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Economia

Quanto vale la nostra privacy?

Sicurezza, marketing, riservatezza: ecco perché è così difficile accettare di perdere il controllo sui dati personali

Nelle ultime settimane siamo stati bombardati di notifiche relative alla privacy, per confermare (o disdire) ma nostra partecipazione a newsletter o altri circuiti di informazione online.

Le aziende che sfruttano questi canali di informazione hanno dovuto rapidamente adeguarsi alle nuove regole approvate in ambito europeo. Probabilmente la maggior parte di noi non ha perso troppo tempo ad aggiornare i propri dati personali, ma la nuova normativa UE, la General Data Protection Regulation (Gdpr), contiene molto di più del semplice ordine di far confermare l'autorizzazione al trattamento dei dati.

Perché servono nuove regole per la privacy

Le nuove regole, infatti, rispondono a un'esigenza che si è fatta impellente dopo il caso Cambridge Analytica, che ha scoperchiato un mondo nel quale la circolazione dei dati personali è al centro di flussi commerciali importantissimi. Il caso ha chiarito una volta per tutte come hanno fatto Facebook e altri social media a rimanere gratuiti e a fatturare allo stesso tempo milioni e milioni di dollari: vendendo a società che ne hanno fatto gli usi più disparati il profilo dei loro utenti, che nella stragrande maggioranza dei dati hanno accettato il sistema senza esserne davvero pienamente consapevoli.

Il valore della privacy

Ma perché la privacy è così importante? In fin dei conti, siamo noi a rendere pubblico quello che facciamo pubblicandolo sui social, un po' cole se lo urlassimo in uno spazio pubblico. Il dibattito scientifico al riguardo ha una lunga storia. Come ha ricordato di recente un approfndimento del New Yorker, il "diritto alla privacy", di Samuel Warren e Louis Brandeis, è forse l'articolo di dottrina giuridica più commentato al mondo: risale al 1890, quando fu pubblicato sull'Harvard Law Review nel 1890.

La privacy è un concetto proteiforme che si ripresenta in tutti gli aspetti della nostra quotidianità e la cui rilevanza viene amplificata da ogni nuovo sviluppo tecnologico, legale e culturale. Nel diciannovesimo secolo, la gente fu scioccata dall'introduzione delle cartoline, che consentivano ad estranei (a partire dai portalettere) a leggere la posta, che era all'epoca considerata estremamente privata. Oggi abbiamo ben altro, e il dibattito continua. Anche perché, spesso, le persone non sono coerenti con il livello di esposizione verso l'esterno che sono in grado di tollerare. Da un lato, non vogliamo rilasciare le nostre impronte digitali quando rinnoviamo il passaporto, dall'altro pubblichiamo ovunque le fotografie dei nostri bambini in vacanza.

Chi raccoglie i nostri dati?

Ciò che ci fa sentire impotenti oggi sono le dimensioni del palcoscenico in cui possono essere esibiti i nostri dati. Cinquant'anni fa, anche il governo di un Paese come gli Stati Uniti non avrebbe potuto raccogliere i dati per ogni telefonata effettuata sul suo territorio, perché non esistevano tecnologie adeguate, oppure sarebbero state estremamente costose. Oggi Google elabora 3,5 miliardi di ricerche al giorno e ne conserva traccia archiviabile, senza particolari difficoltà.

Un dilemma irrisolto

Cambia il contesto, ma il dilemma rimane lo stesso: quanto vale la nostra privacy, se rapportata alle esigenze di tutela della nostra sicurezza e dell'ordine pubblico e delle forze di polizia? E quanto vale la nostra privacy, quando i nostri dati vengono scambiati a fini commerciali?

Per qualcuno la sicurezza è sacra, quindi la tendenza generale è quella di accettare i controlli...fino a quando non finiamo col diventarne i protagonisti. Per quel che riguarda il commercio, sono tante le persone che confermano la "comodità" di navigare in una rete che diventa giorno dopo giorno più "vicina" alle loro esigenze, perchè a forza di raccogliere e rielaborare dati sul nostro conto internet è in grado di dirottare sulle pagine che visualizziamo annunci e informazioni potenzialmente interessanti o comunque affini ai nostri gusti o alle nostre ricerche più frequenti, che in teoria dovrebbero essere in linea con le nostre esigenze. Per altri, si tratta in entrambi i casi di una violazione della libertà personale inaccettabile. Ecco perché sarebbe il caso di inizziare a riflettere seriamente sulla domanda implicita che questo dibattito nasconde, quella sul reale valore della nostra libertà. Un tema talmente soggettivo che rischia di rimanere ancora a lungo senza soluzione.

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Claudia Astarita

Amo l'Asia in (quasi) tutte le sue sfaccettature, ecco perché cerco di trascorrerci più tempo possibile. Dopo aver lavorato per anni come ricercatrice a New Delhi e Hong Kong, per qualche anno osserverò l'Oriente dalla quella che è considerata essere la città più vivibile del mondo: Melbourne. Insegno Culture and Business Practice in Asia ad RMIT University,  Asia and the World a The University of Melbourne e mi occupo di India per il Centro Militare di Studi Strategici di Roma. Su Twitter mi trovate a @castaritaHK, via email a astarita@graduate.hku.hk

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