Andreotti e lo sport (al potere)
Dalle Olimpiadi di Roma al caso Falcao. Quando scendeva in campo lui, erano guai per tutti
C'è stato un tempo in cui Giulio Andreotti era re e nessuno lo sapeva. Dal 1947 a quando decise di ritirarsi a vita privata, storia di pochissimi anni fa, Giulio "il Divo" ha condizionato pesantemente la vita politica e sociale del Bel Paese. E' cosa nota. Lui parlava, pure a bassa voce perché pare che nessuno l'abbia mai sentito gridare, e gli altri ascoltavano. In Parlamento, al Governo, quindi anche nelle stanze segrete dello sport tricolore, che con lui, grazie a lui, ha trovato il modo di diventare grande.
Andreotti il fine mediatore, Andreotti il tifoso da prima fila, Andreotti il dico ma non dico, che tanto si capisce lo stesso. A 28 anni, l'ex mammasantissima della Democrazia cristiana era già sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega allo Sport. Tanto per iniziare. Perché da lì in poi, in un modo o nell'altro, tutte le vicende legate allo sport di casa nostra hanno avuto a che fare con le sue scelte, le sue decisioni, i suoi dubbi e i suoi dietrofront. Nel bene, certo, perché se l'Italia in calzoni corti può fare oggi la voce grossa in Europa e nel mondo il merito è anche suo. Ma anche per vicende che se prendessero forma di questi tempi, altro che terremoto.
Fu Giulio "il Divo" a convincere il Comitato olimpico internazionale che i Giochi di Roma del 1960 andavano sostenuti e caldeggiati per una serie lunghissima di ragioni. L'allora esponente della Dc, già ministro dell'Interno e prossimo ministro delle Finanze, si fece garante dell'iniziativa e sbancò il tavolo. Nel decennio che seguiva la Seconda guerra mondiale, Andreotti era il nome forte di un Italia che puntava i piedi e stringeva i denti. Con lui in campo a portare la nostra bandiera, tutto era possibile. Il 15 giugno del 1955 la conferma di un traguardo storico. Con 35 voti contro i 24 raccolti da Losanna, Roma vinse la gara per ospitare le Olimpiadi, le ultime che si sono tenute sul suolo italiano. Festa grande. Anche per Andreotti, che venne portato in trionfo per aver firmato un'impresa di tutto rispetto.
Giulio "il Divo" era però anche e soprattutto un tifoso della Roma. Un tifoso vero, appassionato e verace. Pronto a tutto, forse di più, pur di vedere trionfare i colori giallorossi. E lo dimostrò al momento opportuno. Nel 1983 il passaggio di Roberto Falcao dalla Roma all'Inter sembrava cosa fatta. Il presidente dei neroazzurri, Ivanoe Fraizzoli, aveva convinto il brasiliano a cambiare maglia e città. Non restava altro che stringere la mano alla società capitolina. Il denaro per l'operazione non mancava e pure il via libera dei dirigenti giallorossi. Insomma, una firma e l'affare si sarebbe concluso.
Ma una telefonata mandò tutto all'aria. E qui il confine tra leggenda e storia vera si fa sottile come un capello. Disse il presidente Fraizzoli: "Ho ricevuto una telefonata da molto, molto in alto. Falcao non possiamo più prenderlo. E non chiedetemi perché, tanto avete capito". Secondo alcuni fu lo stesso Andreotti a chiamare il patron dell'Inter per convincerlo a fare un passo indietro, con argomenti che probabilmente mai nessuno è riuscito a indovinare. Secondo altri, il senatore Dc chiese al fidatissimo Franco Evangelisti (già presidente della Roma) di procedere in sua vece. Per la serie, parla tu e spiegagli come stanno le cose.
Qualcuno si spinse a dire che volarono minacce di verifiche fiscali nella sede dell'azienda di Fraizzoli, che proprio per questo si ritirò dall'operazione Falcao. Roba che Luciano Moggi, al confronto, è un dilettante. Ma Andreotti non ha mai temuto rivali in fatto di astuzia e lungimiranza. "A parte le guerre puniche, mi viene attribuito veramente tutto", disse qualche anno fa per scrollarsi di dosso con un sorriso le tante critiche (e invidie) che gli piovevano addosso da ogni dove. Perché Giulio "il Divo" ha rappresentato la faccia dell'Italia per quasi sessant'anni. E i suoi meriti e i suoi errori hanno fatto la storia di questo Paese. Anche nello sport.