Giosada, vincitore di X Factor 9
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Musica

Giosada: "C'è bisogno di rock!"

Il vincitore di X Factor 9 è al lavoro. Oltre ad un tour con gli Urban Strangers e Davide Shorty, un nuovo disco con la sua band di sempre- Intervista

Lui è uno che ha le idee chiare. Non tanto perché ha sempre il controllo delle sue scelte (anzi!, verrebbe da dire) ma perché è libero. E la sua storia musicale ne è una (piacevole) prova. Giosada è nato in una famiglia da sempre legata alla musica. Il suo background musicale è variegato: Giovanni ha dalla sua l’esperienza, le notti a suonare nei locali, la fragilità e la curiosità del viaggio. E la vittoria a X Factor 9 rientra perfettamente in questa storia fatta di sperimentazione, forza, desiderio e semplicità.

Gio, come è nato tutto?

La mia prima esperienza con la musica è stata “1984” di Van Halen che mia sorella mi ha messo nelle cuffie appena nato. Jump di Van Halen è stata la prima cosa che ho ascoltato. Ma ho veramente ascoltato di tutto. A casa si suonava spesso, mio padre provava con il suo gruppo: mi hanno accompagnato fin da quando ero piccolo. Poi ho sviluppato la mia musica, i miei interessi. Ho viaggiato tanto grazie alla musica, in giro per l’Europa. Ci siamo piacevolmente riusciti. È stato lì che mi sono formato.

Intorno ai vent’anni è arrivata la chitarra…

Sì, ho iniziato abbastanza tardi. Sentivo la necessità di dire la mia ma avevo bisogno di qualcosa per poterlo fare. Suonavo il pianoforte ma era difficile da portare in giro, la chitarra invece mi ha permesso di fare quello che volevo.

Andando a suonare spesso all’estero. Cosa ha significato per te questa esperienza?

Mi è piaciuto tantissimo scoprire quanta bontà e quanta accoglienza ci siano in giro, a differenza di quanto si è portati a pensare. Abbiamo girato dovunque, dalla Bulgaria al Portogallo. E spesso capitava che non avessimo un posto dove dormire la sera, per incomprensioni con i promoter o per qualsiasi cosa. Andavamo nei locali a suonare e chiedevamo se qualcuno volesse ospitarci. Capitava sempre che ci fosse qualcuno pronto ad ospitarci: non siamo mai stati abbandonati a noi stessi, tranne alcune volte in cui decidevamo di dormire in furgone. È stata una cosa bellissima, mi ha fatto riscoprire il piacere di stare a casa. Non c’è paragone. Non puoi apprezzare davvero cosa ti manca finché non te ne vai.

Che cosa hai apprezzato di più?

Le cose più semplici, davvero. E - sembra scontato - in primis il cibo, il caffè, la tranquillità di fare le cose con il loro tempo. O il fatto che dalle due alle quattro di pomeriggio puoi riposarti. Ho iniziato ad apprezzare il modello di vita del nostro paese, la cosiddetta slow life. Diciamo che ho cominciato a prenderla molto sul serio (ride, ndr).

La principale critica ai talent come X Factor è il fatto che spesso creino prodotti musicali, riducendo la musica. Tu vieni da un ambiente completamente diverso. Come hai vissuto questa cosa? È così?

Sono nato e cresciuto in una famiglia con una certa armonia al suo interno. Per me la musica non è mai stato un luogo dove trovare la mia pace, il mio mondo, perché lo è sempre stato. E non ho mai attribuito alla musica un senso di ribellione, non l’ho mai etichettata con un mio sentimento prevalente. A dire la verità ho sempre ascoltato di tutto, senza il pregiudizio di cosa rappresentasse quello che stavo ascoltando. Dato che io so quello che sono, so quello che voglio fare, dato che sono una persona abbastanza integra da questo punto di vista, partecipare a X Factor non mi ha portato a un danno, anzi. Ho fatto questa cosa che mi permetterà (spero) di fare il mestiere che voglio fare. Voglio farlo insieme ai miei amici con i quali l’ho sempre fatto. Ho fatto punk hardcore, sono dieci anni che grido in giro. Sono dieci anni che sono dentro a questa scena, e mi sono accorto piacevolmente di poter passare da un concerto nei centri sociali ad una sfilata di Armani. E il tutto molto tranquillamente. Anche se a volte è pesante così.

Cosa ti stanca di più?

Mi sono scocciato dei filtri che ci sono, del fatto che il genere deve essere rispettato, ecc. Si perde troppo tempo in chiacchiere: basterebbe fare bene la musica che si vuole fare. È come se uno chef si fissasse con una cosa da mangiare e decidesse di non cucinare più un piatto perché rappresenta qualcosa: è stupido, la trovo una limitazione che secondo me verrà scardinata nei prossimi anni. Non ci sarà più il genere, ci sarà la musica di qualcuno che comprenderà tante contaminazioni sonore. E sarebbe bellissimo se fosse già così.


Hai spesso usato il tuo canale YouTube per esporti su temi caldi di attualità. Cosa vedi intorno a te oggi?

La situazione è abbastanza complicata, e riuscire a ridurre tutto quello che vorrei dire è difficile. Però voglio dire una cosa: il film di Checco Zalone - che tra l’altro è il mio vicino di casa - è il film che ha incassato di più ed è un comico, fa ridere. La gente è andata a vedere un film che fa ridere. Questo significa che c’è bisogno di risvegliare gli animi che sono stati assopiti da vent’anni di brutte cose, anche culturalmente parlando. Secondo me c’è voglia e necessità di qualcosa di vero e di nuovo: la gente ha bisogno di rispecchiarsi in qualcosa che magari ha perso. Ora sta cominciando a riemergere questa cosa. Secondo me in questo momento storico c’è un gran bisogno di rock, proprio per la necessità di sfogo che c’è in giro. C’è bisogno di dire le cose in modo chiaro e che ci sia un vero inizio. Anche la questione di non poter fare certe cose è riduttivo (torniamo al punto di X Factor): perché? Io ho una mia idea, una mia musica, e voglio portarla a un certo numero di persone, che sia il pubblico di X Factor, che siano i super snob dell’alternative music italiana che a volte non si possono sopportare, l’importante è che riusciamo a superare certi limiti, che personalmente mi hanno proprio stancato.

Come si può fare?

Basterebbe pensare di meno, riflettere di meno credendo di fare una giusta riflessione, e farla con qualcuno che magari la sa fare meglio di noi. Altrimenti non si arriva mai a un punto. Sono passaggi logici. Solo incontrando l’altro, si riesce a superare quello stato, quel limite che a volte abbiamo in testa. Così facendo io ho distrutto tutti i limiti che avevo, mi sento di poter fare qualsiasi cosa. Mi sento disposto a fare qualsiasi cosa, tranne chiaramente le cose che sono lontane da me.

La scrittura de Il rimpianto di te è collegata a questo? Come è nata? È stata molto apprezzata…

Questo pezzo è nato circa tre anni fa. È nato perché era un momento nel quale partivano un sacco di amici, poi tornavano, poi ci vedevamo di nuovo e poi ci salutavamo ancora. Tutto questo mi ha fatto pensare a questa cosa ed è uscita tutta d’un fiato. È nato tutto così. Non è una canzone che vuole risolvere qualcosa, vuole semplicemente raccontare un dato di fatto. È una cosa che ho visto e che ho riportato. Sentivo il bisogno di scriverne.

Recentemente hai pubblicato sui social delle foto con la tua band, i Barismoothsquad. Stai preparando un nuovo album con loro?

Sì, loro sono la mia band, sono le persone con cui ho sempre suonato. Il mio intento principale era quello di fare insieme a loro questo salto e di poter finalmente suonare, che è quello che vogliamo fare tutti noi. Con loro ho preparato dei pezzi nuovi, siamo andati subito a provare e stiamo preparando questo disco. Non vediamo l’ora di suonare live.

E con gli Urban Strangers e Davide Shorty, invece? Si parla tanto di un tour con loro…

La Baell Squad è sempre viva e vegeta. Stiamo preparando delle cose con loro per fare un tour insieme.

Restano comunque due progetti diversi. No?

Gli Urban sono venuti a casa mia a Natale, Shorty non ancora. Si sono conosciuti tutti. La mia band li apprezza molto. Però sì, saranno due cose diverse. Ci sarà il tour individuale di ciascuno e poi questo progetto insieme.

Una curiosità: hai partecipato ad un lungometraggio, Priso – Dove chi entra urla. Stai pensando di dedicarti anche al mondo della recitazione?

Ti dirò la verità: mi interessa molto. Ho fatto teatro per quattro anni con una compagnia teatrale di Bari e mi sono avvicinato al cinema (anche perché in Puglia c’è un grande fermento da questo punto di vista). Mi piacerebbe continuare a farlo. Non vedo il motivo per cui non farlo. È il mio mood di adesso: non vedo il motivo per il quale ora non potrei fare qualsiasi cosa.

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Giovanni Ferrari