Carlo Cracco ha appena inserito il «salmerino» nel menù del suo ristorante in Galleria a Milano. Come lui, tanti altri chef stellati hanno aggiunto nella carta prelibatezze gourmet a base di trota, carpa, e alborella. Per la ricercatezza e leggerezza delle loro carni, ma anche perché branzini e ricciole di mare sono sempre più rari. Ecco dove mangiarli e chi li cucina al top.
L’evoluzione di un cuoco. Spente le telecamere, messa da parte per un po’ la lusinga della pubblicità, è tornato a concentrarsi su quello che sa fare «meglissimo» e il superlativo iperbolico e sgrammaticato s’addice, perché Carlo Cracco è insieme iperbole, talvolta eresia gastronomica, ma sempre intuizione felice. La scoperta avviene in un’occasione speciale: una verticale di Ornellaia Bianco – vino raro e di gran prezzo, ma sorprendente perché nasce a Bolgheri, nella Costa degli Etruschi, dove il tino è rosso per definizione. Qui Cracco ha provato un abbinamento che pare emergere da un antico passato: salmerino in crosta con bietole e zucca. E poi la rivelazione: «Metterò questa ricetta in carta, così come diverse variazioni di trota. Il pesce di acqua dolce è la nuova frontiera».
Insistendo si scopre che la scelta è in parte dettata dalla «necessità», perché il pesce di mare è sempre più raro, e in parte da una rivisitazione del gusto. Durante il lockdown anche i più avanguardisti tra i gourmet hanno cominciato a recuperare tradizione e così in Lombardia la proposta del pesce di acqua dolce è tornata a essere buona. Forse ci si era dimenticati dei «missoltini» comaschi (agoni essiccati) una prelibatezza plurisecolare. Così come si erano obliate le delizie del persico, delle trote al burro che sono tra i piatti più ricercati delle cucine alpine.
La gastronomia italiana è connotata dai pesci di acqua dolce e nei più antichi ricettari se ne magnificano la grazia delle carni e la digeribilità, al punto che lo storione (non va dimenticato che l’Italia è il primo produttore al mondo di caviale di qualità superba, ndr) era nelle mense rinascimentali – Leonardo ne fu il primo sponsor tra gli Sforza così come il cuoco Cristoforo di Messisbugo per gli Estensi. Da lì viene la nostra cultura per le «perle nere» della tavola – uno dei piatti più ricercati. A ben vedere, anche il più raffinato, accogliente, storico tra i tre Stelle italiani, Dal Pescatore di Canneto sull’Oglio, dove Nadia e Antonio Santini con i loro figli officiano la cucina in forma di cultura del buono e dell’ospitalità, nasce dai pesci di acqua dolce. I nonni di Santini aprirono questa che, in origine, era una trattoria-friggitoria nell’incanto del parco naturale dell’Oglio dove servivano cavedani, pighi, persici, carassi, scardole. L’anguilla in carpione al profumo d’arancia di Nadia, non a caso incoronata dal The World’s 50 Best Restaurants migliore cuoca del mondo, è un piatto incantevole.
L’acquacoltura peraltro è una delle risorse più importanti del nostro comparto ittico. Gli allevamenti di trote, di gamberi di fiume, di persici sono un’eccellenza assoluta del made in Italy con un fatturato attorno al miliardo di euro e oltre duemila persone occupate nei luoghi più incontaminati del paese, perché questi pesci hanno bisogno di acque purissime. L’importanza millenaria della pesca in acque interne – oggi è anche motore di un particolarissimo pescaturismo, ultima moda per chi frequenta i nostri meravigliosi laghi – è in qualche misura testimoniata dal fatto che i pescatori del lago Maggiore pagano tutt’ora per i prelievi un tributo ai Borromeo come s’usava nel Medioevo. Sul lago di Bolsena la cooperativa ddi quelli di Lago Vivo ha una produzione di piatti pronti a base di pesce di lago.
Per esplorare la nuova frontiera del «pesce dolce» basta andare al Piccolo Lago (Verbania) e accomodarsi alla tavola di Marco Sacco (due stelle Michelin). Lo chef vive di lago e per il lago, tant’è che ha raddoppiato, oggi ha portato la sua cucina anche sull’Isola dei Pescatori dove ha ridato vita al Verbano, una casa hotel col fascino e la tradizione della comunità di chi gettava le reti nel Lago Maggiore. Ha fondato il movimento «Gente di Lago», spinge per l’allevamento degli storioni, ha una sua scuola di chef di acqua dolce. Tra le ricette innovative la Carpa in salsa all’alchermes e la Trota bianca in crema di tiglio; tra quelle storiche il Lingotto di trota marmorata affumicata al faggio e gel di aceto di lamponi.
Quasi alle porte di Roma s’incontrano i fratelli Sandro e Maurizio Serva. Hanno ereditato La Trota (Rivodutri-Rieti) da papà e mamma e lì, alle fonti di Santa Susanna, nella campagna di Rieti, dove le acque freschissime scendono dal Terminillo e formano campi di cristallo liquido, hanno conquistato le due stelle Michelin. Dice Sandro: «Il pesce d’acqua dolce sarà la riserva proteica del futuro e ci invita a un mondo più pulito, dal punto di vista gastronomico è un giacimento di sapore ancora da esplorare». Le scoperte dei Serva si traducono in Trota, couscous all’ananas, aceto di rose; Carpa, maionese di rape rosse e crescione di sorgente; Baccalà di luccioperca, Zuppa di tinca, Trota fario, oltre a un sublime gioco di prestigio gastronomico che è Luovo di carciofo.
Gianfranco Vissani (Casa Vissani, località Cannitello, Baschi, in provincia di Terni) ha per il pesce d’acqua dolce una particolare predilezione anche perché il suo ristorante s’affaccia sul lago di Baschi. «Ho cominciato» racconta a Panorama «cucinando coregone, ho sempre avuto un rispetto sacro per queste carni delicate: puoi farle all’acqua pazza o alla camomilla ciò che ti restituiscono è la purezza». Quel lago peraltro è pescosissimo ed è uno dei più suggestivi tra quelli artificiali del Centro Italia.
Dal tristellato Norbert Niederklofer (Sant Hubertus di San Cassiano) al «televisivo» Christian Bertol (Orso Grigio, Ronzone) dall’oste Alessandro Gilmozzi (El Molin di Cavalese) al metropolitano Cesare Battisti (Ratanà, Milano) tutti hanno in carta «pesci dolci». Oltre il carpione (che è pure ricetta antichissima declinata in tutta Italia in cento nomi e mille modi) c’è di più. A proposito di carpione. È anche un pesce di lago quasi scomparso. Lo hanno salvato e lo stanno riproducendo in quello di Garda. Perché? C’è una ricetta di Mastro Martino da Como (siamo alla fine del 1300) che nel suo De coquinaria raccomanda un piatto con questo pesce «che ha carne gentile e corruttibile da farsi in acqua e aceto».
