Girls: la serie dell’anno

Girls: la serie dell’anno

Ieri notte, dopo aver visto l’ultima puntata per ora andata in onda, sono stato travolto da una di quelle riflessioni che al momento mi è sembrata geniale, un’epifania. Stamattina, sfortunatamente, mi sembra che il tutto abbia già perso gran parte …Leggi tutto

Ieri notte, dopo aver visto l’ultima puntata per ora andata in onda, sono stato travolto da una di quelle riflessioni che al momento mi è sembrata geniale, un’epifania. Stamattina, sfortunatamente, mi sembra che il tutto abbia già perso gran parte del suo significato. Ve la propongo lo stesso per amore di discussione: rendersi conto che Girls è la serie più attuale che ci sia in televisione al momento, mi fa sentire particolarmente vecchio. Tenterò di spiegarmi meglio. Andiamo con ordine: Girls è una nuova serie della HBO. Al momento sono stati trasmessi nove episodi. Girls parla di quattro ragazze di New York, poco più che ventenni. Il tutto, ovviamente, ruota attorno alle loro quotidiane storie d’amore, d’amicizia, di sesso (particolarmente esplicito). La creatrice, Lena Dunham è del 1986 e non solo ha scritto la serie, ma è anche l’interprete principale e la regista di gran parte degli episodi. Prima di gettarsi in quest’avventura, la ragazza ha scritto e diretto Tiny Furniture, un piccolo film indipendente del 2010. Il film in questione è stato notato da qualcuno di particolarmente sveglio e a Lena è stata data l’opportunità di creare la sua serie. Tra i produttori esecutivi, al fianco della Dunham, figura il nome di Judd Apatow. Piccola parentesi per spiegare chi è Judd Apatow. Si tratta di un regista (due titoli a caso: 40 Anni Vergine e Funny People) e produttore (Superbad, Non Mi Scaricare, Strafumati) che è stato in grado di cambiare il volto della commedia a stelle e strisce. Un tipo di commedia meno greve e pecoreccia di quello che si pensa (anche se non siamo dalle parti di Blake Edwards…), che si concentra principalmente su temi come l’amicizia maschile (il concetto di bromance), l’incapacità di crescere e il confronto con le dinamiche di un mondo difficile da comprendere. Judd Apatow, con la sua mai troppo osannata serie Freaks And Geeks prima e con il suo cinema poi, è riuscito, molto più delle commedie rosa con Jennifer Aniston, a rappresentare perfettamente una generazione. Girls cambia il target: si passa dai maschi sui trenta alle ragazze twenty-something, ma fa esattamente la stessa cosa.

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Lena Dunham. Fun fact: è giovane.

C’è anche da segnalare la partecipazione di Apatow, sempre nella veste di produttore, a un film come Bridesmaid – Le Amiche della Sposa, una sorta di Una Notte da Leoni al femminile che aveva già mostrato l’interesse del nostro verso il mondo femminile. Per cui Girls, alla luce della carriera di Apatow, appare come una mossa perfettamente in linea con quella che potremmo chiamare la sua “poetica”. Chi scrive, maschio trentacinquenne, non è mai riuscito ad appassionarsi a uno show come Sex and the City per due motivi. Primo: scusate la franchezza, ma una serie che mostra insistentemente donne impegnate a bere un cocktail imbevibile come il Manhattan, non ha su di me un grande appeal. Secondo: all’epoca dell’uscita della serie ero completamente fuori target. Non conoscevo donne simili a Carrie e compagnia e il loro mondo mi era particolarmente alieno. Utilizzo come paragone Sex and the City perché è un paragone inevitabile. Girls, come detto, racconta le avventure amorose, sentimentali, sessuali di un quartetto di ragazze. Le loro sono storie “normali”, di tutti i giorni, in cui è facile immedesimarsi. Storie raccontate senza peli sulla lingua, schiette e senza alcun imbarazzo. C’è Hannah (la Dunham) che è un’aspirante scrittrice, un po’ sovrappeso, arguta e simpatica, a cui i genitori hanno tagliato i fondi. C’è Marnie (Allison Williams), bella compagna di casa di Hannah, responsabile di un galleria d’arte e fidanzata con un ragazzo che non ama. C’è Jessa (Jemina Kirke), la bella e disinibita del gruppo, che non ha mai lavorato un giorno in vita sua e s’è fatta le ossa girando il mondo sperperando i soldi dei suoi genitori e guadagnandosi un finto accento british. Infine c’è Shoshanna (Zosia Mamet, figlia di David Mamet) che è quella impacciata e, soprattutto, vergine.

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Tipo, a lei non la porterei manco al cinema

La cosa particolarmente interessante della visione di Girls è una strana sensazione che oscilla tra il fastidio e il guilty pleasure. Le protagoniste di Girls non (mi) sono per nulla simpatiche. Rappresentano quel tipo di ragazze che passano le giornate ad aggiornare il proprio tumblr di fotografie fatte alle loro calzettone a righe. Ragazze che ascoltano sul loro iPod l’ultima sensazione indie pop di Brooklyn est, per poi dire che erano molto meglio quando non li conosceva nessuno. Ragazze che reagiscono a quello che il cattivissimo mondo esterno dice loro, con l’arma della sagacia e dell’ironia e pospongono sempre e comunque i loro sentimenti rispetto a quelli degli altri. Insomma, io personalmente non uscirei mai per bere una birra con una delle ragazze di Girls.

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Una volta mi ha mandato un sms per andare a bere una birra. Non le ho risposto.

Eppure, dopo le prime puntate, mi sono trovato invischiato in questa serie. Eppure, dopo le prime puntate, il senso di fastidio nei loro confronti s’è trasformato in qualcosa di differente: Girls, con tutte le limitazioni che prevede il passaggio dalla realtà a un canale televisivo, è particolarmente preciso e veritiero nel dipingere le sue protagoniste e il loro mondo. Ok, sono “cose da femmine” e si può pensare quello che si vuole mentre si osservano le avventure di Hannah e le sue amiche, ma c’è la certezza che quello che vediamo sul nostro piccolo schermo è piuttosto simile alla realtà. Non è un caso che uno come Brett Easton Ellis sul suo twitter si sia sprecato in complimenti alla serie. Girls non presuppone che ci sia empatia tra spettatore e attore: fortunatamente questo alla Dunham non interessa. Ma si viene ripagati con onesta e sincerità. Se un giorno, diciamo tra 15 anni, vi trovaste in una stanza con un orribile adolescente che vi chiede com’erano vivevano i giovani un po’ di anni fa, Girls potrebbe risultarvi particolarmente utile. Ed è proprio per questo che questa serie mi fa sentire vecchio. Capire che le turbe, le piccole manie e le abitudini della tua generazione (diciamo di quella appena prima della mia, ma in America sono avanti…) sono già diventate un perfetto prodotto pop, è un inevitabile sintomo di invecchiamento.

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Passerei le giornate a twittare di quanto è antipatica

Concludiamo dicendo che Girls è comunque la serie più interessante in onda al momento. Per tutto quello che abbiamo fino a qui detto, perché in un’industria che funziona come quella statunitense, anche in un canale particolarmente libero come HBO, s’è deciso di affidare un’intera serie (storia, recitazione, regia) a una ragazza giovane. Ma non giovane come i nostri giovani registi di 54 anni, ma una giovane veramente giovane di 26 anni. Insomma, io ve lo dico: non potete permettervi di non vedere Girls.

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Federico Bernocchi

Federico Bernocchi è un giovane di 35 anni. Conduce la trasmissione televisiva Cloud su Coming Soon TV, scrive per Rivista Studio, Wired e Vogue. Sacrifica la sua vita sociale e le sue ore di sonno guardando insistentemente film e serie televisive.

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