La favola del duo Errani-Vinci. Il resto? tristezza
Un mercato fiacco, una politica che non parla di sport. Ci fanno sorridere solo le due tenniste
Lo sappiamo già. Qualche volta lo sport italiano riesce ad alzare gli occhi dalle sue storie di miseria e povertà (di spirito più che altro) e a guardare il cielo, a vedere le montagne e gli orizzonti. Succede, ad esempio, quando si gioca a tennis dall’altra parte del mondo e due ragazze diverse, che vengono dall’ex grassa Emilia e dalla meravigliosa Puglia, vincono in Australia, un titolo del Grande Slam. Sono la coppia di doppio numero uno del tennis mondiale Sara Errani e Roberta Vinci. Ma un conto è arrivarci cavalcando un lampo, un altro è rimanerci, mettendoci rabbia e talento. Vincono gli Australian Open dopo aver schiacciato le veneri nere Williams ed aver vinto in tre set la finale. Terza pepita d’oro aggiunta alla collana dopo la terra del Roland Garros e il cemento degli Us Open. Le aspettiamo sull’erba sacra, anacronistica, meravigliosa di Wimbledon, per chiudere il cerchio della leggenda.
Già che siamo, idealmente, a Londra: tutti pazzi per la Nba che esportato il suo marchio, per portare ai profani il pane dello spettacolo globale che vuole diventare. New York Knicks e Detroit Pistons hanno giocato lì, negli impianti olimpici ancora profumati di nuovo, un match di regular season. Mossa ovviamente di puro marketing, che niente ha a che fare con le ragioni dello sport. Ma il punto non è questo nel 2013. La questione è domandarsi dove può appoggiarsi l’astronave dello sport globale. La risposta non può piacerci, perché se la Spagna è la locomotiva europea, la Turchia è per mezzi e impianti la nuova frontiera, la Russia può fare ciò che vuole (o che vogliono gli oligarchi), l’Italia è terzo mondo. Non lo diciamo solo noi, ma anche David Stern, commissioner uscente della Nba, l’uomo che ha messo in piedi il tendone del circo. “L’Italia non ha impianti adatti per questo genere di cose”.
Abbassiamo la testa e pensiamo senza fiducia al futuro. Perché se nascerà per decisione del governo uscente un Liceo sportivo in seno all’attuale scientifico, non c’è uno straccio di programma che, in tempo di elezioni, parli di sviluppo degli impianti. Rassegnazione? Chiamatela come volete, con la consolazione che ormai i biglietti aerei hanno prezzi abbordabili anche in tempi di crisi.
Se riabbassiamo gli occhi sull’orto, troviamo un mercato buffo, nel quale il Milan cerca un inspiegabile (o spiegabilissimo per ragioni diverse), colpo ad effetto, qualunque esso sia a prescindere dalle logiche di ricostruzione. Servirebbe un giaguaro da portare al guinzaglio, non importa l’età o la funzionalità, quanto la copertina. E soprattutto il prezzo. Per quanto spelacchiato non deve costare nulla o quasi. Ovviamente Mario Balotelli farebbe eccezione, dato che avrebbe una logica calcistica diversa. Ma Berlusconi ha detto che non è più tempo di giocare a Monopoli e amen. Parco della Vittoria in viola è inaccessibile. Restano Vicolo Corto e Vicolo Stretto. Già, il mercato.
Tempo fa Xavier Iacobelli, allora direttore, ci salvò un giornale (Tuttosport), inventandosi la formula del calciomercato in primo piano ogni giorno dell’anno. Molti l’hanno seguito, ma il giochino mostra la corda, dato che ora i nomi che girano sono roba per addetti ai lavori, cultori della materia, o malati insonni che passano le notti su YouTube. Va bene la fantasia, ma anche a quella esistono limiti.
Intanto dopo una settimana di Coppa Italia, parole e astinenza sempre più violenta da Champions League, il sabato sarà di Lazio e Juventus, stavolta a distanza e con partite non impossibili da giocare in casa: Chievo e Genoa in ordine temporale. Per Petkovic si tratta di resistere, per Conte di amministrare, posizioni assai diverse. Per il resto partite da midollo del calcio italiano, con il Milan a Bergamo, il Napoli a Parma e l’Inter in casa col Torino la domenica notte. Riabbassiamo lo sguardo dall’orizzonte, pensando a un’Australia troppo lontana dove vorremmo essere alla festa di Sara e Robertina e di chi vincerà il titolo su quel campo dipinto di blu.