innamorarsi sempre di più di lui e si vede come il loro amore di ragazzi risboccia per crescere in una relazione un po’ più seria".

Ci parli dei cattivi di The Lone Ranger.
"Butch Cavendish e Latham Cole sono i due principali cattivi del film. Butch Cavendish, interpretato da William Fichtner, è il cattivo per eccellenza. È proprio come un serpente. E poi, ovviamente, c’è Tom Wilkinson che interpreta Latham Cole, elegante e raffinato ma pericoloso. È un uomo malvagio. Tom ha fatto un lavoro straordinario con la sua interpretazione".

Quanto le è piaciuto lavorare sul tetto dei treni?
"Penso di essere l’unico attore a cui è davvero piaciuto trovarsi sul tetto di un treno. Se stai girando una scena e sei quello che si guarda alle spalle, non puoi vedere le curve che arrivano ed è peggio. Se guardi avanti è divertente trovarsi sul treno. Ma all’indietro, è difficile tenere la posizione e rimanere nel personaggio pensando 'Sto per cadere da questo affare'. Ma è stato davvero divertente stare sul treno".

Ha fatto centinaia di acrobazie in questo film. Ci racconti qualcosa.
"C’è una scena in cui corro fuori dal locale di Red e vengo afferrato da una banda di delinquenti. Faccio un fischio e Silver dovrebbe arrivare di corsa. Corro e salto e atterro su una balaustra, scivolo lungo la balaustra e quando atterro colpisco un pezzo di legno che di fatto mi proietta in aria e atterro su Silver. Credo che l’abbiamo rifatta 20 volte prima che riuscissi ad atterrare sul cavallo perché si spostava dal riferimento. Anche il gancio della posta è stata una prova dura. È la scena in cui siamo incatenati e dondoliamo in cerchio appesi a un gancio della posta. È stato orribile. Era come una giostra del luna park e in un certo senso avrebbe anche potuto essere divertente, ma avevamo questi ferri attorno al polso e quando hanno iniziato a farci dondolare ci siamo spostati verso l’esterno, come una centrifuga, quindi la catena ha iniziato a stringere il polso".

Che rapporto c'è tra Lone Ranger e Tonto e come si evolve durante il film?
"Il loro rapporto è figlio della necessità: c’è Lone Ranger completamente fuori gioco, accudito e guarito da Tonto. Ma poi diventa una sorta di strana coppia. È come se non potessero essere più diametralmente opposti di così. Da una parte c’è Lone Ranger, che crede nella giustizia e vuole che quella gente venga portata davanti a un tribunale, e dall’altra parte c’è Tonto, che è più in stile 'Uccidiamoli'. Vengono da esperienze diverse, ma si trovano ad avere la stessa missione. Quindi sono incastrati l’uno con l’altro. Sono tutto ciò che hanno. Tonto è un solitario. Non ha una casa. Non ha una famiglia. È un reietto. Lone Ranger ha appena perso il fratello e non sa chi è con lui e chi è contro di lui, quindi è una situazione complicata".

Ci parli di come si è creato questo rapporto alla pari giorno dopo giorno, la chimica tra Lone Ranger e Tonto.
"È stato divertente. All’inizio del film c’è tutta la parte del Ranger, quindi io e Johnny non c’eravamo in ogni scena. Poi ci sono state due o tre settimane in cui avevamo una scena insieme ogni giorno. Ed è stato in quel momento che abbiamo iniziato a prendere il ritmo. Una volta trovato il nostro ritmo, abbiamo iniziato a divertirci davvero con questi due personaggi e con il modo in cui si scontrano. Sono arrivato a conoscere meglio il personaggio di Tonto e penso che anche Johnny sia arrivato a conoscere meglio il personaggio di Lone Ranger, perché entrambi sapevamo come innescare l’altro. È un ottimo rapporto".

Ha parlato di tutti gli spostamenti su strada, il campeggio e l’incontro con i capi della Nazione Navajo. Come è stato?
"È stato fantastico avere l’opportunità di incontrare i capi della Nazione Navajo ed è stato divertente anche quando giravamo nella Monument Valley. Alla fine della giornata ci siamo accampati, una cosa straordinaria. All’inizio c’eravamo solo io e alcuni ragazzi dei trasporti. Nel tempo più persone si sono aggiunte a noi. Alcuni degli altri attori hanno iniziato a entrare e dormire nelle loro roulotte. Anche Gore dormiva nella sua roulotte".

Com’è lavorare con Helena Bonham Carter? Ci racconti del suo personaggio Red e dell’Inferno su ruote.
"Helena è un vero spasso. È il primo film in cui ho lavorato con lei e la prima volta che l’ho incontrata. È dolcissima e divertente. Adora recitare, per lei è un gioco. Arrivava già pettinata e truccata e con i vestiti di scena molto prima del necessario, ore prima del necessario e andava sul set e iniziava a giocherellare con gli attrezzi di scena, familiarizzando con il set, facendolo suo, divertendosi, vivendo gli spazi e mettendosi a suo agio. Si stava proprio divertendo. Il set dell’Inferno su ruote era grandioso. Quando hanno costruito gli interni del saloon di Red, che abbiamo ripreso prima degli esterni, ricordo di essere entrato, ho visto quella scenografia e detto 'Oh, mio Dio. Questo posto è uno spettacolo'. Era straordinario. Sono andato dallo scenografo Crash McCreery e gli ho detto 'Vorresti organizzare la mia prossima festa di compleanno?'. Poi quando abbiamo visto gli esterni hanno offuscato gli interni. C’è questa scena in cui Tonto e io entriamo a cavallo nell’Inferno su ruote verso il locale di Red, attraverso tutti questi banchetti allestiti come in un luna park. C’era un banchetto con un mangiafuoco e accanto c’era questa donna tatuata. Più avanti c’era il venditore di intrugli miracolosi che dice 'Venite a prendere il vostro tonico' e tutto il resto. E poi in un banchetto c’erano persone con degli scorpioni in bocca e poi due nanetti, uno vestito da angelo e uno da diavolo, che facevano a botte. Era irreale".

Cosa ha pensato la prima volta che ha indossato la maschera? 
"La prima volta che ho indossato la maschera mi trovavo nel retro di una sartoria di Burbank. Era la prima versione che avevano realizzato e non andava bene. Più tardi hanno portato la maschera vera e propria, calzava alla perfezione. Era stata modellata sotto vuoto e si adattava perfettamente al mio viso. Mi ricordo che l’ho indossata e ho pensato 'Cavolo, è perfetta. Farà sicuramente furore'".

Cosa ci dice dell’azione in questo film? Cosa deve aspettarsi il pubblico?
"È un’esperienza travolgente. Assolutamente da togliere il fiato. C’è tantissima azione, grande azione".

Durante le riprese c'è stato un tempo pazzo...
"Abbiamo dovuto sospendere il film a causa di bufere di neve, fulmini, inondazioni e tempeste di sabbia. Finire questo progetto è stata un’impresa e penso che si avverta quanto sia epico e la portata dell’impegno che ha richiesto a tutte le persone coinvolte".

Com’è lavorare con il regista Gore Verbinski?
"È fantastico. Lui è brillante. Le sue capacità di problem-solving non sono seconde a nessuno. Non potrebbe essere più capace. Non potrebbe essere più competente nel farsi carico dell’impegno rendendolo il più piccolo grande film che abbia mai fatto. Per me questo film, per come lo ha reso lui, è fatto tutto di piccole interpretazioni, di piccole scene, di personaggio e scoperta. Non si tratta di quanto costerà questa giornata o da dove devo saltare giù o se sarò travolto da questo o da quello. Non si tratta affatto di questo e penso che abbia fatto un ottimo lavoro con questo approccio".

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Simona Santoni

Giornalista marchigiana, da oltre un decennio a Milano, dal 2005 collaboro per Panorama.it, oltre che per altri siti di testate Mondadori. Appassionata di cinema, il mio ordine del giorno sono recensioni, trailer, anteprime e festival cinematografici.

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