Ponte Morandi
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Economia

Ponte Morandi e infrastrutture: il punto è che l'Italia non sa modernizzarsi

Altro che guerra alle grandi opere: costruire vuol dire crescere. La tragedia di Genova dimostra che da anni abbiamo smesso di fare investimenti strategici

La tragedia del Ponte Morandi a Genova deve aprire una seria riflessione sulle opere infrastrutturali in Italia, non solo per quelle costruite, ma anche per quelle mai costruite. Le responsabilità del collasso dell'opera sono ancora da accertare, anche se una buona parte della classe politica ha già terminato il processo.

Manutenzione, non è un problema di soldi

Al di fuori delle polemiche, è bene ora riflettere sulla necessità di fare nuove infrastrutture e mantenere in buono stato quelle esistenti. La manutenzione è doverosa, ma se andiamo a valutare i dati, come ricorda l'International transport forum dell'Ocse, l'Italia non spende poco per le infrastrutture stradali. Il nostro Paese si colloca infatti in seconda posizione, solo dietro alla Norvegia, tra i Paesi più sviluppati, con circa 15 mila euro di investimenti in manutenzione per chilometro di infrastruttura stradale, spendendo più del Giappone e più del doppio rispetto al Regno Unito.

Al di fuori del caso di Genova, dove le responsabilità dovranno essere accertate, non sembra esserci un problema di risorse per la manutenzione: piuttosto esiste il problema di come questi soldi vengono spesi, dato che le nostre infrastrutture stradali non sono tra le più sicure.

Pochi investimenti in infrastrutture

Per tutti gli organismi internazionali, l'Italia ha invece un problema ben più grave: la mancanza d'investimenti in infrastrutture. La percentuale sul Pil degli investimenti in infrastrutture stradali (non per la manutenzione) è tra le più basse in Europa. Proprio a Genova, la mancanza della Gronda, una sorta di tangenziale, provoca oggi uno divisione non solo tra la parte ovest e la parte est della città, ma anche di tutta la Liguria e del porto, uno dei più importanti d'Italia. La Gronda è un progetto che risale a metà anni Ottanta, ma che non è mai stato portato a termine. Diversi comitati locali, appoggiati in passato anche dal Movimento 5 Stelle, si sono sempre opposti alla costruzione di questa opera, che avrebbe in parte contribuito ad alleggerire il traffico del ponte Morandi e che avrebbe migliorato comunque tutta la viabilità, già complicata, dell'area genovese.

In questo momento, il porto di Genova, si trova in una posizione di grande difficoltà, proprio per la mancanza di alternative. Per questo motivo è necessaria la costruzione di un nuovo viadotto in tempi brevi, ma anche favorire quello shift modale verso il treno, che a breve rivedrà la sua piena operatività.
In Italia, così come in Europa, la sicurezza stradale è molto inferiore a quella del trasporto ferroviario. Il tasso d'incidentalità è 36 volte superiore. Forse il governo farebbe bene anche a pensare a un'incentivazione maggioree a politiche concorrenziali per un maggior utilizzo del trasporto ferroviario.

Cos'è la sindrome Nimby che attanaglia l'Italia

Tornando alle problematiche di Genova, avere avuto la Gronda per lo meno avrebbe evitato un grave problema all'economia regionale e forse di tutto il Nord-Ovest, proprio quando l'economia ha dei tassi di crescita estremamente limitati. La sindrome Nimby (dall'inglese "Not in my back yard"), che di fatto significa il non voler fare delle opere utili alla collettività per la contrarietà di piccole comunità locali, colpisce l'Italia in maniera importante. La Gronda non è forse la più conosciuta tra quelle opere che si sono dovute confrontare con la sindrome Nimby, come invece la linea ferroviaria Torino-Lione (Tav).

Un altro esempio di sindrome Nimby colpisce il progetto del gasdotto Tap, dove un Comune vorrebbe bloccare un'infrastruttura internazionale essenziale per tutta l'Italia che assicurerebbe anche una maggiore indipendenza energetica al Paese.

Di fatto questa sindrome è la motivazione principale per la quale non si fanno molte delle opere. I processi decisionali per la costruzione sono infatti molto insicuri e l'indecisione politica rallenta ulteriormente gli investimenti. Questi rallentamenti portano a loro volta a un aumento dei costi infrastrutturali per via dell'incertezza del finanziamento. Si crea inoltre incertezza giuridica, che di fatto rende ancora meno attrattivo il nostro Paese agli investimenti (anche stranieri) per la costruzione di nuove infrastrutture.

Ecco perché siamo un Paese bloccato

Ma quali sono i risultati di questa sindrome Nimby? L'Italia, dopo il boom degli anni '50 e '60, e le sue relative opere infrastrutturali (la più famosa è l'Autostrada del Sole), è in molti casi un Paese bloccato. Questo non significa che si debbano fare tutte le grandi opere senza alcuna valutazione, perché l'analisi economica rimane importante, ma non è nemmeno possibile bloccare la costruzione a priori per un mero preconcetto ideologico. Le opere utili devono essere costruite più in fretta, limitando proprio questa sindrome Nimby, cercando però al contempo di tenere sotto controllo i costi.

Se per la manutenzione delle strade l'Italia non investe poco, per la costruzione delle opere la spesa non è elevata, e oltretutto spesso questi fondi vengono impiegati male. La Metropolitana C di Roma è forse uno di questi esempi dove i continui cambiamenti di tracciati e l'incertezza sia giuridica che di finanziamento hanno provocato costi di costruzione molto superiori alle altre metropolitane.

Vi è un altro fenomeno che dovrebbe essere tenuto sotto controllo: non è infatti possibile che a ogni cambio di governo vi sia la messa in discussione di ogni singola opera. Questa incertezza politica provoca solo ulteriori dubbi su un Paese che già non gode di una reputazione elevatissima per fare business (basta guardare il rapporto Doing Business della Banca Mondiale). In conclusione, l'Italia deve imparare da questa tragedia del Ponte Morandi, cercando di superare quella sindrome Nimby che di fatto blocca in molti casi lo sviluppo di tutto il Paese in termini economici ed occupazionali. 


(Articolo pubblicato sul n° 36 di Panorama, in edicola dal 23 agosto con, il titolo "Un Paese incapace di modernizzarsi, questo è il punto")


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Andrea Giuricin

Andrea Giuricin è senion fellow dell'Istituto Bruno Leoni

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