Home » Attualità » Opinioni » Il segretario mai sereno

Il segretario mai sereno

Il segretario mai sereno

L’editoriale del direttore

Enrico Letta non ne ha proprio azzeccata una, tanto che nel partito i dubbi sulla sua leadership serpeggiano.


Da quando è tornato In Italia, lasciando un incarico ben remunerato di professore a Parigi, Enrico Letta è affetto da ansia da prestazione. Se prima, dopo essere stato licenziato da Matteo Renzi ed esiliato nella capitale francese, l’ex presidente del Consiglio stava sereno, ora che è diventato segretario del Pd, ed è costretto a tentare la rianimazione della sinistra, non sta per nulla sereno e lo si capisce.

Da Nicola Zingaretti ha ereditato un partito al minimo storico, che i sondaggi davano tra il 18 e il 19%, e il Nipotissimo (è figlio del fratello di Gianni Letta), prendendo il testimone immaginava che far peggio del governatore del Lazio fosse praticamente impossibile. È assai probabile come, al momento di decidere il rientro, Letta pensasse che il gradimento attorno alla sua persona fosse tale che sarebbe bastata una sua parola per far risalire il consenso. Insomma, una classica percezione sbagliata della realtà, un lampante esempio di concetto di superiorità.

Risultato, dopo pochi giorni l’ex premier si deve essere accorto che le cose stavano assai peggio di come aveva ritenuto e come la sensazione della sua presa sull’elettorato della sinistra fosse un po’ deformata. Da qui ne consegue tutto ciò a cui avete assistito nelle settimane successive, fino a ora. Ovvero, la sarabanda di dichiarazioni un po’ sconclusionate, con una serie di sparate che forse, secondo il professore di Scienze politiche, avrebbero dovuto riscaldare il cuore dei compagni, ma a quanto pare hanno fatto raffreddare quello della sinistra moderata che avrebbe dovuto avere in Letta proprio il suo punto di riferimento.

Appena messo piede a Largo del Nazareno, il Nipotissimo ha lanciato l’idea del voto ai sedicenni e poi quella del voto agli immigrati, tramite lo ius soli. Forse, allargando il numero degli elettori, Letta pensava di poter allargare anche il numero dei voti per il Pd, ma purtroppo entrambe le proposte non sembrano aver riscosso un grande successo. La prima, quella di consentire anche ai minorenni di scegliere da chi farsi governare, è caduta praticamente nel vuoto, ignorata soprattutto da chi avrebbe dovuto beneficiarne. I sedicenni, infatti, sembrano più propensi a mettere i «like» su Instagram che sulla scheda elettorale e ai post via Facebook di Letta paiono preferire i balletti su TikTok.

Quanto al resto, cioè allo ius soli che insieme alla cittadinanza consentirebbe agli immigrati di ottenere anche il diritto di voto, non pare essere considerata una priorità da gran parte dell’elettorato della stessa sinistra e perfino da una buona percentuale di stranieri. Risultato, le prime mosse del neo segretario non sono parse le più azzeccate e pure il tentativo di unire le forze coi Cinque Stelle per costituire un blocco che si contrapponesse alla Lega e a Forza Italia, ovvero al centrodestra di governo, non è andato a buon fine.

La proposta di un’intesa è caduta nel momento di massima divisione dei grillini, mentre un pezzo di movimento pare deciso a fare l’opposizione a Mario Draghi e l’altro pezzo non sa scegliere a quale leader affidarsi. Quindi, senza un interlocutore, ma con un Giuseppe Conte dimezzato, Letta è rimasto con il cerino in mano, bruciando anche questa carta.

Poi, dopo una guerra tutta interna al partito per portare due donne alla guida dei gruppi parlamentari e una proposta di sacerdozio femminile per consentire anche nella Chiesa una parità dei sessi, il segretario ha svelato la sua arma segreta, quella che in teoria avrebbe dovuto renderlo popolare fra le classi subalterne. In pratica, rispolverando un vecchio cavallo di battaglia della sinistra, il compagno Letta ha suggerito una tassa di successione dal milione in su.

In pratica, si tratterebbe di un’imposta sul caro estinto, il quale, al momento della dipartita, in caso possedesse una bella casa e qualche investimento, oltre ai propri beni lascerebbe in eredità ai parenti anche un conto con il Fisco. Niente di nuovo, intendiamoci: sono anni che da quelle parti politiche si parla di stangate sui patrimoni, con il rischio di far fuggire i capitali o di fare in modo che si nascondano dietro a trust e schermi fiscali. Tuttavia, la novità è che a stretto giro di posta a bocciare la proposta sono stati sia Draghi (il quale ha replicato secco che è il momento di dare agli italiani, non di prendere) sia Romano Prodi, entrambi preoccupati che la fiducia nella ripresa del Paese venga sostituita dalla paura delle tasse.

No, Letta non ne ha proprio azzeccata una, tanto che dentro il partito i dubbi sulla sua leadership serpeggiano. Se prima a tutti l’idea di un suo ritorno era parsa geniale, perché giudicata una mossa che avrebbe permesso di pacificare le varie anime del Pd, chiudendo definitivamente la stagione di Renzi e dei suoi, ora le perplessità aumentano e il numero di chi immagina di rispedire presto il segretario a pescare lungo la Senna è in crescita. Insomma, il povero Enrico, l’uomo dal cuore tenero che per guidare il Pd se n’era fatto uno duro, anche dopo anni non sta sereno.

© Riproduzione Riservata