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Ghost Stories, geniale imboscata di spettri – La recensione

Jeremy Dyson e Andy Nyman dirigono un grande film di fantasmi. Con un investigatore scettico, tre casi terrorizzanti e un epilogo “vintage”

Finalmente un gran film di fantasmi. Insieme sulfureo e metafisico, terrorizzante e sarcastico. Eccolo, Ghost Stories (dal 19 aprile in sala, durata 97’) di Jeremy Dyson e Andy Nyman esplosivi e farneticanti, cultori dichiarati del meteorologo dell’inconscio Robert Aickman, entrambi provenienti dal quartetto dei League of Gentlemen, che adesso ripropongono al cinema ciò che ha fatto sfracelli nei teatri britannici sulla cresta di una produzione supernatural fantasiosa e scintillante. In una stratificazione di stili che vive su una mutazione progressiva dal ghost, all’horror e al fantasy  con passaggi sempre armonici e plausibili.

Tutto in tre capitoli e un epilogo. Protagonista il professor Philip Goodman (Andy Nyman medesimo, attore e illusionista), investigatore nel suo programma tv sulle truffe nel paranormale. Scettico per natura e professione, gira per le terra britannica a bordo della sua favolosa Jaguar MK2 bordeaux anni Sessanta smantellando trucchi e svergognando pataccari sotto gli occhi delle telecamere. Cosa che gli dà una certa fama e lo rende assai temuto dai presunti sensitivi che gabbano la gente dai palcoscenici e dalle poltrone di casa loro.

Visioni spaventose nell’ex manicomio femminile

Se non che, destino comune a molti diffidenti, Goodman si ritrova a indagare su tre casi davvero nodosi, ciascuno a comporre uno dei capitoli del film, naturalmente convinto di poterli smontare e consegnare al suo campionario d’inganni smascherati. Caso primo ed è subito baraonda, legato alle visioni mostruose di  di Tony Matthews (Paul Whitehouse), guardiano notturno in un vecchio fetido trasudante manicomio femminile ormai abbandonato ma un tempo  popolato di donne scatenate.

Nel secondo il prof deve vedersela con Simon Rifkind (Alex Lawther – quello di Black Mirror) giovane stralunato e sconvolto che, dopo aver travolto con la macchina un dèmone bitorzoluto e immondo nella notte brumosa, si ritrova la casa malignamente poltergeistizzata. Il caso numero tre riguarda Mike Priddle (il Martin Freeman di Hobbit) assediato e perseguitato dallo spirito della sua figlioletta mai nata.

Quel professore deve fare i conti col proprio passato

Dell'epilogo naturalmente si tace. Però ha a che fare con tutto quel che è accaduto in precedenza, raccogliendone fili, scampoli e tremori e dicendo la verità sulla vita dello scettico Goodman il quale, pur ostinandosi a considerare balle, perfino contro l'evidenza, gli eventi cui egli stesso ha assistito, dovrà fare i conti ?" piuttosto salati ?" col proprio passato. In un film davvero larvale,  che si direbbe attraversato da un fluido giallastro e appiccicoso: specie in quei tre episodi raccontati con uno stile asciutto, sporco e ruvido, affogati nell'oscurità, resi ancor più sinistri dall'eccellente gioco di prospettive nella fotografia dell'agguerrito Ole Bratt Birkeland.

Le pulsioni incontrollabili e allucinatorie della psiche

Salti, strepiti, paure, imboscate di spettri. Ebbene sì: è realismo ectoplasmico. Che nell'intera prima parte assume i toni quasi dell'inchiesta, pure lasciando che il grottesco, qua e là, prenda il sopravvento nella maniera più folle e imprevedibile. Il secondo segmento, invece, s'apre a un altro mondo, prossimo alla psiche di Goodman e alle pulsioni più incontrollabili e allucinatorie di uno stato comatoso capace di riprodurre, nella giuntura della narrazione circolare e forse riassumendoli, gli eventi accaduti in precedenza. Una resa dei conti in cornice quasi vintage, un po' a richiamare il profilo bombé di quella Jaguar d'epoca.

L'ossessione della materia e la rivincita dello spirito

Estetica finale da Twilight Zone , serie tv ed estensione cinematografica, dove sembrano mettere il naso Joe Dante e John Landis aspettando, magari, The midnight special dei Creedence. Ma la musica ordita da Dyson e Nyman è un'altra (l'incredibile Monster Mash di Bobby Pickett, la Why di Anthony Newley) e convince lo stesso avendo a che fare, davvero, col concetto di realtà e dei suoi confini.

Tutto è come sembra sostiene il professor Philip Goodman, ne è convinto, proprio il caso di dirlo, fino alla morte nella sua ossessiva visione del mondo materiale che scredita lo spirito. Il quale, com'è ovvio e nelle sue forme più stravaganti, è pronto a prendersi una rumorosa e sferragliante rivincita.

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Adler Entertainment distribuzione, ufficio stampa film Marianna Giorgi
Il professor Philip Goodman (Andy Nyman) pensieroso prima di affrontare i suoi "casi". Ma quello strapiombo è simbolico....

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Claudio Trionfera

Giornalista, critico cinematografico, operatore culturale, autore di libri e saggi sul cinema, è stato responsabile di comunicazione per Medusa Film e per la Mostra del cinema di Venezia

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