Project Loon 11
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Tecnologia

Là dove nascono i progetti con cui Google vorrebbe cambiare il mondo

Cos'è Google X, il laboratorio segreto dove Mountain View progetta le invenzioni che potrebbero rivoluzionare la nostra vita (e anche la sua)

Innovare non significa inventare. Se l’invenzione è un creazione partorita dal genio - o, più modernamente, da un laboratorio di ricerca e sviluppo - spesso slegata da qualsiasi implicazione di carattere commerciale, l’innovazione può essere vista come l’invenzione calata nella realtà. La differenza è lieve ma sostanziale, più o meno la stessa che sussiste fra un transistor e una radio, fra l’elettricità e una lampadina, fra Internet e Google.

Inventare e innovare sono gli (unici) imperativi che vigono all’interno di Google X, il laboratorio segreto che da qualche anno ospita tutti i progetti rivoluzionari - o presunti tali - sviluppati da Mountain View. Sono quelli che Google stessa definisce moonshot, letteralmente “lanci verso la Luna”, progetti ambiziosi, al limite dell’utopistico, incredibili ma veri. Nel senso di possibili.

Il business può attendere

Google X, che dal punto di vista amministrativo è una delle particelle di Alphabet, la mega-corporation che raccoglie tutte le divisioni di Google, è sostanzialmente il posto in cui sono stati concepiti i Google Glass, ma anche Project Wing , Project Loon e tutte le varie evoluzioni che hanno portato al primo prototipo di auto a guida autonoma.

Sono progetti che poco o nulla hanno a che spartire con il core business di Mountain View. E nemmeno mirano a rifinire o a migliorare qualcosa di già visto. Quella “X”, in fondo, rivela meglio di qualsiasi chiacchiera il carattere misterioso e indefinito della mission di questa unità di lavoro: come dire che qui non contano le etichette, quelle arriveranno dopo; l’importante è perseguire grandi obiettivi, cercare - e possibilmente trovare - soluzioni geniali a problemi complessi .

Le domande, prima delle risposte

A dirigere le attività di Google X è Astro Teller, ricercatore, scienziato, imprenditore ma prima di ogni cosa nipote d’arte. Il nonno paterno è considerato il padre della bomba a idrogeno, quello materno è invece il matematico che ha vinto il premio Nobel per l’economia nel 1983.

Teller ha rivelato che l’aspirazione di Google X è quella di migliorare la tecnologia di un fattore 10, sviluppando "soluzioni che sanno di fantascienza”. Per questo ha allestito una squadra di specialisti di varia estrazione, una specie di Justice League di nerd, spiega The Atlantic - che si occupa di elaborare rapidamente centinaia di proposte e promuovere solo quelle che hanno il giusto equilibrio fra audacia e fattibilità.

Ma la vera differenza fra Google X e qualsiasi altro laboratorio di ricerca nel mondo sta forse nell’incipit di ogni progetto: i moonshot non nascono quasi mai da un brainstorming di persone che hanno risposte o trovate brillanti; tutto verte sulla capacità di porsi le giuste domande.  Come sarà la mobilità del futuro? Come si possono accorciare i tempi di consegna delle merci? Come portare internet nei posti in cui la natura è ostile a qualsiasi forma di civilizzazione?

Abituati a fallire

A rendere ancora più unico il modello di lavoro adottato nei laboratori di Google X  è poi quella che si potrebbe definire predisposizione al fallimento. Da queste parti l’idea che un progetto finisca nella spazzatura fa parte del gioco, anzi è alquanto probabile, visto l'alto livello di rischio compenetrato in ogni idea.

Il caso più emblematico? Quello dei Google Glass, pare chiaro. Gli occhiali connessi che avrebbero dovuto soppiantare lo smartphone sullo scranno dei nostri dispositivi personali, si sono rivelati un buco nell’acqua. Ciononostante Google X non smesso di lavorare (anche sugli stessi Glass).

È un elemento importante nella cultura di X e dei suoi dipendenti, una sorta di assicurazione psicologica che consente agli Archimede dell'azienda di non subordinare la propria creatività al buon esito dei propri esperimenti.

Fiducia incondizionata?

Del resto, spiega ancora The Atlantic, da quel fallimento Google ha ricavato almeno due grossi insegnamenti: il primo è che non puoi promettere un prodotto quando hai in mano solo un prototipo; il secondo è che un progetto scientifico, per quanto brillante, non diventa automaticamente un successo commerciale. È questo il motivo che ha spinto Google a creare Foundry, una sorta di incubatore che si occupa nella fattispecie di portare le invenzioni degli X allo stadio successivo. Quello appunto delle invenzioni.

La domanda a questo punto nasce spontanea: fino a quando Google, o meglio Alphabet, continuerà a credere in X? Progetti come Waymo - ad oggi forse l’invenzione più promettente, e dunque redditizia, fra quelle partorite nei laboratori segreti di Mountain View - sono sufficienti a giustificare un investimento pari a quasi 4 miliardi di dollari? Oppure Larry Page e Sergey Brin si aspettano qualcosa di più, magari la Google del futuro? Finché il business della pubblicità online continuerà a crescere con questo passo non c'è ragioni di preoccuparsi.

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Roberto Catania

Faccio a pezzi il Web e le nuove tecnologie. Ma coi guanti di velluto

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