I pregiudizi tedeschi sugli italiani di cui non bisogna vergognarsi

I pregiudizi tedeschi sugli italiani di cui non bisogna vergognarsi

“La cucina italiana è diventata famosa grazie agli emigranti, quindi grazie ai nostri avi che sono dovuti emigrare a causa di guerre, carestie o per la mancanza di lavoro. C’era chi andava in America, in Australia… portandosi dietro i prodotti …Leggi tutto

“La cucina italiana è diventata famosa grazie agli emigranti, quindi grazie ai nostri avi che sono dovuti emigrare a causa di guerre, carestie o per la mancanza di lavoro. C’era chi andava in America, in Australia… portandosi dietro i prodotti e le tradizioni della propria terra: l’olio, i pomodorini, il formaggio e i salumi: la famosa “valigia di cartone”. Questa è stata la vera fortuna della cucina italiana” ha detto una volta il cuoco”

Carlo Cracco, cuoco

Sabato pomeriggio della settimana scorsa. Club der Visionäre, uno dei locali più carini di Kreuzberg (un tempo, prima che lo rendessero più indoor che outdoor era però meglio), lì dove giovani berlinesi e turisti desiderosi di un luogo fighetto si recano quando hanno voglia di mettere i piedi a mollo nell’acqua del canale sentendosi comunque  al centro di una sorta di 24 ore su 24 “movida” berlinese. Sono seduto sul bordo di una delle chiatte che compongono il locale con un mio amico austriaco. Una ragazza, età indefinita tra i 35 e i 40, occhi azzurri, magra, alta, senza dubbio bella, ci si siede accanto.  Ci fa una battuta sulla birra che beviamo, da lì comiciamo a chiacchierare.

E’ di Starnberg (Baviera), è venuta a Berlino per 4 giorni di vacanza, ci viene almeno due volte l’anno. Fa l’agente immobiliare a Monaco, ma ancora non si è comprata una casa “Ogni volta che riesco a mettere dei soldi da parte viaggio”. Il prossimo mese andrà ad Ibiza (“Dovreste andarci, è un posto fantastico, ci vado ogni anno”), il mese scorso invece ha fatto una minicrocera sul Mar del Nord.

Le sue domande si susseguono seguendo il classico canovaccio fino a toccare anche la solita:

-E tu, cosa fai per lavoro?

Il mio amico risponde che è un architetto. Lei a questo punto si gira verso di me:

-E tu? Sei un cuoco? Lavori nella gastronomia?

-No, perché?

-Beh, sei italiano…

Le rispondo sorridendo che no, non lavoro nella gastronomia e continuo la conversazione come se nulla fosse, ma dentro rimango infastidito. Dopo un po’ però, quando cala il silenzio, le chiedo la ragione di quell’osservazione, classico esempio di pregiudizi tedeschi sugli italiani, perché avesse fatto quella connessione: italiani-gastronomia.

-Non ne conosco nessuno che lavori nel mio campo, nella mia cittadina italiani c’erano solo le famiglie che avevano un ristorante e anche a Monaco tutti gli italiani che conosco lavorano in questo ambito.

Nel 1955 l’Italia siglò un patto di emigrazione con la Germania che nel giro di pochi anni portò quasi tre milioni di italiani a cercare fortuna in quella nazione che solo dieci anni prima era stata nostra amica/nemica di guerra. Alcuni di loro tornarono indietro dopo pochi anni, altri rimasero. Il Gastarbeiter (lavoratore ospite) italiano creò di riflesso un mercato, quello dell’alimentazione all’italiana e così la ristorazione “italiana” si allargò a macchia d’olio, intercettando anche i gusti dei tedeschi tant’è che orami ovunque si vada, dal più piccolo paesino del Brandeburgo o della Baviera, c’è sempre almeno un ristorante italiano. Parallelamente accadeva la stessa cosa per i turchi e per la loro cucina (ma quella è un’altra storia, così come è un’altra storia, di cui spero di parlarvi presto, quella dei tanti ristoranti non gestiti da italiani, che si spacciano per tali). Nel giro di poco tanti italiani cominciarono ad emigrare in Germania non solo per lavorare nelle fabbriche, ma anche per essere impiegati direttamente nei ristoranti. Diventare cameriere era un obiettivo di tanti ragazzi che partivano dall’Italia con la speranza che lo zio o l’amico dello zio li assumesse a vita. Quello era l’obiettivo e di quello (e non c’è niente di male) “si accontentavano”.

Salvo sparute eccezioni così è stato per annie così, seppur tra moltissimi distinguo, è sorprendentemente tuttora, con un’impennata di arrivi negli ultimi due/tre anni. Circoscrivendo il discorso a Berlino, sempre più italiani che arrivano qui si ritrovano, volenti o nolenti, a cercare uno sbocco nella ristorazione. Spesso lavorare in un ristorante non era il loro obiettivo quando sono partiti. Sono arrivati a Berlino senza un piano preciso, con la speranza che il sistema tedesco, più meritocratico e aperto di quello italiano, potesse inquadrarli ed offrire loro opportunità.  Con una laurea in lettere, filosofia, architettutra scienze politiche o della comunicazione, beh, il sogno era quello di realizzarsi professionalmente, ma nell’attesa di imparare bene il tedesco da una parte, e l’esigenza di mantenersi dall’altra, spesso si inizia come camerieri o cuochi. Il tempo passa, i soldi sono abbastanza per godersi gli aspetti positivi di Berlino e quando si torna a casa si è sempre stanchi e così si rimanda continuamente quella ricerca del lavoro che un tempo ci aveva fatto fare le valige. I sogni si sbiadiscono a poco a poco e dopo un paio di anni si è ancora lì a lavorare per il ristorante. Magari si è diventati capi sala, magari ci si è spostati di più nell’organizzazione di eventi speciali (cene a tema) o altro ancora, ma sempre si rimane nella ristorazione, sempre si cerca di vivere grazie ai proventi  della “cucina italiana”.

Ma il discorso non riguarda solo camerieri e cuochi “arrangiati”. Berlino è una splendida città per chi ha un’idea e vuole investire quei pochi risparmi che ha da parte. E così anche chi non finisce per lavorare in un ristorante, dopo essersi confrontato, senza successo, con il mercato del lavoro tedesco, alla fine pensa, e certe volte realizza anche, l’idea di aprire un proprio locale “italiano”. Con l’olio buono e il cibo buono, di quelli “che qui se lo sognano”. La concorrenza è alta e così ci si specializza sempre più nelle cucine regionali: piadinerie, “panzerotterie”, “cecinerie”, import/export di salami e mozzarelle e così via. Per fortuna molte di queste attività hanno successo e anche quegli italiani che fanno qualcos’ altro, che siano designer, dj, giornalisti, economisti, startupper o impiegati in qualche impresa tedesca o no, ne vanno fieri, ci portano gli amici tedeschi con la sicurezza che quelle pietanze così particolari non potranno non piacere, fieri di avere qualcosa su cui non c’è dubbio, l’Italia è maestra.

Sabato scorso, al Club der Visionäre, uno dei locali più carini di Kreuzberg, quando quella ragazza di Starnberg mi ha chiesto se lavorassi nella gastronomia in quanto italiano, ho sbagliato ed invece di prendermela silenziosamente per quel pregiudizio così banale avrei dovuto semplicemente rispondere:

- No, non lavoro nella ristorazione, ma sarebbe bello se lo facessi.

 

 

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