Con una motivazione «green», il cibo sintetico è ormai entrato nell’agenda europea. Al di là di mettere in pericolo intere filiere produttive tradizionali – si vedano le proteste in Olanda – questa nuova industria è tutt’altro che sostenibile. Ma è un ottimo affare.
Cos’hanno in comune madame Ariane de Rothschild e la signora Caroline van der Plas? Una mucca. La vedono però in modo diverso. L’una è tra le donne più ricche del mondo, pensa che sostituendola con la carne di laboratorio si possano fare buoni affari e anche un piacere all’umanità. Resta da capire se un filetto stampato in 3D o un hamburger di zucchero, collanti sintetici e proteine vegetali si abbinino bene con lo Château Lafite (prezzo a partire da 1.400 euro per la bottiglia da 750 cc), uno dei vini di proprietà della signora. L’altra guida il Farmer-Citizen Movement olandese che da almeno tre mesi sta tenendo in scacco il suo Paese. Sono gli allevatori, 40 mila, che il governo dell’eurofalco premier Mark Rutte mette sul lastrico chiudendo le stalle per abbattere le emissioni di CO2. Hanno anche qualcos’altro in comune la baronessa a capo di un impero finanziario che amministra 163 miliardi di franchi svizzeri e la giornalista cattolica decisa a tenere in vita aziende che al massimo guadagnano 150 mila euro l’anno: ovvero un amico-nemico, Frans Timmermans, vicepresidente della Commissione europea, olandese anche lui, che vuole chiudere l’agricoltura del continente perché inquina e sostituirla con i laboratori dove si producono i cibi sintetici.
Timmermans è l’autore del Farm to Fork, che in presenza di carestie mondiali costringe i contadini europei a non coltivare, è il sostenitore del sistema di valutazione alimentare «a semaforo» Nutri-score, è molto amico delle multinazionali della nutrizione che producono i cibi «Frankenstein», è colui il quale vuole farci mangiare insetti e coccodrilli del Nilo al posto di maiali e manzi.
A pensarci bene, Ariane e Caroline hanno anche qualcos’altro in comune. Alla prima la Commissione europea stende tappeti rossi, alla seconda la polizia dell’europeissimo Rutte spara ad altezza d’uomo, arrestando centinaia di allevatori che da mesi con i loro trattori lottano, bloccando l’Olanda nell’indifferenza del mondo, per la loro sopravvivenza. È in atto uno scontro che vale almeno 140 miliardi di dollari: sostituire l’agricoltura tradizionale con quella industriale e di laboratorio.
Il terreno scelto è proprio l’Europa che da quando è guidata da un’altra baronessa, Ursula von der Leyen, è diventata la fucina di tutte le utopie green dietro cui si cela un business colossale. Lo spiega un dossier che Panorama ha potuto leggere e, come dice il frontespizio, «è riservato unicamente agli investitori istituzionali». Si mettono insieme per sollecitare investimenti sui cibi alternativi un colosso finanziario come la Edmond de Rothschild, la società con base a Malta PeakBridge, che è un think tank di ricerca in tecnologie alimentari, e EitFood che riunisce università, 70 tra le maggiori aziende dalla nutrizione e i soldi dell’Unione europea «per trasformare il nostro ecosistema alimentare. Collegando i consumatori con aziende, start-up, ricercatori e studenti di tutta Europa, EitFood sostiene iniziative innovative e sostenibili dal punto di vista economico, che migliorano la nostra salute, il nostro accesso ad alimenti di qualità e il nostro ambiente».
Sfogliando le pagine di questa proposta d’investimento si scopre che lo scopo ultimo è sostituire l’agricoltura con i laboratori: perché i sistemi alimentari consumano il 30 per cento dell’energia, gli allevamenti consumano sei volte le proteine che producono, il 10 per cento dei gas serra è colpa dell’alimentare. E si potrebbe andare avanti all’infinito. La soluzione? Investire nel cibo del futuro puntando su ingredienti innovativi, tecnologie per «altre» proteine e sistemi agricoli alternativi.
Questo è il quadro e dal punto di vista dei quattrini è molto appetitoso. Perché sulla carne artificiale si sono buttati tutti i colossi. Il business in Europa vale oggi 5 miliardi di euro, fra tre anni è stimato a 48. Tutto sano, pulito e giusto? Parlando di ambiente, serve tanta energia per stampare in 3D le cellule staminali. Si sa, per esempio, che Good Meat possiede acceleratori di cellule staminali per produrre fino a 13 mila tonnellate di pollo e carne. Si sa che Impossibile Foods è pronta a inondare l’Europa con le cellule fermentate, così come Findus sostituirà i suoi hamburger con quelli vegetali. Con i soldi dell’Europa in Spagna è partita la produzione di latte-non-latte da staminali, per rimpiazzare quello proveniente da 50 mila vacche.
Ma non ci si ferma lì: forniscono con lo stesso sistema anche latte materno, in modo che le donne non debbano più allattare e siano più produttive. Si sta sperimentando pure la replicazione dei frutti di mare, così come è pronta l’ape drone per impollinare le piante Ogm che producono frutta senz’acqua. Ci sono dei «però». Il primo è che questi sistemi hanno appunto bisogno di tanta energia. Le mucche se la producono da sole… Il secondo è che serve lo zucchero per tutti questi processi e, per coltivare la canna, occorre deforestare. Il terzo è che per ottenere la «falsa» carne serve uno speciale brodo di coltura: per arrivare al traguardo del 20 per cento del mercato mondiale delle proteine animali sono necessari 450 milioni di litri di questa soluzione, che ora è prodotta dalle Big pharma – appena 20 milioni di litri all’anno. È di tutta evidenza che ci sarà una saldatura tra industria del farmaco e multinazionali della nutrizione.
E l’Italia che cosa fa? Difende fin che può il suo modello agricolo che all’Europa non piace, ma gli allevatori olandesi ci invidiano. Nei nostri territori abbiamo circa lo 0,4 per cento di superficie coltivabile mondiale da cui ricaviamo 64 miliardi di euro di valore aggiunto, con emissioni ai 30 milioni di tonnellate di CO2, ovvero un terzo della Francia. Il nostro export vale 53 miliardi e ce ne vengono sottratti altri 120 a causa delle imitazioni alimentari senza che l’Europa, così impegnata a distruggere l’agricoltura tradizionale, ci assicuri troppa protezione. Basta citare l’ultimo accordo fatto con la Nuova Zelanda per cui ai neozelandesi è consentito usare marchi italiani contraffatti nel commercio mondiale – dal Parmesan al finto Prosecco – purché siano in uso nel Paese da almeno 5 anni e non vengano esportati in Europa. Un modo per spazzare via quel granello di sabbia – i campi e le stalle italiani – finito nel possente ingranaggio della corsa mondiale al cibo non agricolo.
Non aver realizzato il piano delle acque però, con le relative infrastrutture di irrigazione, ci ha per esempio condannato quest’anno a perdere il 40 per cento di riso (quasi 600 mila tonnellate, siamo leader di settore nel continente), il 20 per cento del latte e il 30 del grano, accentuando la nostra dipendenza dall’estero. Il che si riflette sui prezzi e rende sempre più difficile consumare italiano con il rischio che arrivino sulle nostre tavole prodotti di scarsa qualità o, appunto, «alternativi». La soluzione che l’Europa ci propone è mangiare carne di coccodrillo, insetti o carne di laboratorio che dieci anni fa costava 300 mila dollari l’etto e oggi ha già quasi raggiunto il prezzo, stimato ottimale, di 10 euro al chilo. Ah, sia detto per inciso, a casa Rothschild si beve Château Lafite. Quello originale. n
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