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Google non vuol farci muovere un dito. Ma è davvero un bene?

Con l’assistente vocale le nostre ricerche saranno più semplici. L'intelligenza artificiale capirà non solo le parole ma anche le nostre intenzioni

Voice is the new touch screen. In Google ne sono davvero convinti: per interagire con la tecnologia non avremo più bisogno delle dita, tutto passerà dalla voce. Questione di tempo. Quando l’intelligenza artificiale sarà così smaliziata da capirci meglio del nostro partner, non avremo più bisogno di uno schermo tattile. Basterà chiedere. E ci sarà dato.

Google Pixel: ecco lo smartphone che si comanda con la voce


Miracoli del cosiddetto machine learning, la scienza che lavora per riconoscere automaticamente modelli complessi, ad esempio quelli basati sul linguaggio naturale, e prendere decisioni intelligenti. Ai piani alti di Mountain View la considerano la vera frontiera di sviluppo, più del motore di ricerca, di Android, dei Google Glass, delle mongolfiere e di qualsiasi altra branca del business di Alphabet.

Lo dimostrano gli investimenti a svariati zeri che hanno portato all’acquisto di società pioniere del settore, da Deep Mind a Moodstocks, da Turi a DarkBlue Labs, ma anche tutte quelle novità tecnologiche create per rendere più diretto, quasi confidenziale, il nostro rapporto con l’intelligenza artificiale.

AI ovunque
Un antipasto di quello che ci attende lo abbiamo visto ieri a San Francisco con la presentazione della nuova linea di dispositivi marchiati con il simbolo della grande G.

Due prodotti in particolare hanno destato l’attenzione di pubblico e addetti ai lavori: Pixel, uno smartphone di fascia alta che qualcuno ha già ribattezzato il killer dell’iPhone, e Google Home, lo speaker intelligente che promette di facilitare l’interazione con la Tv e tutti gli altri dispositivi connessi presenti in casa.

Si tratta dei primi due dispositivi basati su Google Assistant, l’assistente vocale presentato dalla società californiana la scorsa primavera e ritenuto da molti il primo vero embrione della nuova Google. L’idea – come vi abbiamo spiegato a suo tempo - è quella di andare oltre gli attuali esperimenti di intelligenza artificiale visti finora, da Siri a Cortana fino alla stessa Google Now.

Google Assistant conversa con noi, capisce il contesto e ci aiuta a fare ciò che ci serve. Qualcosa di più di una semplice applicazione, un’estensione di Google stessa nella sua forma più intelligente e intraprendente

Google Assistant, spiegano i responsabili della società, conversa con noi, capisce il contesto e ci aiuta a fare ciò che ci serve. Semplifica l’acquisto dei biglietti per il cinema mentre siamo per strada, ad esempio, trova il ristorante ideale per uno spuntino al volo prima dello spettacolo e ci offre le indicazioni stradali per arrivare in sala in orario. Qualcosa di più di una semplice applicazione, un’estensione di Google stessa nella sua forma più intelligente e intraprendente.

L'intelligenza? Ha bisogno di un "corpo" adatto per svilupparsi
Insomma, se fino ad oggi Google ha cercato di accontentare tutti con un motore di ricerca e una serie di servizi universali, d’ora poi l’obiettivo sarà quello di offrire un’esperienza unica, personalizzata.

Per farlo, avrà bisogno di far evolvere tutte le sue piattaforme, ma soprattutto di creare un legame più profondo, quasi viscerale con l’hardware sottostante, un po' come ha fatto e sta facendo Apple.

In questo senso, i prodotti visti ieri in California rappresentano un capitolo tutto nuovo nella linea evolutiva della società: in gioco non c’è più la produzione (e la vendita) di un telefonino Nexus ottimizzato per Android ma lo sviluppo di un ecosistema di oggetti in grado di acquisire i dati (vocali e non) degli utenti per trasformarli in azioni utili.

Google vuole parlare con noi


Il concetto di ecosistema è fondamentale per capire il livello di profondità della trasformazione che è in atto. Secondo BigG, infatti, l’intelligenza artificiale non è un semplice add on che ci permetterà di avere un telefonino sempre più smart, ma un’entità una et trina che permeerà su tutti gli ambiti della nostra vita digitale: in casa, a lavoro, in auto. Ovunque saremo ci sarà un dispositivo (o un modulo) basato sull’AI pronto a mettersi sull’attenti al grido di Ok Google!

Google, per dirla senza troppi giri di parole, non vuole farci muovere un dito. Non vuole che le nostre ricerche passino da una tastiera, da un touch screen né da qualsiasi altra forma di interazione “mediata” da uno strumento. Fra noi e le infinite possibilità d’azione c’è ora una figura diversa – un maggiordomo intelligente – pronto a fare da ponte verso i nostri desiderata, in alcuni casi persino ad anticiparli.

Una rivoluzione, soprattutto nella ricerca
Ma è davvero quello che vogliamo? Se sul piano della facilità d’uso la risposta è certamente affermativa - in fondo non c’è modo migliore di comunicare con un’entità astratta che non quella di rivolgerci a lei come faremmo con un umano – sul piano dei risultati c’è qualche perplessità.

La paura è che oltre a toglierci dall’impiccio di effettuare lunghe e complesse ricerche (sul web, ma non solo), Google stia in un certo senso limitando il nostro libero arbitrio. Pensiamoci bene: se fino ad oggi abbiamo cercato un ristorante un hotel o un ristorante chiedendo agli amici, o frugando fra una serie di siti e servizi più o meno autorevoli, domani tutto questo lavoro sarà fatto da un soggetto esterno, fatto di bit.

L’intelligenza artificiale non è un semplice add on che ci permetterà di avere un telefonino sempre più smart, ma un’entità una et trina che permeerà su tutti gli ambiti della nostra vita digitale: in casa, a lavoro, in auto. Ovunque saremo ci sarà un dispositivo o un modulo basato sull’AI pronto a mettersi sull’attenti al grido di "Ok Google!"

Ecco. La domanda che presto o tardi dovremo porci è semplice ma non per questo banale: siamo sicuri di voler lasciare i criteri di selezione nelle mani di un’entità artificiale, che – per quanto tagliata sulle nostre esigenze – non sarà mai uguale a noi? E, fatto ancor più preoccupante, siamo altrettanto certi che le risposte che ci arriveranno in prima battuta non saranno influenzate da inserzioni e accordi commerciali di vario genere?

La nostra generazione, la generazione di quelli che hanno visto nascere Internet, è cresciuta con il benefit dell’informazione facile, è stata accusata di superficialità, quasi colpevolizzata per il semplice fatto di aver avuto ogni risposta a portata di mano. Quella che verrà rischia di ritrovarsi in una condizione persino più imbarazzante: farà ancora meno fatica per arrivare al dunque, forse smetterà di cercare, se non addirittura di farsi delle domande.

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Roberto Catania

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