- Dopo la quarantena, la voglia di colorare le pareti, spostare i mobili e cambiare la tappezzeria è diventata una vera tendenza, battezzata con il termine anglosassone «refurbishing». Viaggio tra colori, materiali e soluzioni per sfruttare al meglio gli spazi e rinnovare completamente la casa. Per renderla un luogo a metà tra rifugio in cui coccolarsi e posto di lavoro super efficiente.
- La casa geniale – tutte le soluzioni per renderla ancora più smart
Il tormentone è partito in aprile, quindi in pieno lockdown, dal T Magazine, l’allegato del New York Times che titolava: «Is staying in the new going out?» ovvero «Lo stare a casa è il nuovo modo di uscire?». La questione, per nulla banale, ha solleticato le teorie di sociologi e antropologi ma ha anche scatenato il pensiero libero dei social, tanto che, da mesi, esiste una pagina Facebook, italiana e molto ironica, intitolata «Stare a casa is the new uscire?».
Ora, al di là dei commenti più o meno divertenti, è innegabile che ci sia una riscoperta della casa e una rinnovata piacevolezza di viverla, complice il periodo di confinamento domestico da Covid-19, con le sue regole di prossemica e i suoi inediti rituali sociali. Meno scontato, però, è il fatto che tale desiderio si stia trasformando, forse inconsapevolmente, in un vero e proprio stile di vita.
In Finlandia lo hanno battezzato, già da tempi non sospetti, con il termine «Kalsarïkannit», mentre negli States con «Nesting»; gli italiani, poco avezzi ai neologismi, non hanno identificato nessun termine eloquente, ma sempre della stessa cosa si stratta: del bisogno di stare nel proprio nido, circondati dalle proprie cose, perfino, strano a credersi, nei weekend.
Molte ore passate tra le mura domestiche implica, però, vivere bene, muoversi in ambienti sani e piacevoli, circondarsi di oggetti utili e affettivi, ricreare spazi consoni alle varie attività, dal lavoro smart alla lettura «slow». In altre parole, significa investire per migliorare il proprio ambiente di vita.
E qui subentra un altro temine, sempre anglosassone: «refurbishing», letteralmente ristrutturazione ma, in senso più ampio, designa quella tendenza a rimodernare la casa, dal cambio di tappezzeria del divano alla semplice tinteggiatura della madia, in cucina, che si sta diffondendo come bisogno vitale.
«Dopo mesi passati a guardare il soffitto, a qualcuno magari viene voglia di dipingerlo di azzurro» interviene, a sostegno della tesi, l’architetto German Fuenmayor, tra i fondatori del presitigioso studio PiùArch di Milano. «Il processo di ristrutturazione delle case da parte di molti italiani era già in atto e il lockdown non solo ha velocizzato i tempi, ma ha promosso un focus sui nuovi valori dell’abitare: la sostenibilità, la tecnologia e la flessibilità. L’introduzione di spazi verdi, l’esigenza di un terrazzo, l’uso di vernici atossiche sono scelte che sottolineano la sensibilità verso la natura e il rispetto dell’ambiente a partire proprio dalle mura domestiche. Sulla tecnologia si è già riflettuto parecchio ed è innegabile che lo smart working, così come lo studio da casa, impongono una riorganizzazione intelligente sia degli spazi che degli arredi, più ibridi e multifunzionali» aggiunge l’architetto Fuenmayor che conclude con «la flessibilità intesa come concetto di integrazione degli ambienti attraverso soluzioni semplici che possano garantire da una parte la privacy e dall’altra la convialità: potrebbe bastare una parete scorrevole a cambiare, nello stesso arco della giornata, la destinazione d’uso di uno spazio. In ogni caso, per gli architetti questo è un periodo interessante, di cambiamenti progettuali. In fondo, le spinte dell’architettura storicamente partono proprio dalla sanificazione dei luoghi; si pensi ai primi anni del Novecento e a come la turbecolosi ha cambiato le abitazioni e le abitudini domestiche».
Tornando al refurbishing, dai risultati dell’Osservatorio sulla casa 2019 su un’indagine condotta dalla rivista Habitante e promossa da Leroy Merlin, emerge che più della metà degli italiani ha effettuato lavori di ristrutturazione per necessità dovute a un cambiamento dello stile di vita (famiglie allargate, coppie separate in casa, single che ospitano in condivisione); che il 66 per cento, nel 2019, ha svolto almeno un’attività di ristrutturazione o manutenzione nella propria abitazione; che il bagno è la stanza della casa più coinvolta (33 per cento), seguita dalla cucina (27); che gli italiani sembrano sempre più attenti alle tematiche legate a salute e «well-being» (74 per cento nel 2019 contro il 68 del 2018), soprattutto per quanto riguarda l’inquinamento domestico – il fumo, i prodotti per la pulizia della casa, le vernici e l’aria che proviene dall’esterno – e l’inquinamento acustico, considerato importante dall’81 per cento.
In un’altra ricerca, intitolata LivingScapes – Stili di vita e dell’abitare contemporanei, condotta dal Salone del Mobile Milano Trend Lab, nel capitolo dedicato al tema della «cosiness» e della «homedulgence» (altri termini molto di moda) che, secondo una definizione di Wikitionary, sarebbe «il fenomeno o la pratica di passare il tempo libero in casa anziché fuori» si legge: «Nella società contemporanea stare e vivere la casa non è una spinta isolazionista ma una scelta dettata da una consapevole ricerca di qualità della vita. Oggi in casa si può fare tutto, dallo shopping alle esperienze culinarie e di intrattenimento, (…) con il valore aggiunto del massimo agio e intimità, che nessun luogo pubblico, pensato come “one size fits all”, cioè taglia unica, riesce a ricreare in pieno».
Insomma, il tema del nido e della sua realizzazione a propria immagine e somiglianza è caldo e nasce ancor prima del lockdown che, come per altri processi, ne ha solo accelerato i tempi. Non solo, ha anche contribuito a diffondere in maniera più capillare e trasversale la «cosiness». A tale proposito, un magazine in particolare ha contribuito alla definizione estetica contemporanea del concetto di «cosiness». Si chiama Kinfolk, è un trimestrale nato a Portland e si occupa, più con immagini che con parole, di design, moda e food; anzi, per dirla con le parole del suo fondatore Nathan Williams, «si occupa di slow living». Cioè di un modello di vita privo di stress, di lavoro con lunghe pause, di spostamenti in bicicletta e di cene casalinghe con amici.
In breve tempo, l’estetica del magazine ha influenzato a tal punto quella di centinaia di migliaia di utenti Instagram che per descrivere l’epidemia di muri bianchi, coperte bianche e librerie di betulla è stato creato un termine ad hoc:«Kinspiracy». Ma a voler essere più precisi, il primo magazine che ha fatto della «cosiness» uno dei punti forti della propria linea editoriale è stato Monocole; non a caso il libro, pubblicato da Gestalten, The Monocle Guide to Cosy Homes ne rappresenta il manifesto. Sono quasi 400 pagine di foto bellissime di case bellissime, con divani morbidi, tavoli in marmo e caminetti in ogni stanza. A guardarlo, d’impulso, verrebbe voglia di buttare tutto quello che si ha in casa per un refurbishing catartico. Ma poi?
«Non serve seguire le mode estetiche del momento, perché, a volte, basta poco per rivoluzionare un’intera casa» incoraggia l’architetto spagnolo, di stanza a Milano, David Lopez Quincoces: «Di solito, suggerisco di ridurre la zona notte per prediligere gli spazi comuni cercando di catturare la luce e consiglio l’acquisto di mobili ibridi che possono avere varie funzioni e passare da una stanza all’altra. Mobili fatti bene, in Italia con finiture di pregio. Per il resto, ognuno deve organizzare la propria casa partendo da se stesso».
Sì, ma quanto costa un comodo divano di alta manifattura italiana? «È ora di smetterla con la storia dei prezzi. Una sedia di design, realizzata in Italia, frutto di studi e ricerche, costa meno di una borsa griffata che, dopo qualche stagione, magari non si indossa più» conclude Carola Bestetti, seconda generazione dei fondatori di Living Divani. E se lo dice lei, c’è da riflettere.
La casa geniale

Televisori a schermo rotante e proiettori da cinema in salotto, serrature evolute, lavatrici veggenti. I nuovi elettrodomestici promettono di prendersi cura di noi e di semplificare la routine domestica. Attenzione però alla loro saccente invadenza.
di Marco Morello
Salvo rare eccezioni, tutti condividiamo la casa con almeno un coinquilino risalente alla preistoria, qualche reperto di anticaglia tecnologica sopravvissuto al tempo e alla corsa furiosa del progresso. Siamo quasi affezionati ai suoi cigolii, alle sue incertezze, ai tempi dilatati per svolgere le operazioni più basilari. Gli tributiamo l’affetto riservato alle abitudini, splendide in quanto immutabili, rassicuranti seppure inefficienti.
Comunque, anche lavatrici, forni, frigoriferi e altri protagonisti del paesaggio casalingo, si sono aggiornati negli ultimi anni. Sono stati travolti dall’innovazione tecnologica, magari con maggiore timidezza rispetto agli arrembanti smartphone, però con qualche tentativo di sostanza: connettività senza fili per comandarli a distanza, applicazioni per tenerne d’occhio i progressi senza abbandonare il comfort del divano, notifiche squillanti a cottura ultimata o lavaggio terminato.
Quello che era il salto di qualità, oggi è la base, la premessa comune a una generazione in arrivo nei prossimi mesi e candidata, per l’ennesima volta, a sorprendere. Desiderosa di convincere persino i più refrattari, i più conservatori, a sfrattare un modello antidiluviano e, alla prima occasione utile, dare il benvenuto alla contemporaneità. A patto, certo, di accoglierne il paradigma, l’elemento fondante: la saccenteria. La presunzione di saperne più di noi. La capacità di consigliarci il dosaggio esatto degli ingredienti per una ricetta che ripetiamo a memoria da anni; di suggerirci come lavare quei capi che mai e poi mai si sono stinti, sebbene di un colore sfrontato, vivido, luminescente; di anticipare, prescrivere, comandare anziché limitarsi a eseguire.
Mettiamola meglio: non parliamo di condizionatori tiranni che impongono la temperatura di loro gradimento, né di televisori satrapi che decretano la trasmissione più adatta ai nostri figli. Il potere della scelta finale resta sempre in mano nostra (o meglio sulle nostre dita, visto che tanto passa dal telefonino), però a volersi lasciar guidare c’è da stupirsi per lo spirito di iniziativa che un elettrodomestico del futuro imminente sarà in grado di arrogarsi.
Alcuni esempi sono sparsi in queste pagine, altri rinforzano la teoria, non limitandosi all’effetto wow, bensì assecondando le ipocondrie del presente.
Ecco il frigorifero InstaView Door-in-door di LG, che al vizio del nome rebus abbina la virtù di utilizzare una luce Led ultravioletta per disinfettarsi e rimuovere fino al 99,99 per cento di batteri e virus. Una specie di amuchina invisibile, calibrata sugli animi più ansiosi.
Qualcosa di molto simile fanno i purificatori della Dyson, che succhiano l’aria cattiva e contaminata e la soffiano pura, come se fosse un’atmosfera d’importazione da un bosco svedese.
Nel frattempo Samsung ha deciso di portare in Italia quella che sembrava una stramberia cara solo ai coreani: il televisore rotante su cui guardare ingranditi, orientati in verticale, i contenuti dello smartphone, inclusi i programmi per allenarsi o il diluvio di video musicati da TikTok. La qualità dell’esperienza rispetto a un capolavoro del cinema rimane relativa, ma almeno gli occhi si affaticano meno.
Ma il colpo scenico supremo è l’intelligenza artificiale strizzata dentro la lavatrice, che ingoia calzini sporchi, magliette puzzolenti e altre spiacevolezze da sudore molesto e, solerte, suggerisce il ciclo più adatto, tenendo pure in conto le abitudini di lavaggio dell’utente. Si chiama Ai Control ed è una sorta di lavandaia con ambizioni da concierge e velleità da meteorologo. Già: dà pure una sbirciata alle previsioni della zona e se è troppo umido e i panni non si asciugheranno mai, imposta qualche giro di centrifuga in più.
Sarà che ci siamo tutti un po’ impigriti, forse anche rincretiniti, ma se perdiamo spesso le chiavi ecco la serratura intelligente che si sblocca con il telefono (e se smarriamo pure quello è un attimo disabilitare l’accesso via web, poi però meglio consultare un bravo neurologo). La propone Nuki, ma anche Yale ha la sua, lo smart lock Linus, che consente di assegnare chiavi virtuali via telefonino agli ospiti, così se l’amico da fuori città si presenta all’improvviso non vi aspetterà sul pianerottolo. Soprattutto, in qualsiasi momento si può controllare se la porta è chiusa, così si placa il classico terrore post-partenza di averla dimenticata aperta.
E se viene voglia di brindare di fronte a tanta innovazione, ci si rivolga ad Haier: le sue cantinette connesse, grazie a una scansione dell’etichetta via smartphone, memorizzano i vini che ospitano e, di volta in volta, forniscono consigli per abbinarli ai cibi giusti. A prepararli provvede il forno che si comanda con la voce, riconosce la pietanza al suo interno, imposta i tempi di cottura e fa partire una notifica quando è l’ora di servire il piatto fumante in tavola.
Forse è troppo, di sicuro abbastanza da far sembrare il trillo del timer del nostro forno giurassico un richiamo d’altri tempi.
