In Formula Uno e nello spazio indossano le sue cinture di sicurezza
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In Formula Uno e nello spazio indossano le sue cinture di sicurezza

La storia della Sabelt che prima produce per il settore auto, poi cede l'azienda agli americani e si concentra sullo sport e poi si riprende la società

Ha fatto la storia delle cinture di sicurezza per auto. Ha costruito in Italia una delle massime aziende di produzione di cinture di sicurezza, di cui ha poi ceduto il controllo agli americani di Trw, quando il mercato mondiale stava concentrandosi nelle mani di pochi player.  Nel frattempo, aveva già messo a frutto il suo know-how ritagliandosi la leadership nel settore della Formula 1 e del Motorsport brevettando cinture di sicurezza ultraleggere e hi-tech. Non contenta, la piemontese Sabelt (acronimo che deriva dall’inglese safety belt) ha anche costituito nel 2008 una joint venture con Alberto Bombassei per mettere insieme la sicurezza dei suoi prodotti e quella dei sistemi frenanti di Brembo.

E infine, la scorsa estate, il “ritorno al futuro”. A giugno, il fondatore Giorgio Marsiaj (foto) si è infatti ripreso in casa l’intera azienda: “La joint venture voleva sfruttare le potenzialità della sinergia tra due leader della sicurezza automobilistica” commenta Marsiaj. “Ma poi abbiamo capito che riprendere l’azienda in famiglia ci avrebbe permesso di concentrarci meglio sul business, senza deviazioni”. Quindi, la nuova ripartenza, con un nuovo management (direttore generale, finanziario e commerciale e l’ingresso del figlio Massimiliano in azienda), 160 dipendenti e un fatturato da 35 milioni in crescita del 45 per cento, rispetto all'anno precedente.


Guardando alla storia di Sabelt, che produce nei due stabilimenti di Moncalieri (Torino) e di Detroit (Usa) da cui fornisce sedili e cinture per alcuni modelli Fca, si capisce che l’azienda, inseguendo le sue intuizioni imprenditoriali, ha avuto più di una vita. “Oggi produciamo sedili per auto ultrasportive, applicazioni speciali e competizioni sportive, ma soprattutto confermiamo la nostra leadership nel settore delle cinture di sicurezza per motorsport e Formula1 per arrivare ai recentissimi sconfinamenti nell’aerospazio” continua Marsiaj. “Oggi il settore delle cinture di sicurezza è in mano a pochissimi operatori mondiali, ma noi siamo riusciti a capire come svoltare, ricomprandoci da Trw il brand Sabelt,  e a occupare quelle nicchie di eccellenza che ci fanno grandi in Italia e all’estero”.

Oggi Sabelt lavora e implementa il suo prodotto per McLaren, da oltre dieci anni è partner di fiducia della Ferrari, per la quale con Pininfarina ha sviluppato un sedile in fibra di carbonio e vetroresina con annessa cintura. E ben sei team su 11 della Formula1 montano cinture Sabelt. Una prova? Negli anni Ottanta Keke Rosberg e Ayrton Senna hanno vinto con cinture Sabelt e lo stesso hanno fatto grandi piloti come Nelson Piquet, Alain Prost, Eddie Irvine, Michael Schumacher e molti altri. “Il mio sogno è portare i nostri sedili e cinture nell’aviazione: elicotteri e nuovi velivoli” è la visione del presidente. “La nostra fortuna è che lavoriamo e siamo cresciuti in un’area  che ha scritto la storia passata e presente dell’automotive e dell’aerospazio, e che ancora oggi rappresenta l’avanguardia della tecnologia in questi settori. La nostra innovazione è infatti costante, continua, customizzata, alla quale destiniamo circa l’8 per cento del fatturato annuo”.
Il risultato più recente sono state le cinture ultraleggere Sabelt utilizzate per legare le borse del cargo Cygnus, spedito in orbita per rifornire la stazione spaziale orbitante. “Siamo riusciti a far risparmiare circa 70-80 chili, consentendo economie di carburante, di energia e maggiore carico, riducendo quindi anche il numero dei lanci per i rifornimenti” conclude Marsiaj. E provate a dire che è banale.
 

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Antonella Bersani

Amo la buona cucina, l’amore, il mirto, la danza, Milan Kundera, Pirandello e Calvino. Attendo un nuovo rinascimento italiano e intanto leggo, viaggio e scrivo: per Panorama, per Style e la Gazzetta dello Sport. Qui ho curato una rubrica dedicata al risparmio. E se si può scrivere sulla "rosea" senza sapere nulla di calcio a zona, tennis o Formula 1, allora – mi dico – tutto si può fare. Non è un caso allora se la mia rubrica su Panorama.it si ispira proprio al "voler fare", convinta che l’agire debba sempre venire prima del dire. Siamo in tanti in Italia a pensarla così: uomini, imprenditori, artisti e lavoratori. Al suo interno parlo di economia e imprese. Di storie pronte a ricordarci che, tra una pizza e un mandolino, un poeta un santo e un navigatore e i soliti luoghi comuni, restiamo comunque il secondo Paese manifatturiero d’Europa (Sì, ovvio, dietro alla Germania). Foto di Paolo Liaci

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