James Blunt: "In Moon Landing ho scritto per Whitney Houston" - Intervista
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James Blunt: "In Moon Landing ho scritto per Whitney Houston" - Intervista

Faccia a faccia con l'antidivo che ha venduto 17 milioni di album

Moon landing è disco ispirato, suonato dall'inizio alla fine, con una qualità di scrittura elevata. James Blunt ne è orgoglioso, si vede da come ce ne parla, dall'entusiasmo contagioso che mostra verso la sua ultima creatura. Lo incontriamo dopo un passaggio radiofonico promozionale alle porte di Milano. 

"il mio goal è scrivere canzoni. Io, prima di essere una popstar, sono un songwriter e questo volta sono davvero contento del risultato" racconta a Panorama.it. "Moon landing è un album molto più personale, con un forte ritorno alle origini. Parla di me e di Tom Rothrock, il produttore. Insieme, ripercorriamo la nostra carriera dall’inizio ad oggi". 

Tra i brani meglio riusciti c'è Miss America dedicata alla tragica fine di Whitney Houston. "Chi gode di un certo tipo di popolarità, parlo soprattutto di quella da gossip, non è mai al sicuro. Tra la vita reale e quella riportata dai magazine c'è spesso una distanza incolmabile, una frattura. Dietro le star e la loro aura ci sono uomini e donne che provano sentimenti forti come tutti La mitologia è a uso e consumo dei media, dei fan. La vita vera non può essere anestetizzata, fa il suo corso. E quando l'uomo e il personaggio entrano in conflitto possono succedere cose orribili. Penso a Whitney, ma anche ad Amy Winehouse o alla Prinicpessa Diana...".

Inevitabile chidere a James qual sia il suo rapporto con la vita da celebrità. "Ho un rapporto sano con la mia carriera: Io mi sento un musicista che vive del proprio lavoro, uno che di mestiere scrive canzoni. Non mi percepisco come una superstar e ho un forte senso del limite. Non mi sento essenziale, non sono un medico che salva vite e nemmeno un insegnante che deve farsi carico dell'educazione di bambini che si affacciano alla vita".

Il titolo dell'album, Moon landing, ha un forte richiamo nostalgico verrebbe da dire. "Assolutamente sì. Le mie canzoni hanno volutamente un sound old school, si rifanno alla golden age della canzone, agli anni Sessanta e Settanta, principalmente. Old school, per tornare al titolo del disco, sono anche le immagini del primo uomo sulla luna. Le trovo fascinose, bellissime, catturano un istante che rimarrà per sempre nella storia del mondo. Io non ero nato quando il 20 luglio del 1969 Neil Armstrong ha toccato la superficie lunare, ma mi emoziono quando ripenso al mondo incollato davanti alla tv per assistere in diretta a qualcosa che nei decenni precedenti non si sarebbe nemmeno potuto immaginare". 

Nei nuovi pezzi di James Blunt non c'è traccia del suono tecnologico e algido di moltissime produzioni contemporanee. Una scelta chiara a favore della musica suonata da uomini in carne ed ossa: "Per me, come autore, è determinante il fattore umano. Non voglio un brano suonato a metà da un computer. Non scriverò mai un testo dedicato a un'auto di lusso o a un orologio. Troppo impersonale. I miei pezzi parlano di persone vive, che provano sentimenti, che hanno cuore ed anima. Non metto un filtro sulla mia voce per assomigliare a un robot, voglio che si senta l'originale non una copia clonata".

Chi è oggi James Blunt? "Un uomo che ha fatto il suo percorso e che ha ancora molta strada da fare. Un musicista appagato, felice, che ha fatto conti con il suo passato (James è stato un militare inglese al servizio della Nato in Kosovo; ndr). La mia la storia non è quella di un predestinato alla fama. Io sono diventato quello che sono, ho combattuto tutte le barttaglie di una vita, una dopo l'altra. Chi ero lo racconto in uno dei miei pezzi preferiti del disco, Bones:  “Non sono mai stato bellissimo. Non mi è mai piaciuto il suono della mia voce. Non ero figo da adolescente, non ho mai dormito, ma avevo tanti sogni”.

  

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Gianni Poglio