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(Ansa)
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Stagione tv 2022-2023? Stesse facce, stessi difetti (e pochi pregi, tutti dagli Usa)

Serie tv, programmi di approfondimento ed intrattenimento. Tutto troppo uguale al passato con le solite differenze abissali tra prodotti americani ed i nostri

Uno spettro si aggira per case e palazzi, serpeggia fra i divani: l’impressione, suffragata dalle prime conferme, di un’utopia rimasta tale. Avevamo creduto alle promesse di «innovazione», ci eravamo appesi alla sfilza di «originalità» e «investimenti» e «coraggio» di cui ogni emittente, nella rituale presentazione dei palinsesti televisivi, si è fatta carico. Ma l’arrivo di settembre, quel piccolo gennaio stretto fra la fine dell’estate e l’inizio dell’autunno, non ha portato quel che speravamo. Peggio. Non ha portato quel che altri ci avevano indotti a sperare. Le promesse sono state disattese, il coraggio è mancato. I palinsesti televisivi, dove «televisivo» (ormai) ha un’accezione tanto ampia da ricoprire tutto, generalista, canali a due cifre, piattaforme streaming e digitale, si sono riempiti, sì, ma di quel che abbiamo già visto, già conosciuto. Si sono riempiti di quei programmi davanti ai quali abbiamo già riso o pianto, davanti a cui abbiamo strabuzzato gli occhi, increduli, e trattenuto il fiato, trepidanti. Si sono riempiti, vero, ma non di quel che avremmo desiderato.

Certo, qualcosa è stato lanciato. Qualcosa di nuovo, all’apparenza. C’è stato House of the Dragon sul finire di agosto, primo e sontuoso spin-off di Game of Thrones. C’è stato Il Signore degli Anelli: Gli anelli del potere, serie prequel della trilogia vista al cinema, serie nella quale Amazon ha investito cifre monstre, producendo il suo primo e dichiarato successo. Vederle, l’una su Sky, l’altra su Prime Video, è stato magnifico. Visivamente coinvolgente. Strabiliante. Le serie, che ancora una volta ci hanno indotti a fare indecorosi confronti fra quel che produciamo in Italia e quel che sanno confezionare altrove, negli Stati Uniti d’America, si sono rivelati di una qualità superiore a tanti film. Ma un «ma», grande e grosso, le ha accompagnate. Non c’è stato nulla di nuovo, di originale. House of the Dragon e Gli anelli del potere, pur maestose e meritevoli, sono serie già viste. Spin-off, prequel, universi che lo spettatore negli anni ha imparato a conoscere, geografie ben codificate alle quali manca, però, il tema della scoperta. Cara, vecchia scoperta, diventata ormai merce rara, estranea ad ogni cosa. All’intrattenimento, soprattutto, pronto a ripartire dai soliti programmi. Bake Off, su Real Time, ha già preso il via, la decima edizione. X-Factor, creatura moribonda che noi italiani, soli (o quasi) nel mondo, ci ostiniamo a tenere in vita, debutterà il 15 settembre, con un altro conduttore, Francesca Michielin, e una giuria nuova. Maurizio Crozza riprenderà il 23 del mese, su Nove: lo stesso show, maschere che si susseguono. E pare di perderla, la cognizione del tempo, il senso delle cose. C’è la percezione di uno smarrimento nell’accendere la televisione e ritrovarli tutti lì, gli stessi volti di sempre, passati forse a network diversi, carte rimescolate di uno stesso mazzo. Prezzemoline e prezzemolini, visti su abbonamento e poi in chiaro. Ovunque, a qualsiasi ora. Alessandro Borghese, ormai padrone di ogni gara in odore di cucina. Bruno Barbieri, prestato all’hotellerie. Ernst Knam, sballottato fra Real Time e RaiDue. E sulla generalista la danza dei soliti noti, da Barbara d’Urso a Federica Sciarelli.

Della sperimentazione invocata e promessa, non si è (ancora) avuta prova. Settembre è cominciato e a spulciare ovunque, pure fra le piattaforme streaming, non si è trovato niente che non si sia già visto (o, come nel caso della malriuscita Wedding Season, su Disney+ dall’8 settembre, si sia finto di non vedere). Chiariamoci. Il «già visto» non vuole portare con sé un giudizio sulla bellezza di un tale programma o di una tale serie tv, sulla bravura di uno fra i professionisti riconfermati per l’ennesima volta. Solo, esiste un rischio connesso al «già visto», un rischio concreto, tangibile, quasi. Il «già-visto» genera abitudine e l’abitudine si accompagna alla straordinaria capacità di generare noia. Assuefazione. Ci si abitua a tutto, e tutto si ammanta di banalità, monotonia. La bellezza smette di colpire, i profumi di stordire. Il divertimento diventa noto e, alla fin della fiera, le televisioni si spengono.

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Claudia Casiraghi

(Milano, 1991)

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