L’estate di Perasto

L’estate di Perasto

Il 12 maggio 1797, il fatto è universalmente noto, con l’entrata dei francesi in città e l’autoscioglimento delle istituzioni ha termine la (forse) millenaria storia della Repubblica di Venezia. Il 23 agosto 1797, in una data certo meno famosa ma …Leggi tutto

Il 12 maggio 1797, il fatto è universalmente noto, con l’entrata dei francesi in città e l’autoscioglimento delle istituzioni ha termine la (forse) millenaria storia della Repubblica di Venezia.

Il 23 agosto 1797, in una data certo meno famosa ma non negletta, le truppe austriache arrivano a Perasto, cittadina dell’odierno Montenegro, dentro alle Bocche di Cattaro, e ultima terra rimasta fino ad allora orgogliosamente veneziana, in autogoverno e pur sapendo del destino della madrepatria. In quella cittadina, per un privilegio guadagnato secoli prima dal valore e dalla fedeltà dei perastini, si conservava il vessillo che compariva, in tempi di guerra, sull’ammiraglia della flotta veneziana (anche lì custodito e scortato da dodici uomini di Perasto). All’approssimarsi degli austriaci – l’episodio è ben conosciuto – quel gonfalone fu portato in chiesa, benedetto e pianto per l’ultima volta dall’intero popolo della cittadina; e su di esso, prima che venisse seppellito sotto l’altare, il capitano Viscovich, massima autorità locale, pronunciò un discorso giustamente noto: “Per trecento e settant’anni le nostre sostanze, il nostro sangue, le vite nostre ti furono sempre consacrate, e da che tu fosti con noi, e noi con te, fummo sempre felicissimi, fummo sul mare illustri e vittoriosi sempre; niuno con te ci vide mai fuggire, niuno con te ci poté vincer mai” (la prosa goffa e aulica è quella di Francesco Viscovich, pronipote del capitano).

Qualcuno vuole, peraltro, che quel discorso sia stato fatto in veneto o in italiano, benché il citato Francesco Viscovich affermi che fu pronunciato in serbocroato; ma sostenere questo, considerato che Perasto era ed è una cittadina slava in cui né l’italiano né il veneto erano perfettamente comprensibili a tutti, significa sminuire la portata di quel gesto di affetto e attaccamento, che fu invece universale, profondo e non legato o limitato a una parte dei sudditi. Lo spirito di Venezia non ha d’altronde nulla a che vedere con una presunta italianizzazione o colonizzazione dell’Adriatico orientale, che non c’è mai stata: per la Dominante Mestre e Corfù erano la stessa cosa…

Ma non è quel discorso e quella dimostrazione d’amore, pur grande e commovente, che voglio far risaltare. Date invece un’occhiata alle date: Perasto sopravvive di tre mesi alla Repubblica. Per tre mesi, Perasto è Venezia: il sole che tramonta sul suo campanile (simile a quello di San Marco), per poi gettarsi in fondo allo stretto mare bocchese, saluta l’ultimo cantuccio di un grande dominio e di una grande civiltà.

Dopo di allora, altri proveranno a unire l’Adriatico; ma nessuno saprà evocare il Mito – che è veneziano – della Giustizia, nessuno saprà vincere e governare con equanimità e moderazione. Se andate a Perasto, anche oggi, capirete da voi cosa si è perduto per sempre quel giorno di agosto del 1797.

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Tommaso Giancarli

Nato nel 1980, originario di Arcevia, nelle Marche, ho studiato Scienze  Politiche e Storia dell'Europa a Roma. Mi sono occupato di Adriatico e  Balcani nell'età moderna. Storia e scrittura costituiscono le mie  passioni e le mie costanti: sono autore di "Storie al margine. Il XVII  secolo tra l'Adriatico e i Balcani" (Roma, 2009). Attualmente sono di  passaggio in Romagna.

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