Hozier: "Take me to church è un inno alla libertà"- Intervista
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Hozier: "Take me to church è un inno alla libertà"- Intervista

Il 13 gennaio è uscito l'album del giovane cantautore irlandese che ha superato gli U2 in classifica

Quasi 100 milioni di ascolti su Spotify e 80 milioni di visualizzazioni su YouTube hanno reso Take me to church un successo mondiale che ha lanciato la carriera di Hozier, l’esponente più autorevole dell’indie-gospel.

Un inno alla tolleranza e alla libertà individuale, che ha fatto breccia nei cuori di un pubblico insolitamente trasversale.

Venticinque anni a marzo, alto poco meno di due metri, capelli e barba lunga, magrissimo, sguardo profondo, Andrew Hozier-Byrne, meglio conosciuto come Hozier, è lontano anni luce della stereotipo del divo pop che oggi va per la maggiore, più attento al look che alle canzoni.

Il suo album di debutto, intitolato semplicemente Hozier, sorprende per la maturità e per la profondità dei testi che sembrano scritti da un uomo di mezza età.

La sua musica, definita indie-gospel, è fortemente influenzata dal soul e dal blues.

Abbiamo raggiunto telefonicamente Hozier, che si è dimostrato un giovane umile e con le idee chiare.

Andrew, quando hai finito di comporre Take me to church ti sei reso conto che poteva diventare una hit mondiale?

“No,  non pensavo a come sarebbe stata accolta, tanto meno che un giorno sarebbe diventata una hit e un successo radiofonico, ero semplicemente felice del risultato. L’abbiamo registrata in pochi giorni, nella versione definitiva c’è la parte vocale del demo originale, registrato alle 3 di notte nella mia mansarda. Sono davvero felice che sia piaciuta al pubblico come è piaciuta a me”.

Take me to church è stata la canzone più ascoltata del 2014 su Spotify. Secondo te in che modo lo streaming ha cambiato la fruizione della musica da parte degli ascoltatori? Potrà davvero un giorno sostituire definitivamente il cd e i vinili?

“E’ difficile dirlo, siamo in un momento di grandi cambiamenti per la musica. Io, ad esempio, continuo a comprare cd e dischi, è bello sedersi e avere un album tra le mani. Spotify, d’altra parte, è un modo fantastico di ascoltare la musica, è uno strumento democratico che permette alle persone di ascoltare cò che vogliono e di condividerlo con i loro amici. Lo streaming ha rappresentato gran parte del mio successo, quindi non posso che esserne entusiasta”.

Che impressione ti fa vedere il tuo album al numero uno della classifica irlandese davanti agli U2? Che cosa hai provato quando Bono ti ha fatto pubblicamente i complimenti?

“Sono rimasto davvero colpito nel sapere che Bono e gli U2 hanno detto di apprezzare la mia musica. Per me, che sono un musicista irlandese, è il massimo. Quanto alla classifica mi ha fatto naturalmente piacere che il mio album era al numero uno, ma Songs of innocence è stato regalato precedentemente su iTunes, quindi partivo avvantaggiato".

Ho letto che non sei d’accordo con la definizione di “indie gospel” che hanno dato alla tua musica. Come la definiresti, ammesso che abbia un senso definire oggi la musica?

“E’ difficile catalogare un album che raccoglie numerose influenze, di cui a volte neanche ti rendi conto, in due sole parole. C’è sicuramente, nelle mie canzoni, l’influenza del gospel, che è alla base del blues e del soul, ma anche dei miei cantanti preferiti che sono Tom Waits e Nina Simone, anche se non voglio certo paragonarmi a due mostri sacri come loro. Credo che la parola musica sia l’unica in grado di rappresentare tutto questo”.

Si dice che il secondo album sia sempre il più difficile per un artista, soprattutto dopo che il disco d’esordio è stato un grande successo. Senti il peso di doverti confermare con il tuo prossimo lavoro?

“Non mi sarei mai aspettato di avere un simile successo con il mio primo album, perciò mi sento libero anche adesso da pressioni. Magari le persone che l’hanno apprezzato avranno delle aspettative e certamente non ho intenzione di deluderle, ma ci penserò solo quando sarà il momento di entrare in studio per registrare i nuovi brani. Adesso sono in tour, anche se scrivo canzoni ogni giorno".

Hai dichiarato che il significato di "Take me to church" è "affermare se stessi e rivendicare la propria umanità attraverso un atto d'amore". Che cosa intendi esattamente?

“Esprimere se stessi è uno delle cose più importanti nella vita, uno dei  motivi per cui siamo qui e uno dei modi in cui esprimiamo meglio ciò che siamo è attraverso l’amore e il sesso. A volte alcune organizzazioni limitano il nostro diritto di esprimere questi sentimenti e non mi riferisco soltanto a quelle religiose. Organizzazioni fatte di persone che impongono regole ad altre persone, costringendole a comportarsi in modo innaturale. Credo che sia importante affermare ciò che riteniamo giusto, anche se a volte non è facile”.

Che cosa ti ha spinto a lasciare il tuo gruppo, gli Anuna, dopo quattro anni?

“Stavo viaggiando molto per proporre la mia musica, non era facile riuscire a conciliare la carriera solista con il far parte di  una band, così ho deciso di camminare da solo con le mie gambe e di concentrarmi sulle mie canzoni. I rapporti tra di noi sono rimasti ottimi, tanto che ho cantato in due brani del loro ultimo album”.

Ho letto che, tra le tue fonti di ispirazione, i poeti irlandesi occupano una parte importante. Quali sono i tuoi preferiti?

“Sì è vero, il mio preferito è Seamus Heaney, che ho studiato anche al Trinity College prima di abbandonare l’università, ma adoro anche Oscar Wilde. Hanno una capacità unica di esprimere i sentimenti più profondi”.

Sei uno dei pochi artisti che si è affermato senza bisogno di un talent show. Hai mai pensato a partecipare a uno di essi?

“In passato mi è stata offerta più volte l’occasione di prendere parte come concorrente, ma ho sempre rifiutato. La verità è che io volevo soprattutto scrivere canzoni e non trovarmi davanti a una telecamera a cantare brani scritti da altri. Non giudico chi partecipa  a un talent show, semplicemente  è un tipo di spettacolo che non fa per me” .

Quando potremo vederti dal vivo in Italia?

 “Spero di venire da voi dopo la fine del mio tour americano a maggio, ho un paio di settimane libere e sarebbe bello suonare nel vostro paese. Chissà, magari anche quest’estate, se ce ne sarà la possibilità”.

Hozier canta per la sfilata di Victoria's Secrets a Londra

Getty Images
Hozier canta a Londra per la sfilata di Victoria's Secrets

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Gabriele Antonucci