Non conosce mezze misure l’uomo simbolo di una Chiesa che è vicina a chi ha bisogno. E di coloro che ha aiutato dice: «Erika De Nardo? Tremava quando parlava dell’omicidio con Omar». Invece non fa sconti a Lele Mora: «È un porco, ha rovinato Fabrizio Corona. Tra loro l’amore era folle».
I grandi rimpianti e le grandi gioie sono balle che ci raccontiamo. Nella mia vita ho scelto di seguire i ragazzi in una maniera borderline. Sono contro la reclusione di qualsiasi tipo. Per questo non sono mai stato in seminario. Se ci fossi stato non sarei mai diventato prete». Don Antonio Mazzi, a 90 anni, vive ancora con i suoi ragazzi perché la morte del padre gli ha lasciato un vuoto incolmabile che ha segnato tutta la sua vita. «Più che prete sono padre», vive la sua esistenza come servizio verso gli altri. È così, dice, che si affronta la crisi dell’uomo, diventato un feticcio nella famiglia, nella scuola, nelle aziende. «La politica ha abbandonato il sociale. Avessi 50 anni chiederei al Papa di mettermi in politica per dimostrare che non è una cosa sporca. Bisogna stare in mezzo alla gente».
Lei è da sempre un prete «anarchico»…
«Direi pure che sono un prete anti-clericale. Non c’è niente di autentico nella Chiesa. È diventata un’organizzazione burocratica e una setta. Io non accetto che si compiano gesti che non affondano le radici in motivazioni profonde. E i cattolici ormai vanno in chiesa non per una scelta consapevole, ma per abitudine».
È il Vaticano il problema?
«Il Vaticano deve sparire. Finché esisterà, la Chiesa non potrà risollevarsi. I vescovi di oggi sono da centro benessere e si preoccupano di essere tutti tirati alla moda, stile via Monte Napoleone. Mi fanno vergogna. Solo con il costo dei loro vestiti potrei mantenere tre ragazzi qui in comunità. E i preti sono più ricchi della gente normale, hanno case super comode, ottimi stipendi, orari comodi, che roba è? Bisogna essere testimoni di Cristo. Non si può stare accanto ai poveri senza casa se si possiede un appartamento da 700 metri quadrati».
Sembra che sia in atto uno scontro molto forte tra Papa Francesco e Benedetto XVI. Lei da che parte sta?
«Sono dalla parte di Bergoglio, ci mancherebbe altro. Ma la lotta non è tra i due Papi. È la borghesia cardinalizia radical chic che è aggrappata allo status quo. La guerra è pompata dai cardinali perché la vecchia classe dirigente ha paura di perdere il potere. Papa Francesco dice: io voglio salvare il cristianesimo, voi la Chiesa. Quando regnano il potere temporale, i cardinali, i vescovi, i beni materiali, la banca e dall’altra parte c’è un Papa che afferma che di tutto ciò non gliene frega nulla… È chiaro che nasce uno scontro. Il giallo del libro di Benedetto XVI e del cardinale Robert Sarah è l’ultimo episodio del conflitto che si sta consumando. Ratzinger fa discutere con il suo intervento per il celibato… Il problema di oggi non è se potersi sposare o meno. Il celibato è uno di quei gesti rituali che rendono la Chiesa inautentica. Dobbiamo però concentrarci a riscoprire davvero che cosa significhi fare il prete: vuol dire andare controsenso, in senso vietato, proporre un ideale di società dove al centro ci siano l’idea di parità, giustizia e di autorità come servizio. Ma i sacerdoti devono seguire delle regole, anche se ormai pare «normale» che abbiano rapporti sessuali con donne e uomini…»
Davvero il tema di cui discutere ai giorni nostri sarebbe la castità?
«Il Padreterno ci ha creati uomini e donne per stare insieme, poi ci possono essere delle eccezioni. Io ho fatto una scelta e la porto avanti, ma è normale che un uomo debba avere rapporti sessuali».
E lei ha mai avuto un amore?
«Sono un passionale, ma la mia passionalità l’ho incanalata nel mondo dei disperati. Sono vivo proprio perché mi sono buttato tra di loro. Avessi fatto una mezza scelta diversa sarei già finito. Farei una fatica bestiale a vivere nel mondo normale. Anche avessi avuto in testa l’idea di sposarmi, la mia onestà non mi avrebbe mai permesso di imbrogliare una persona. E poi è chiaro che durante le notti che passavo in Stazione Centrale c’erano delle prostitute che mi avrebbero portato volentieri con loro per avere 50 mila lire, ma non ho mai ceduto».
La pedofilia getta un’ombra pesante sulla Chiesa. Come combatterla?
«La soluzione è abolire i seminari. Se porti dentro i ragazzini di dieci anni e li costringi a stare lì, viene a mancare loro quell’esperienza della scoperta del corpo che è fondamentale durante l’adolescenza. Anche la violenza tra adolescenti nasce perché i giovani non amano il loro corpo, non lo usano con quella dolcezza e bellezza di cui è fatto. Pure certe omosessualità fai fatica a capire se sono originarie, se sono pose, se sono conseguenza di qualcos’altro».
È favorevole alle unioni civili?
«L’amore non è né civile né ecclesiastico, o c’è o non c’è».
Le coppie gay possono adottare?
«Ecco, su questo si deve riflettere. L’educazione penso esiga relazioni tra il sesso maschile e quello femminile, che si declinino in una famiglia tradizionale vera e propria o in una convivenza tra uomo e donna».
L’utero in affitto?
«Penso che si debba guardare il problema con una prospettiva diversa: il punto non è come rimanere incinta, ma sapere che un figlio, quando lo si ha con sé, adottato o «affittato» che sia, va educato. Per carità, sarebbe molto meglio che la mamma avesse la possibilità di portarsi dentro il bambino per nove mesi, ma è dal momento in cui nasce che cambia tutto. Anche per i genitori, perché padri e madri si diventa, non lo si è a priori».
Si parla da tempo del caso di Marco Cappato. Secondo lei l’eutanasia può essere una soluzione praticabile?
«Si arriva a certi momenti in cui i dolori sono tali che la speranza viene meno. Chi ha la forza di andare avanti resista pure, ma sia concesso di lasciarsi andare a chi questa forza non la possiede. Bisogna esigere onestà con se stessi, non eroismo. Perdono e speranza sono valori che lei ha professato per una vita».
Crede davvero che Erika e Omar possano vivere una nuova vita?
«Nessuno è irrecuperabile. Erika ha trovato la sua strada. Con Omar non ho mai parlato. Erika, appena accennavi a Omar, andava fuori di testa. Si attribuivano la colpa a vicenda, ma la leader della coppia era lei, lui era succube, e recuperava la droga. Erano «fatti» quel giorno. Il fornitore era il papà di Omar, che aveva già avuto processi».
Erika ricordava tutto?
«Non aveva una memoria lucida, ma diversamente da altri non aveva avuto un raptus bestiale. Non sono mai riuscito a parlare con lei del momento dell’omicidio perché iniziava a tremare, e credo di aver fatto bene a non insistere. Lo psichiatra Vittorino Andreoli sosteneva che avrebbe potuto fare qualche gesto estremo. L’hanno salvata la sua bellezza e la stima del padre. Gliel’ha sempre dimostrata».
Francesco De Nardo, il papà, come ha vissuto tutto questo?
«Ha perdonato subito. È stato molto malato. Non ha mai parlato, e tenersi dentro tutta questa roba lo ha logorato. Anche quelle due o tre volte che ho provato a dire «smettetela, Susanna è in santa pace, lasciatela stare, ormai è finita», si è incazzato».
Lui come ha trascorso questi anni?
«Quando Erika era in carcere andava a trovarla ogni domenica, e anche quando stava in comunità veniva spesso. I primi anni li ha vissuti con il fratello della moglie. Io sono stato nella casa di Novi Ligure mentre insieme ridipingevano i muri. Per un periodo ha voluto tornare a dormire lì, poi non ce l’ha più fatta. Ora vive con una donna, è riuscito ad andare avanti dopo 5 o 6 anni anche grazie all’insistenza di Erika, che mi ha detto molte volte “di’ a papà che si sposi, trovi una donna, non resti solo”».
Anche per Fabrizio Corona pensa che sia possibile una redenzione?
«Avevo deciso di dedicarmi a Corona perché penso che dentro sia meglio di come appare. Purtroppo lo frega la sua idolatria. Ho perso. E oserei dire che più invecchia più peggiora».
Vi siete più sentiti?
«No, ma io non farei nessuna fatica a parlargli. Dovrebbe però stare dalla mia parte e non venire a prendermi in giro. Io l’ho seguito in carcere a Opera, dove è stato trattato malissimo. Quando gli hanno spaccato tutti i denti mi ha fatto una pena bestiale. Una volta operato, per lui era come se non fosse successo niente, non aveva imparato nessuna lezione. È proprio un pirla. La verità vera di quello che gli è successo lì dentro però non la racconterò mai. In fondo gli voglio ancora bene».
Che cosa le ha fatto più male di quello che è successo tra voi?
«Sono stato male perché abbiamo fatto di tutto per tirarlo fuori dal carcere. Finalmente si era anche convinto a dichiarare la sua tossicodipendenza per rientrare nelle agevolazioni che mi hanno consentito di portarlo in una delle mie comunità. Poi la sera ha iniziato a tornare sempre più tardi, fino a che ho telefonato al magistrato e ho detto che a quelle condizioni non ci stavo più. L’hanno rimesso dentro. Siamo stati noi. Ero convinto che l’amore per il figlio lo potesse aiutare a superare il suo egocentrismo, ma Corona è rimasto sempre Corona. E per come mi dicono che stanno ora le cose, temo non ci sia nulla da fare».
Poi c’è Lele Mora. Dichiarò che fece guadagnare alla Exodus molti soldi…
«Né da lui né da Fabrizio ho mai voluto un euro perché sapevo che i loro soldi non erano chiari. Mora ci portava dal mercato la frutta e la verdura. Volevo denunciarlo, poi ho visto che nessuno gli credeva e ho lasciato perdere».
È un’altra sua sconfitta?
«Lele Mora non è stata una mia sconfitta, perché non avevo neanche cominciato a cambiarlo, né mi ero messo in testa di farlo. Come è venuto è anche andato via. È fatto così male che non sai da che parte prenderlo. È un personaggio oscuro, è così porco che ti viene la nausea. Anche Fabrizio è un puttaniere, ma almeno un amore ce l’aveva. Penso che Corona sia stato rovinato da Mora. Il primo rapporto tra di loro fu un rapporto sessuale fortissimo. Ma Fabrizio rimane ancora un uomo, Lele Mora no».