San Tommaso 10 è un indirizzo sacro a Torino. È dove Luigi Lavazza diede inizio alla sua avventura imprenditoriale, dove ha fatto il primo caffè, dove ha creato le prime miscele, quelle che hanno reso il marchio Lavazza famoso in tutto il mondo. Davanti alle istituzioni, alla famiglia Lavazza al gran completo e ai torinesi legati da sempre a quel luogo, la piccola drogheria, punto di riferimento gastronomico per la città di Torino, è tornata a risplendere a poco più di un chilometro da via Bologna 32, dove oggi sorge Nuvola Lavazza, l’headquarters del Gruppo. Due indirizzi, due simboli che racchiudono la storia e il futuro dell’azienda.
Marco Lavazza, Vicepresidente del Gruppo non nasconde l’emozione: “Qui si è fatta la storia: il nostro bisnonno ha aperto la prima drogheria a pochi passi da Via San Tommaso 10; quando ha voluto espandere il suo business si è spostato in questi locali. Ha iniziato a investire nel suo nome, che si è fatto brand, e poi ha portato il caffè nelle case della gente, concetti che non esistevano in quegli anni. È con un senso di profondo rispetto verso quello che hanno fatto le generazioni precedenti che, come famiglia, abbiamo deciso di ripartire ancora una volta da qui”.
Il legame con Torino si fa indissolubile.
«Il nostro legame con la città non si discute, viene sempre più identificato anche nel nostro logo: Lavazza, Torino Italia 1895. Le nostre radici sono qui, rimangono qui e da qui il nostro cuore e la nostra testa ci portano ad essere presenti in oltre 120 paesi del mondo, e vicini ai 3 miliardi di euro di fatturato. Nelle tre sale vedrete accenni di questo legame, come le tre cupole più importanti della città: la Cappella del Guarini, la Mole di Antonelli e la Cupola della Basilica di Superga di Juvarra. Vogliamo che vi sentiate a casa, perché questa è casa nostra».
Si continua a investire e a credere nella città di Torino?
«Stranamente, visto? Crediamo nella nostra città. È una cosa curiosa, tutto sommato!»
Non è così scontato dopo il mega investimento del quartier generale Nuvola, di Condividere e di Settimo Torinese.
«Qui entra in gioco il cuore. Mi ricordo quando fu inaugurato nel ‘95, andavo ancora a scuola. All’epoca era più difficile capire cosa rappresentasse questo luogo. Adesso è una cosa diversa, senti il peso dei 130 anni di storia».
Che momento è questo per Lavazza?
«È un momento incredibilmente importante. Abbiamo voluto lasciare la nostra impronta, aiutando Torino, con una serie di investimenti mirati, a ritrovare la sua dimensione internazionale. Negli anni ’80 -’90 era una città triste, connotata solo come un nucleo pesantemente industriale, ora la parte industriale è rimasta, grazie al cielo, e stiamo facendo di tutto per farla aumentare e prosperare ma una vera città internazionale, deve avere un contraltare, deve avere una sua vivibilità. Locali come questo, come Condividere, come Nuvola, la nostra sede, l’investimento fatto a Settimo (16 milioni di euro per riammodernare e riorganizzare il polo produttivo, ndr) aiutano a vivere meglio la città».
Investire poi in cultura gastronomica, pilastro fondamentale del paese, credo sia una scelta vincente.
«Si è fatto attendere questo giorno. Almeno due anni. Ci siamo presi il tempo giusto per fare le cose nella maniera corretta. Siamo aperti a ogni entusiasmo e critica. Non siamo perfetti, non abbiamo mai neanche lontanamente pensato di esserlo ma siamo entusiasti e abbiamo degli ottimi compagni di viaggio, a partire dal giovane chef Gabriele Eusebi».
Un approccio completamente diverso rispetto al Ristorante Condividere, * Stella Michelin.
«Non devono essere messi in concorrenza. Sono due concetti di enogastronomia completamente diversi. Il vantaggio di avere una delle più grandi biodiversità al mondo e un patrimonio enogastronomico italiano che tutti ci invidiano, dà la possibilità allo chef Federico Zanasi e a Gabriele Eusebi di poter attingere a tutto ciò che vogliono. Questo è il posto della tradizione, Condividere dell’inventiva. Il fil rouge che li lega è l’ossessione per la qualità della materia prima e il fatto che il servizio deve essere aperto verso il consumatore».
Si ragiona spesso su quanto vale il made in Italy, ma quanto vale il made in Piemonte?
«Tantissimo. Ripeto spesso che siamo meravigliosi perché siamo i primi critici di noi stessi. In questo siamo campioni olimpici ma facciamo anche tante cose belle che è giusto ricordare. Oggi è una bella giornata, scelta per celebrare la storia di una famiglia che non vuole insegnare niente a nessuno, ma dimostrare al mondo l’amore per la propria terra. Crediamo di poter essere degli ambasciatori per Torino, il Piemonte e il Made in Italy».
Lo stile del locale è più che riconoscibile. È iconico.
«Questo è anche merito dei partner intelligenti, creativi e affidabili, che abbiamo avuto la fortuna di avere al nostro fianco, a partire dallo Studio di Architettura PLS Design. Abbiamo cercato di mediare tra le nostre passioni personali e qualcosa che volevamo restituire alla città. Le cupole sono state una felicissima intuizione, le tre finestre nella sala in fondo danno l’immagine della città, due viste di Torino, le piantagioni in Brasile. È un posto caldo, accogliente, sobrio come ogni buon piemontese deve essere e soprattutto non è pensato per seguire nessuna moda. Deve durare nel tempo, entrare nel cuore della gente, senza essere ingombrante».
Nel futuro di Lavazza cosa c’è?
«Continueremo a crescere e a investire. Siamo solidi economicamente ed è una cosa eccezionale. Investiremo nel business del caffè, ci interessa molto, sappiamo che c’è spazio per fare altre acquisizioni, investiremo nel brand, nella città e nella nostra italianità».

